martedì 23 dicembre 2014

Nascere al Sud non può essere solo una disgrazia: usiamo e bene i fondi UE?

             
              (foto tratta dalla mostra fotografica "RIScatti", associazione Laboratorio Zen)
Ho inviato questa interrogazione formale agli assessorati e ai dirigenti competenti nell'ambito istruzione e famiglia e ai dirigenti di rispettiva competenza per l'istruzione e all'autorità di gestione dei fondi comunitari.
Perchè in Sicilia ormai possiamo parlare di Stato di Calamità Educativa.
Ciascuno, per la sua parte, faccia quello che si deve fare.
Buon Natale


Alla cortese attenzione dell’Assessore alla Famiglia dott. Bruno Caruso,
Dell’Assessora all’Istruzione dott.ssa Mariella Lo Bello,

Ai Direttori dott.ssa Maria Antonietta Bullara e dott. Gianni Silvia

All’Autorità di Gestione dott. Vincenzo Falgares

E p.c. al sottosegretario all’ Istruzione Davide Faraone

Oggetto: Interrogazione sui fondi comunitari sulla spesa effettuata e da effettuarsi nell’ambito Istruzione.

Due rapporti recenti, uno di Save the Children e uno della Fondazione Res, supportati dai dati raccolti negli ultimi anni dalle rilevazioni nazionali e internazionali dei rendimenti degli studenti, confinano la Sicilia come ultima nei rilevamenti e disegnano, con altri indicatori, una condizione di vera e propria emergenza educativa per i bambini e le bambine del sud e della Sicilia in particolare. I rapporti si concentrano esattamente sui divari Nord Sud: non solo divari nei rendimenti, ma correlano questi ultimi, come l’esito di altri divari di offerta ormai non più ignorabili.

“Nell'Isola appena 4 su 100 giocano nei prati e 8 su 100 liberi in strada, oltre 2.525 famiglie vivono "sotto sfratto", più di 228mila i bambini che sono in povertà assoluta; il 66% non ha letto neanche un libro nell'ultimo anno, il 74% non ha visitato un museo; appena il 5,6% di bambini 0-2 anni va al nido pubblico (contro il 45% dell’Emilia Romagna) e solo il 7% delle scuole primarie (contro l’85% dei bambini lombardi, primi nelle prove Invalsi nazionali) e il 22% delle secondarie di primo grado offre il tempo pieno; il 25,8% di ragazzi abbandona gli studi (contro una media nazionale del 17%).” Eppure l’Europa stanzia per la Sicilia in questo ambito tante e tali risorse che potremmo persino superare in offerta scolastica, in asili, in strutture adeguate e in personale umano qualificato, le regioni citate.
Da anni i rendimenti scolastici si mettono in relazione con il retroterra familiare e con i divari di contesto economico e sociale. Non è e non può rimanere una giustificazione, un dato di fatto. Per colmare tali divari si potrebbe agire, oltre che con azioni complessive di giustizia sociale, con azioni compensative di vario genere in campo educativo messe in campo da tutti gli attori: Comuni, Province (o quel che resta di esse), Regione, attraverso i suoi assessorati, ma anche ex provveditorati e uffici scolastici regionali, tutti enti che dovrebbero lavorare in sinergia per attenuare le differenze socio-economiche, anche a scuola, nell’organizzazione, nell’offerta e nella gestione ma che spesso non dialogano nei progetti operativi e non sempre si sono rivelati all’altezza dei bisogni.
Tra i divari di offerta nord-sud tre fattori si sono rintracciati come determinanti nell’acuire le diseguaglianze che colpiscono un bambino siciliano con un coetaneo di regioni come la Lombardia o l’Emilia Romagna e questi fattori fanno capo a responsabilità tutte politiche e amministrative e che oggi non possono più derogarsi o minimizzarsi da parte del mio partito, oggi al governo regionale e nazionale, anche perché sono disponibili sul fronte della spesa comunitaria, ingenti risorse proprio in questi ambiti:
  1. la quasi assenza di asili,
  2. la scarsa frequenza nelle scuole dell’infanzia, per carenza di locali,  
  3. la quasi assenza di tempo pieno, per assenza di mense e di strutture adeguate.
A questi tre fattori aggiungo:
  1. l’insalubrità dei locali, che potrebbe essere affrontata in modo risolutivo, con l'impiego degli stanziamento previsti sempre in sede comunitaria, per l’efficientamento energetico degli edifici pubblici.
Questi indicatori sono determinanti nell’acuire i divari cognitivi all’ingresso e durante il corso del primo ciclo dell’istruzione. Divari che poi si trasformano in bassi rendimenti e in dispersione scolastica, soprattutto per un’offerta di tempo scuola insufficiente ed inefficace, specialmente nelle aree a rischio, sommata ad altri fattori quali la disorganizzazione scolastica, la discontinuità, la mancanza di aggiornamento specifico dei docenti, tutti fattori su cui si sta tentando di agire sul piano delle politiche scolastiche nazionali ma che verrebbero vanificate se non si agisce sui tre indicatori di cui sopra.

E’ vero che i rendimenti sono correlati a contesto e famiglia ma nascere povero e crescere povero e correlare a questo una scarsissima qualità dell'offerta formativa non deve essere ancora oggi un destino, quando abbiamo la possibilità di agire attraverso la leva di un’istruzione di qualità, maggiormente attenta e presente proprio là dove la situazione è più critica. 
Se correliamo povertà e dispersione abbiamo un’equazione sempre uguale. Quest’equazione muta se agiamo in modo diverso. E bisogna farlo in modo strutturale e continuo, non solo con la messa in campo di progetti extracurriculari,  ma mutando l’offerta strutturale.

In passato la politica regionale è stata quasi assente proprio  negli ambiti su citati, ambiti che potrebbero essere di sua competenza con il concorso degli enti locali: la realizzazione e gestione di asili , l’ adeguamento delle strutture scolastiche per aumentare l’offerta dei posti nella scuola dell’infanzia e per programmare il tempo pieno (coadiuvando con risorse ue l’assenza di fondi degli enti locali), la messa in campo di campagne strutturali per l’aggiornamento specifico dei docenti nelle scuole di frontiera e di progetti continui e generali per il rafforzamento delle competenze di base, eppure con l’aiuto dei fondi comunitari e con gli assi destinati esattamente all’ambito dell’istruzione molto di più poteva farsi e potrebbe farsi ancora.

Ecco perché vi scrivo e vi interrogo formalmente, in qualità di vicesegretaria del Partito Democratico, attualmente alla guida di questa regione, in qualità di referente scuola per lo stesso partito regionale, in qualità di insegnante e in qualità di cittadina che vede nell’istruzione e nell’investimento sul capitale umano la principale leva di sviluppo in una società della conoscenza.
Oggi non abbiamo più alibi e non vorrei che le somme perse in passato si perdessero nuovamente.

Vi scrivo formalmente per capire cosa s’è fatto, in modo puntale e dettagliato, se si è fatto, nell’esercizio 2007-13 e per capire e interrogarvi su ciò che si farà, se si farà, nell’esercizio 2014-20.
Per segnare insieme un cambio di passo necessario, con il concorso del governo nazionale, che ha messo in cima i temi della scuola e dell’istruzione e che vede in prima linea per la prima volta un sottosegretario all’istruzione siciliano. E’ giunta l’ora di integrare con altre azioni, coordinate e massicce, le linee d’indirizzo già prefissate.

Perché quel che s’è fatto fino ad oggi, anche se meritorio, non è stato né efficace né efficiente, visti i risultati.

Quel che s’è fatto fino ad oggi non basta affatto, non per esclusiva responsabilità regionale, ma anche per responsabilità regionale. In questo sono certa che il governo nazionale, attraverso la figura del sottosegretario on. Davide Faraone,  si renderà disponibile per qualunque tipo di supporto programmatico, progettuale e tecnico, sia alli uffici regionali, sia agli enti locali, sia alle scuole. Serve anche un interesse sinergico e trasversale a tutti gli assessorati come anche a tutti i deputati del Parlamento regionale. 
Perché nascere in Sicilia non continui ad essere una disgrazia e un destino già scritto per i bambini nati in contesti deprivati.
Dunque vi chiedo, per quel che fa capo allo stanziamento dei fondi comunitari da parte dell’Europa riguardo all’asse Istruzione, più specificatamente in capo a:
a.    -  realizzazione e gestione di asili (ciclo 0-3 anni),
b.    - realizzazione di locali adeguati per le scuole per l’infanzia (ciclo 3-6 anni),
c.    -  realizzazione di mense per le scuole del ciclo primario, pregiudiziali alla realizzazione del tempo pieno,
d.   -  adeguamento strutturale e funzionale degli edifici scolastici
e.    -  programmazione di azioni generali, coordinate regionalmente (cioè facenti capo a una cabina di regia unica nell’assessorato e nell’ufficio scolastico regionale, oltre quelli destinati  a pioggia nelle singole scuole)  per l’aggiornamento specifico dei docenti nelle scuole di frontiera e per azioni finalizzate all’annullamento dei divari cognitivi nelle competenze di base in italiano e matematica nei primi anni del ciclo dell’obbligo e dell’asilo e scuole dell’infanzia.

Interrogazione formale su:

1.    1.  lo stato dell’arte delle risorse 2007-2013 con indicazione delle risorse complessivamente previste nei programmi operativi, di quelle effettivamente impegnate, spese e certificate, di quelle disimpegnate e/o non più nella disponibilità della Regione e di quelle eventualmente programmabili nel 2007-2013;
2.     2. quali risorse in questi ambiti, per l’esercizio 2014-2020, programmate e individuate per gli obiettivi e quali sono i tempi e le modalità di attuazione e quali sono i centri di responsabilità e di spesa individuati.

Nell’attesa di una vostra risposta, con allegate tabelle, che sollecito entro in 31 dicembre 2014, pregiudiziale a una auspicabile integrazione alla prossima programmazione, da rimodularsi eventualmente insieme e con il concorso del governo nazionale, che si renderà disponibile ad integrare le azioni con quanto di competenza del Miur (organizzazione, organici, etc..etc..), oltre che col Partito Democratico siciliano (che supporterà e stimolerà gli enti locali nella figura dei suoi amministratori a rendersi esecutori e partecipi delle azioni per quel che è di loro competenza) e le altre forze di governo, mi rendo disponibile per ogni chiarimento e per ogni supporto.
Cordialmente,
Mila Spicola
Vicesegretaria del PD Sicilia,
referente Scuola, referente nazionale del Partito Democratico sulla Dispersione Scolastica

giovedì 18 dicembre 2014

La raccomandazione e la politica.


Un amico mi fa chiamare da una sua amica che mi chiede di raccomandarla alla selezione per un concorso.
Quante ne capitano di queste telefonate a chi di noi fa politica?
"Io sono brava, sono separata, ho due figli, ne ho bisogno. Altri passeranno avanti a me, altri peggiori di me."
Ho ingoiato amaro nel dirle che no, io non ne sono capace. Ho chiuso il telefono e ho pianto.
Dopo dieci minuti il mio amico mi urla al telefono che non comprenderà mai il mio "rigorismo moralista".Che non posso fare politica così. Perché "è normale" raccomandare.
Ha ragione forse, a volte non lo capisco nemmeno io come sono, tanto ciò che vedo intorno mi sorprende e angoscia. Non so nemmeno se è per dna o per educazione. 
Oggi lo chiamano rigorismo moralista, mia nonna mi diceva "non tradire mai te stessa". E "me stessa" questa è.
Forse lascerò la politica per non essermi adattata a questa normalità, ma non credo che si cambi alla mia età.
Non è un pregio, è un difetto e lo so. Secondo Darwin non sopravvive l'essere più intelligente o quello più forte, ma quello che si adatta.

Non ho mai creduto alle retoriche dei discorsi sul merito, sulle competenze, sulle proprie capacità. Non ho mai creduto alle retoriche dei discorsi sull'onestà.
E nemmeno ai mille discorsi sulla mafia e l'antimafia. Alle mille lezioni in classe dei professionisti dell'insegnamento della legalità.
Credo solo nelle mie lacrime, perché l'onestà è il silenzio delle lacrime quando più facile sarebbe dire di sì fronte al bisogno.
Non dico dire di no di fronte alla corruzione vera e identificata, quella gratuita del malaffare, ma i piccoli fatti grigi dell'illegalità diffusa causata dal bisogno. Quella che in fondo trova le attenuanti.
Quanti ne ho conosciuti di miei ex alunni, o i loro genitori che han spacciato per bisogno, che han corrotto per bisogno?
E quanti eserciti di raccomandati han preso illecitamente e indebitamente il posto ad altri? Peccato veniale..nemmeno i tribunali li condannano più.
E invece dici no. Dici no. E rimani sempre più sola. 
Io non ho mai cercato nella mia vita "gli amici degli amici". Quello che sono l'ho sudato, e dove sono mi corrisponde. Avrei potuto avere molto di più, tantissimo di più. Con gli amici dei miei amici. Ma abbiamo visto l'Italia andare a fondo a forza di portare avanti amici di amici. Sono pienamente convinta che anche questa è corruzione. Sì, sarà per questo che lascerò la politica. 
Per una questione morale tanto evocata ma che quando la pratichi ti ritrovi accusata e non accusatrice.
Per una valutazione della responsabilità interna prima di quella esterna, troppo millantata e parimenti inefficace. 

Però potrò sempre entrare in classe.
Senza troppe parole finte, senza stupori, senza proclami, senza giudizi o pregiudizi. Essere prima che dire. Affinché  i miei alunni crescano e non si stupiscano mai dell'onestà, ma la vivano.
Come un abito comodo, normale, della taglia giusta e la loro taglia sia quella.

lunedì 24 novembre 2014

#25novembre Il PDSICILIA contro la violenza di genere



Inviata a tutte le iscritte e gli iscritti del Partito Democratico Sicilia

Carissime/i,

il 25 novembre è la giornata mondiale contro al violenza sulle donne. 
Il nostro Partito, attraverso voi sarà impegnato in manifestazioni, azioni, incontri che si svolgeranno in ogni città siciliana.

Abbiamo chiara la necessità di agire sul piano politico perché è quello che ci compete, per mettere in campo provvedimenti a contrasto. 
Il 10 novembre abbiamo avuto una importante iniziativa a Ragusa, presenti Valeria Fedeli, vicepresidente del Senato e Giovanna Lombardi, consigliera di parità del Governo; l'incontro riguardava i gravi fatti verificatesi nelle campagne del ragusano contro le donne rumene che lavorano come braccianti, anche se accaduti in un territorio limitato e da parte di responsabili limitati, ma sono fatti che riguardano tutta la comunità siciliana e che ci spingono a riflettere e ad agire contro un fenomeno, quello della violenza di genere che non è  "fatto privato" ma tragedia collettiva, sociale, civile, dati i numeri di violenze e delitti di genere

E' necessario mettere in campo provvedimenti a livello locale, regionale e nazionale che non siano solo sul piano legale, ma su un piano più generale, per creare una rete di servizi e azioni per la prevenzione, per la tutela e il sostegno alle donne oggetto di violenza e per agire anche sul piano educativo e sul piano comunicativo.

E’ necessario aprire un dibattito  dentro il partito e fuori, con i nostri amministratori e con le associazioni e con le reti che operano in questo ambito sui temi delle politiche femminili e delle discriminazioni di genere, di instaurare un’interlocuzione stretta col governo regionale per dare piena attuazione alla legge regionale contro le violenze di genere e, sul piano nazionale, di chiedere al governo nazionale di dare attuazione alle indicazioni della Convenzione Internazionale di Istanbul contro la violenza sulle donne, convenzione da noi ratificata nel giugno 2013.
Abbiamo la consapevolezza che siamo ancora in attesa dei decreti attuativi dei finanziamenti per la prevenzione, siamo ancora in attesa di una ministra alle pari opportunità e sappiamo che i centri antiviolenza si reggono solo sul volontariato. Su queste cose concrete bisogna agire subito.
Abbiamo però chiara la convinzione che è soprattutto sul piano culturale che bisogna agire, per scardinare atteggiamenti profondi, sensibilizzando coscienze individuali e collettive, e che tale lotta va condotta soprattutto con la prevenzione, sul piano culturale, educativo e comunicativo. 
A partire da un cambio di visione da parte di tutti noi, che sia un mutamento di paradigma nel linguaggio, nei pensieri e nelle azioni di tutti/e noi.


IMPORTANTE:

Alleghiamo a questa mail una campagna di comunicazione e di sensibilizzazione che affidiamo interamente a voi: vi chiediamo di diffonderla a partire da adesso in modo virale sui social, facebook e twitter, sulle vostre bacheche, sui vostri profili; sono diverse immagini, sceglietene una o tutte; come diceva qualcuno “sii tu il cambiamento che vuoi nel mondo”,

Fausto Raciti, segretario pd sicilia
Mila Spicola, vicesegretaria pd sicilia
Antonio Rubino, responsabile organizzazione pd sicilia
Tuccio Alessandro, tesoriere pd sicilia 








domenica 23 novembre 2014

Occupare una scuola, perché? Serve oggi?



Ho seguito la querelle tra Barbara (Evola, assessore alla scuola a Palermo, alla quale mi legano anni di lotte comuni) e parte del mondo scolastico palermitano sulla bontà o meno delle occupazioni scolastiche da parte degli studenti. Che si è estesa anche tra gli studenti medesimi divisi in pro e contro.
Da liceale non solo non ho mai occupato di più, non ho mai scioperato. Con coscienza e consapevolezza. A me piaceva studiare così tanto che lo ritenevo un oltraggio contro il mondo, o fosse solo contro la mia libertà, togliermi anche solo un minuto di scuola. Quante volte mi sono vista le facce rassegnate di alcuni miei prof nel vedermi, sola, ostinata, salire la scala del liceo Umberto I, quella che mi portava in classe. I miei compagni si erano già rassegnati.

Nel 1989, ormai universitaria, invece abbracciai la Pantera, il movimento studentesco di allora, e da allora non mi ha più abbandonato quel fervore, che poi negli anni è diventato abito politico, scelta di vita. Figurarsi dunque che valore do a quell’esperienza che mi fece nascere all’impegno civico e civile. Ma do altrettanto valore agli anni di studio liceale matto e disperatissimo, totalizzante, privato, individuale, l'unico capace di fornire quegli strumenti necessari al ragionamento sul mondo e nel mondo che mi ritrovo ancora, che coltivo ancora, con le stesse identiche modalità.Sui libri.Spazio privato e spazio pubblico.Ciascuno trova la sua strada, ma credo siano necessari entrambi.
Le due “parti” dunque vivono e si contraddicono già dentro di me per cui conduco a un ragionamento tutto personale quella querelle. Come si diceva una volta: il personale è politico, e dunque mi sento di esprimere pubblicamente alcune riflessioni.

I motivi per cui un ragazzo siciliano deve sentire il dovere di urlarci contro ci sono tutti. E sono gli stessi motivi per cui da mattina a sera io stessa mi batto: perché quello che gli abbiamo tolto, (argomento scuola, istruzione, opportunità) è così tanto che occupare una scuola, dovesse essere l’unico modo per farsi sentire, mi sembra il meno. Certo qualcuno mi dice: ma occupare è illegale, se noi siamo per il rispetto delle regole dobbiamo trasferirlo intatto quel rispetto. Certo, qualora le osservassimo, noi adulti.

Illegale e anticostituzionale è il divario, che si fa abisso, tra le nostre scuole e quelle di altre regioni (assenza di asili, assenza di tempo pieno, contesto socioeconomico critico, che fanno sì che un 15enne siciliano accumuli ben 3 anni di scuola in meno rispetto al coetaneo lombardo e la "nomea" nazionale di somaro perchè ultimo nelle prove nazionali e interazionali, oltre che la prospettiva nera della disoccupazione quasi certa), . 
Illegale e anticostituzionale è lo stato in cui versano scuole e strutture d’istruzione. 
Illegale e anticostituzionale è il divario conoscitivo che si costruisce giorno dopo giorno tra uno dei nostri ragazzi e un coetaneo di Trento. 

Quanti di questi adulti che puntano l’indice contro le occupazioni degli studenti siciliani si mettono di traverso contro lo stato delle cose? Autoassolvendosi tutti e scaricando il barile di mano in mano fino ad arrivare alla Divina Provvidenza? Dovremmo essere docenti, dirigenti e genitori ad invadere silenziosamente e rispettosamente, certo, ma tutti, le aule dei consigli comunali, del Parlamento regionale, quando si decide, più spesso quando non si decide un bel niente, che riguardi le nostre scuole. Non ci siamo in quei luoghi e non ci siamo nel pretenderlo. Dovrebbero essere i nostri rappresentanti regionali e nazionali a occuparsi tutti, in modo reale e non retorico, di quei divari. 
E non lo fanno.E non possono dire certo di non essere stati stimolati, sensibilizzati, spinti a farlo, da quanti di noi non fanno altro da mattino a sera da anni.Ma quanti siamo questi "quanti di noi"?
Chi si occupa attivamente di dare forza e seguito alle vostre richieste, per una scuola siciliana più adeguata e qualificata, presso i rappresentanti istituzionali? Genitori? Intellettuali siciliani? Società civile? Associazioni di impegno civico o antimafia? No, non mi pare di averne viste tante attive in questi anni. Se non tirate a forza per i capelli.

Chi si mette di traverso per uno stato di cose e un sistema che mortificano i talenti e i meriti di chiunque, che vi rendono schiavi in questa terra di apparteneze e conoscenze e rendono vano e privo di valore lo studio?
A che serve studiare, potrebbero dirci, e invece, colmi di valori e di ideali, continuano a ripetere: fatevi studiare di più e meglio.
Non sarebbe il caso che questi adulti così ligi alle regole le sovvertissero le regole non scritte, immorali e illogiche che bloccano il presente e il futuro dei nostri studenti, dei nostri laureati, dei nostri figli, in Sicilia come altrove?
Che li fanno scappare per fare anche il camerieie a Londra, purchè liberi di giocarsela la vita in binari che fanno capo a loro e non ad altri.
E stiamo qua a fare il pelo al loro dramma e all'unico modo che conoscono per mostrarcelo quel dramma?
Sbaglieranno i modi ma ragione ne hanno eccome. E quelle ragioni noi dovremmo ascoltare.

No, non lo alzo l’indice contro quei ragazzi. Lo alzo contro di noi.

Il punto è un altro e lo rivolgo proprio a loro, agli studenti siciliani: serve oggi occupare?
No.Non serve.
Non serve ad ottenere qualcosa, a perdere giorni di scuola in una regione che ne ha già meno delle altre, sì, serve.
Perchè ahimè orecchie disposte ad ascoltarvi ancora non ce n'è. Nemmeno tra i vostri cari. 

E dico anche perché: se una protesta si fa rituale, appuntamento fisso nei modi, nei tempi e nei linguaggi, perde di credibilità e rischia di essere un boomerang. Già lo è.
Questo è il vero punto. Occupare le scuole da novembre a Natale è diventato un rituale sempre uguale che attira ormai fastidio non immedesimazione. 

Dunque ritorno la liceale di allora e mi oppongo alle occupazioni così come sono: trovare altre modalità di lotta, perché questa ha perso valore, toglie solo momenti preziosi allo studio.
Studiate e organizzatevi perché avremo bisogno di voi, così scriveva Gramsci agli studenti e ancora oggi gli studenti rispondono a quella richiesta. Studiano e si organizzano. E' bello, ha valore politico, e tutto ciò che è politico è etico, è civile, si non es civis non es homo diceva Remigio de Girolami, teorico dei primi comuni nel Medioevo. Prima che la politica venisse etichettata. Se non sei un cittadino non sei un uomo, e questo esprimono gli studenti, il loro impegno civile.
Chiedono di poter studiare, bene e meglio, chiedono di essere messi in grado di costruirsela una vita, senza lacci e lacciuoli soffocanti che noi adulti abbiamo seminato, chiedono di costruirselo qua il loro futuro, senza santi in terra da preare ma solo in cielo, se ci credono.
Però quei lacci e lacciuoli rischiano di avvincerli, perchè mi sembra che spesso usino parole di altri e non le loro. Mi sembra che si attacchino addosso etichette estranee.
E allora mi verrebbe di dir loro,- qualora ne avessi il diritto di poter dire qualcosa a questi ragazzi, e spesso questo diritto non me lo sento, di quanto mi sento in colpa e di quanto ancora devo lottare io per prima per togliermi almeno una briciola delle nostre colpe nei loro confronti-, liberatevi dalla ritualità che ammazza la libertà, togliete alibi a chi vi mette il freno, toglietevi le etichette. Non fornite alibi. Liberatevi dalle liturgie che coprono le sostanze. 

Trovate un’altra forma che dia vera sostanza, un altro tempo, un’altra lingua. La nostra è vecchia. Occupare una scuola a novembre e poi tornare con la testa sotto la sabbia da febbraio al novembre successivo, tutti gli anni, sempre allo stesso modo, non vi serve e non serve più. Nessuno presta più attenzione al perchè e ci si ferma a quel come sempre uguale che sa tanto di vacanza. E’ modo vecchio; fosse utile lo capirei, ma non lo è, ormai crea solo danni, equivoci e nessuna risposta. Esiste l'estate. Metteteci del vostro in quelle scuole in estate. Autogestitevele in estate. O anche no. Autogestitevi 365 giorni l'anno senza che liturgie estranee vi sommergano.

La testa tenetela sui banchi, sui libri, sui pc, sapete perfettamente e meglio di noi come farli volare. Tenetela viva per le strade e nelle città, intercettando e guidando mutamenti e rivoluzioni in atto che a noi sfuggono. Essendo presenti e vivi, come del resto siete.
Urge che voi troviate modi nuovi di lotta, perché è necessaria. Sana, libera, pacifica, ma determinata.
A voi, studenti siciliani, han tolto molto di più che agli altri, tempo di scuola, asili, strutture, un passato recente trascorso già nella diseguaglianza, un presente strano e un futuro così incerto e così fragile che mi verrebbe da urlare contro chi non comprende le vostre giuste paure e le vostre sacrosante recriminazioni, e ironizza, lancia morali, esprime giudizi. Non se lo possono permettere, e questo dovete continuare a dirlo con forza e credibilità intatte.
Ma con modi nuovi. E’ il tempo vostro, non il nostro. Nella politica, per la politica. Che non è solo un partito o una carriera, che non è solo interesse di parte. E’ di più, molto di più, è quello per cui state occupando, è virtute e conoscenza, è il senso ultimo dell'essere umani. E’ e deve rimanere etica, cultura,  civismo necessario, elaborazione. Trovatevi il tempo vostro, che sia sempre, non 15 giorni sospetti. E, soprattutto, non perdetelo, il tempo.

Entrare poi nel merito dei motivi per la protesta e discuterne con voi è cosa sulla quale mi rendo assolutamente disponibile. Di lotta e di governo, occupando spazio civico e politico 365 giorni l’anno, h/24.


Mila Spicola, Responsabile scuola PD Sicilia

domenica 16 novembre 2014

VALORIZZAZIONE E QUALIFICAZIONE DELLA PROFESSIONE DOCENTE.Riflessioni

VALORIZZAZIONE E QUALIFICAZIONE DELLA PROFESSIONE DOCENTE.
di Mila Spicola


SCHEDA PREPARATA PER IL GRUPPO DI LAVORO "MERITO E CARRIERA DEI DOCENTI" DEL PARTITO DEMOCRATICO.

Sinteticamente dico la mia, frutto di confronti e riflessioni comuni a docenti, dirigenti, studenti, persone comuni,  dopo due mesi di incontri su La Buona Scuola, riguardo al punto indicato sopra, che è stato quello maggiormente criticato (cosa che avevamo già detto subito molti di noi, ma tant'è, adesso forse lo si è compreso meglio, alla prova dei fatti, che non andava bene quella impostazione e quella proposta). Sono riflessioni che porterò nel gruppo di lavoro nazionale del Pd sulla scuola e spero che troveranno interlocutori e comunanza di visione. Non contro o pro, non per essere di parte, ma per rimanere nella terra di mezzo del l'elaborazione di qualcosa che sia utile, che funzioni e che medi diverse posizioni, che porti a sintesi dissenso e consensi in vista di un miglioramentomdell'istruzione. E questa era la sfida che ci eravamo posti.
Sono miei spunti e proposte da discutere, da verificare, da modulare, non verità da difendere. Graditi i suggerimenti, le integrazioni, le critiche.  Sono cose comunque che interpretano un pò il "sentiment" che ho incontrato in questa bella esperienza del "viaggio" in Sicilai nei circoli e nelle scuole sulla discussione intorno al dossier, sono idee del resto che ripeto da anni e che i due mesi di ascolto hanno rafforzato, più che messo in discussione. Su tutti gli altri punti e argomenti preparerò altre schede.

1.      SCATTI non possono abolirsi. Si tratta di una categoria che già guadagna pochissimo rispetto a tutti gli altri paesi, se togliamo gli scatti ai docenti dovremmo toglierli a tutti i dipendenti statali (dagli infermieri, alle forze dell’ordine, agli impiegati statali, comunali, regionali di ogni ufficio, per i quali non mi sembra si stia facendo una eguale campagna sul merito e la valutazione quando forse ne avrebbero bisogno quanto e più del mondo della scuola) , perché a fare una comparazione degli esiti l’unico segno più del pubblico servizio nel 2014 è stato nella scuola. I dati Pisa infatti sono migliorati. Unico dato positivo di tutti gli indicatori statistici (Istat, Svimez, Fondazione per il Sud,..) del 2013. E se tale blocco fosse introdotto nel mondo ella scuola sarebbe un controsenso: una dequalificazione e una sperequazione sociale terribile e con danni incalcolabili proprio quando si propone la “valorizzazione” del mestiere del docente. Non si può chiedere ai docenti, personale laureato, qualificato e selezionato per concorso, di qualificare la scuola, con un investimento enorme su se stessi e sul cambiamento, mettendosi in discussione e ricominciando giorno dopo giorno, e...bloccargli gli scatti.
2.      VALORIZZARE LA CATEGORIA ALL’INGRESSO: questo è il nodo centrale nei sistemi d’istruzione migliori, se non si agisce su questo il resto sarà un’impresa difficilissima.. Qualificare la formazione dei docenti nel percorso universitario e qualificare la selezione. E' il primo e irrinunciabile punto per qualificare i sistemi d'istruzione. E' necessario aggiornare e uniformare il bagaglio conoscitivo del percorso formativo di un docente. E' necessario qualificare il percorso selettivo, oggi è da barzelletta: non esiste test o selezione indetta dal Miur che non sia funestata di strafalcioni indigeribili. Il docente scarso è comunque riuscito ad arrivare in cattedra con la complicità di un sistema selettivo (e in questo le responsabilità sono egualmente condivise dal mondo accademico, dal mondo politico e dal mondo sindacale) assolutamente balordo. Tutti i momenti formativi post universitari: dalle sissis, ai tfa, ai pas, sono stati messi in campo più per battere cassa che per predisporre percorsi selettivi certi e chiari. Gli stessi concorsi: sono macchine mediamente mediocri. Renderle efficienti ed efficaci. Inserire il test psicoattitudinale come prima prova selettiva, e poi i test di cultura generale e le altre prove. Predisporre corsi-concorsi seri e veri. Vale per i docenti e vale per i dirigenti. La selezione dei docenti inizio dal primo anno universitario, con percorsi simili a quelli per diventare medico. Insegnare ed essere dirigente sono mestieri essenzialmente di tipo relazionale: o si verificano le attitudini, cosa possibile e sperimentata, prima di verificare competenze e conoscenze, oppure la vextata quaestio "rapporto docente dirigente, docente genitore, docente studente" lascia il tempo che trova. Aggiungo: le attitudini possono anche formarsi e coltivarsi. 
3.      VALORIZZARE LA CATEGORIA IN ITINERE. Non chiamiamola “formazione obbligatoria”. Chiamiamola ricerca in itinere, possono essere sperimentazioni, innovazioni, ricerche-azioni di ogni genere: didattica, pedagogica, organizzativa, valutativa... Dunque non corsi generici e di qualunque genere o livello, senza nessun controllo o monitoraggio ma come nelle università c’è la docenza e c’è la ricerca così deve esserci nella scuola. Che la ricerca affidata o da svolgere nella scuola sia qualificata, con i sistemi della certificazione della ricerca scientifica internazionale e collegata alle agenzie nazionali o internazionali di ricerca (Università o altre istituzioni di ricerca). La ricerca può essere individuale o di team o di scuola o di rete di scuole. Esattamente come nei dipartimenti universitari e possibilmente da svolgere in sinergia con i dipartimenti. Per far questo l’organizzazione scolastica e quella del lavoro docente debbono per forza di cose mutarsi. Possibilità di prevedere periodi di qualche mese di ricerca intensiva anche fuori dall’italia. Del resto già c’è: erasums plus, comenius, etwinning, ..ma che sia estesa. Prevedere la necessità in quel caso della pubblicazione e socializzazione nella propria scuola o nella rete di scuole o in altre scuole dei risultati delle ricerche. Ricordo che Invalsi ad esempio ha formato negli ultimi 5 anni nelle regioni obiettivo  non so quanti docenti come esperti invalsi sui temi della valutazione ma nessuno sa, nemmeno la loro scuola, che cosa hanno studiato, fatto e a cosa e a chi sia servito tutto ciò.
4.      COMPETENZE DELLA FUNZIONE DOCENTE. Per effettuare un qualunque tipo di valutazione va definita una griglia delle competenze e di obiettivi per poi definire dei criteri di valutazione. E' l'abc di goni valutazione. . Il punto maggiormente dolente della proposta è infatti l’aleatorietà della valutazione e la discrezionalità sottesa. L’Italia non è un paese scandinavo: ogni esercizio di potere, affidato a una persona sola, in questo caso il preside, va incontro a discrezionalità dovute a relazionalità difficilmente controllabili, che comunque incidono nella dequalificazione del sistema. Qualcuno direbbe: ma poi i presidi vengono valutati e controllati anche loro. L’abuso di diffidenza, e mi sembra che venga fuori un sistema d’istruzione basato sulla diffidenza, provoca l’abuso di controllo, che si risolve in inefficienza e inefficacia di controllo. Se invece si lavora sull’organizzazione interna della scuola, si stabiliscono in modo chiaro competenze, ruoli e funzioni e tempi assegnati a ciascuna figura presente dentro la scuola e che tali fattori diventano griglie di valutazione trasparenti affidate a nuclei di valutazione interni/esterni allora la cosa sarebbe sostanzialmente diversa. Stabilire una griglia delle competenze vuol dire anche formare a quelle competenze e selezionare su quelle competenze. Che non possono più essere solo di tipo conoscitivo della materia insegnata.
5.      MERITO 1. Il “docente scarso”(mi si scusi la definizione, ma nelle sale professori dai docenti stessi sui docenti sento di peggio): va allontanato dalla classe? Va formato? Va reintegrato ad altre funzioni?. Questo è il nodo vero. Tutti sanno chi sono i docenti bravi, ma tutti sanno chi sono i docenti scarsi, quelli scarsi davvero. La valutazione sociale del docente di serie a e del docente di serie b già esiste ed è fortissima, e genera sperequazioni e impari opportunità negli studenti. E' questa la madre di tutte le questioni, quella che provoca scontento sociale, ma che dovrebbe provocare tanti dubbi e interrogativi anche tra i docenti. Generalmente i docenti sono apprezzati, è il docente scarso che non cala giù a nessuno: né ai docenti, né ai genitori, nè agli studenti.  In questo caso che si fa? Ecco: parliamone e chiediamolo ai sindacati e ai docenti. Questa è la vera domanda da fare a noi docenti e alla quale saremmo chiamati a dare risposte e soluzioni. Posto che la mia risposta sarebbe: se la formazione iniziale fosse adeguata, se la selezione fosse per test piscoattitudinali e per prove selettive serie e adeguate e se la formazione in servizio fosse all’altezza la figura del “docente scarso” sarebbe davvero rara.Per come la penso io il docente scarso, ma scarso davvero, va allontanato dalle classi. Vedi comunque sopra alla voce: "come è arrivato in cattedra costui?"
6.      MERITO 2. Il docente bravo: perfezionando la procedura di valutazione dei crediti da funzione, posizione, competenza i modo tale che siano veramente certificatibili e valutabili in modo obiettivo. Premessa: il docente bravo è già da premiare e valorizzare per il suo lavoro di docente nel rapporto con le sue classi e i suoi studenti e in tutto quello che fa in funzione di quel lavoro, non perché fa altro. Per come accresce e varia la sua professione e il suo rapporto con gli studenti. Non immagino che la funzione docente debba essere “accessoriata” di altre funzioni, non collegate alla docenza ma alla scuola, così come è oggi. Generalmente si tratta di manovre di fuga dalle classi o, bene che vada, va a discapito della classe. E quando non lo è si tratta di colleghi che già a maggio sono da ricoverare per stanchezza. Valorizzare la professione significa affermare con voce ferma che il lavoro di un insegnante già vale per sé, per quello che si fa nelle classi e in funzione delle classi. 
7.      MERITO 2. Diversificazione di carriera. Stabilire figure di sistema stabili intermedie tra la docenza e la dirigenza. Ogni scuola oggi ha minimo mille alunni e almeno 200 lavoratori, tra docenti, ata e altro. Minimo. Sono come piccole città. Immaginare che possano essere rette da una persona sola è deleterio e fuori dalla realtà, oltre che dimostra come si abbia una scarsissima conoscenza del funzionamento di una scuola, non solo in Italia ma anche negli altri sistemi d'Istruzione. Come le piccole città necessitano di un sindaco e di una giunta. Altro che eliminare il distacco del vicario..serve addirittura un team. Chiamiamolo team della dirigenza, chiamiamolo comitato di gestione,staff,.. chiamiamolo come vogliamo. Immagino che tali posizioni le possano svolgere alcuni docenti, che raggiungano tale posizione per selezione, anni di servizio e titoli, e in questo viene finalmente applicata la diversificazione della carriera, per i quali si preveda un numero di ore in classe inferiore, un orario flessibile aggiuntivo, e una definizione specifica delle funzioni, oltre che uno stipendio maggiore. Questo eliminerebbe le figure strumentali, le funzioni ballerine, questa sinistra figura del “mentor” e tutti gli elementi di disorganizzazione annuale iniziale di ogni scuola. E finalmente toglie alla professione docente quel carattere di moto rettilineo uniforme da quando si entra in ruolo a quando si va in pensione. Eliminerebbe anche le definizioni ridicole di “lecchino del preside” e altre simili amenità, togliendo valore discrezionale al lavoro a supporto della dirigenza e della scuola, riconducendolo alla definizione di figura di sistema necessaria.  Lo staff (in numero pari alla grandezza della scuola, al numero degli alunni, e alle necessità..5 o 6 o 7 docenti) si occupa di tutto quello che riguarda l’organizzazione, il tutoraggio, la gestione, l’amministrazione, la progettazione della ricerca etc..etc… Tutto. In forma stabile. Come accedere a tali posizioni, possibili percorsi: per valutazione dei crediti e per selezione interna: un combinato disposto di anni di esperienza (si accede con almeno 5 anni, ad esempio, così come accade nei concorsi dirigenziali) e di capacità, di predisposizione psico-attitudinale e titoli. Con criteri e titoli chiari. Come un piccolo concorso interno. A cui possono accedere tutti. In questo modo tutti i docenti sono motivati ad accumulare titoli ed esperienze e la competizione è sana perché è obiettiva e da a tutti l’opportunità di giocarsela. Ma a partire da un tot di anni di ruolo. Che so con 5 anni accedi a una figura, con dieci anni ad un’altra…Hai meno ore di lezione (alcuni anche la metà)  ma hai le altre funzioni da svolgere. A parità di stipendio e magari con l’aggiunta di un tot in più. Ricordiamoci sempre che uno dei grossissimi problemi da affrontare e risolvere sarà la presenza di docenti ultrasessantenni in classe. Che sarebbero preziosi per altre funzioni ma che in classe, se non sono più motivati, e se hanno 18 ore piene, sono veramente un problema, per se stessi e per gli alunni. Ricordiamoci che c'è un problema totalmente sottaciuto che riguarda la salute mentale dei docenti, cioè lo stress da lavoro correlato, in percentuali molto alte e mai monitorate, e questo problema lo si previene con migliore organizzazione e chiarezza di funzioni. La valorizzazione e la qualificazione del lavoro docente non può prescindere da questi dati. 
8.      NUCLEI DI VALUTAZIONE: non possono essere affidate alla sola figura del preside le funzioni di valutazioni. Si prevedano nuclei misti, interni/esterni, con componenti da definire, con il preside, ma anche il team (che non sarebbe, se nominato con criteri definiti, una sorta di congrega cooptata come temono moltissimi docenti, ma perché già oggi è così con alcune figure già presenti), rappresentanti dei genitori e degli alunni nel caso delle scuole superiori, ma che ci sia un membro esterno neutro, chiamiamolo ispettore. Immagino anche che figure ispettive che valutino saltuariamente o periodicamente il lavoro dei docenti (almeno in alcuni aspetti valutabili) su modello del sistema francese, potrebbero immaginarsi. Con quali soldi? Abbiamo tutte quelle figure di valutazione formate per il vales e altri progetti nazionali di valutazione, che potrebbero utilizzarsi a costo zero.
9.      CONTRATTO DEI DOCENTI: le cose di cui sopra offrono lo spunto per indirizzare e mettere a punto insieme ai sindacati (che devono mettersi in testa di fare un’alleanza per il cambiamento: tutti quanti dobbiamo fidarci e perdere un po’ qualcosa per guadagnare una scuola migliore ma condivisa) il nuovo contratto dei docenti. Senza di quello non andiamo da nessuna parte. Un nuovo contratto che preveda l’emersione del sommerso e la definizione oraria. Che preveda il riallineamento tra i cicli anche nella definizione oraria. Punto che è uno dei nodi della valutazione sociale del lavoro docente. In questo si possono studiare insieme varie soluzioni: io prevederei per i docenti un monte ore annuale flessibile, che comunque stabilisca in modo fisso le 18 ore settimanali di lezione frontale, per tutti, e poi un tot da ripartire in modo flessibile a seconda della programmazione iniziale della scuola, della propria disciplina, delle ricerche in corso,...per cui un docente può fare 18 ore settimanali di lezione e poi 6 ore in più a settimana. O in altre settimane 4, o in altre, 10. In modo programmato all’inizio dell’anno e a seconda del POF, degli organici funzionali, e della programmazione d’istituto e dell’offerta didattica. La stessa cosa per le figure intermedie: un tot di ore di lezione inferiore (10, 14,.. stabilite nel contratto) e un monte orario maggiore da raggiungere con lo svolgimento delle funzioni. E’ una proposta, come ce ne possono essere altre. Ma credo che tutti i discorsi di sopra, compresa la formazione in servizio, possono ricondursi a un’organizzazione razionale e condivisa solo attraverso una revisione contrattuale che preveda un tot monte orario oltre le ore di lezione da trascorrere a scuola per tutte le attività. Se no è solo caos.
10.  RISORSE. Non si va a nozze coi fichi secchi. Non si può far molto con semplici partite di giro. Posto che ogni scuola può reperire fondi direttamente dall’UE, dal territorio, da tutto quello che vogliamo (sia che si è contro i fondi esterni da privati o a favore), per migliorare la scuola e valorizzare i docenti ci vogliono soldi. Detta papale papale. Se no sono chiacchiere perse: lo sappiamo tutti. Ed è bene spiegarlo. Risorse: a. per aumentare di base a tutti i docenti lo stipendio perché così com’è non valorizza proprio nulla (ripeto: i docenti scarsi su cui fa perno il malessere sociale nei confronti della scuola si allontanino). B: per gli scatti di posizione, che non possono abolirsi. c. per gli scatti di competenza, che vanno introdotti. Per integrare le funzioni necessarie e per precedere le nuove figure di sistema. Solo così si può chiedere ai docenti di scommettere ancor più di come fanno, non dico sul proprio lavoro e sudore, che c’è, ma sul cambiamento necessario, di funzioni, di tempo, di contratto, di investimento personale. Nel bilancio complessivo dello Stato o l’Italia passa dal 3% di fondi desinati alla scuola ad almeno il 5% oppure è una partita persa. E questo prima che il governo deve capirlo il Paese.

Postilla generale.

ASSUNZIONE DI RESPONSABILITA’: tutti dobbiamo lavorare per costruire una scuola di tutti per tutti che fornisca pari opportunità a tutti gli studenti:vale per il mondo politico, vale per gli enti locali, vale per gli uffici scolastici e per il ministero, assumendoci ciascuno la nostra quota di responsabilità e di mali da risolvere. Rinunciando a qualcosa singolarmente per noi stessi  per recuperare un tutto insieme per gli studenti, ammettendo mali e difetti in modo franco. Una scuola in cui ci sono sezioni migliori e sezioni peggiori è una diseguaglianza interna alla scuola medesima contro cui gli stessi docenti devono mettersi di traverso per il bene degli studenti, lo dico a me docente perché non dipende da altri. Una scuola che “orienta” per rendimento, che dipende comunque dal censo,  e non per attitudine è una scuola classista e diseguale contro cui gli stessi docenti devono mettersi di traverso per il bene degli studenti, lo dico a me docente perché non dipende da altri. Una scuola che a distanza di 300 metri da un’altra raggiunge esiti peggiori è una diseguaglianza interna alla scuola medesima contro cui gli stessi docenti e dirigenti devono interrogarsi, in modo sano, per capire come migliorare, non per colpevolizzare. Una scuola che non assicura l’asilo e il tempo pieno a tutti gli studenti è una scuola classista e diseguale e lo dico al mondo politico e amministrativo, locale, regionale e nazionale che in un rimbalzo di competenze ha chiuso e chiude gli occhi. Una scuola senza risorse e senza strutture adeguate è un male da combattere in ogni luogo d’Italia come e quanto la criminalità. Ed è un problema che riguarda tutti in modo vero, non retorico o demagogico. Per mettersi là e trovarle le risorse: che siano statali o che siano europee, e spenderle bene e in modo proficuo. Perché è vero che il sistema centrale ha tagliato tutto e ha tagliato troppo, ma è anche vero che i fondi diretti (non solo i pon dunque) della comunità europea stanno là e non tutte le scuole o gli enti locali, comuni e regioni, si sono attrezzati per prenderli e impiegarli in modo strutturale. Per costruire asili, scuole, per fornire risorse aggiuntive per programmi strutturali e generali contro i mali della scuola, le dispersioni, le disomogeneità di offerta, e non solo per utilizzarli progetti che, al di là della qualità estemporanea,  si sono rivelati inefficaci e a brevissimo respiro. Una scuola che non si adegua ai cambiamenti necessari, pur non snaturandosi, e non risponde all’esigenza dei ragazzi di andare col loro passo, non con il nostro è una scuola perdente che non assolve il suo compito, compito che i ragazzi faranno svolgere ad altri comunque. Perché è vero che dobbiamo formare cittadini alla cittadinanza (ma quanti colleghi conoscono per bene e svolgono questo mandato con consapevolezza e non si limitano a una trasmissione di sapere disciplinare?) e individui alla vita e al mondo, ma abbiamo il dovere sociale di predisporre questi ragazzi al futuro e al lavoro.
L’idiosincrasia e gli equivoci che ho visto e sentito nei riguardi del giusto e necessario rapporto tra scuola e università e lavoro, mondo produttivo, professioni mi fanno interrogare molto sul senso vero che ha il primo articolo della nostra Costituzione per il mondo della scuola, se sente come primaria la necessità di tenersi sganciata proprio dal fare lavoro e da chi fa lavoro. Come se la scuola avesse paura del lavoro, come se ci fosse uno iato profondo tra “mondo intellettuale” e funzione e definizione del lavoro.  Lavoro come lavoro. LAVORO; non come possibile devianza o sfruttamento, o interesse d'impresa. Lavoro. Lavoro come strumenti base da fornire in modo adeguato e senza sarcasmi o negazioni: su tutti l’inglese e le competenze informatiche. Non solo identità e pensiero ma anche strumenti necessari per costruire identità e pensiero oggi. La didattica digitale non è un vezzo per smanettoni, è l'adeguarsi con coscienza, competenza e senso pedagogico, culturale e didattico a ciò che è oggi la condivisione di cultura, a ciò che è oggi il mondo. Non ho sentito altro dai ragazzi quando sono entrata in modo approfondito a parlarne. Ripeto: ferma restando come ineludibile la funzione di educare e crescere cittadini e ferma restando l’autonomia e l’importanza della conoscenza per la conoscenza, ferma restando la forza e l’importanza della cultura passata e del sapere ricevuto, la scuola oggi deve riappropriarsi del paese e può farlo riconnettendosi ad esso, anche attraverso i ragazzi, ascoltandoli in quella che è la prima domanda che si fanno oggi e più che in passato genera dubbi e non certezze: che cacchio farò da grande? Oltre che cacchio sarò. E tale dubbio rischia di coprire e mettere in dubbio il valore autonomo della conoscenza se tale conoscenza non si modula anche nella necessità di dare una risposta in termini di funzione sociale e non solo culturale, civile e identitaria sul senso della scuola. La richiesta primaria oggi impellente oggi riguarda il loro futuro, non il nostro. Non la necessità di salvaguardare la memoria collettiva, perché il passato, il sapere, le conoscenze, valgono nella misura in cui non ci limitiamo a conservare e trasmettere quel pensiero ma nella misura in cui ne realizziamo le speranze, con un linguaggio nuovo, con un fare nuovo da stimolare e non da esorcizzare. 

giovedì 30 ottobre 2014

Neet Generation, ciò che la scuola disperde al Sud pesa sull'Italia intera



di Mila Spicola
Referente nazionale del PD per la Dispersione Scolastica


Il primo problema della scuola sono i ragazzi che perde (don Milani)

Recuperare tutti i ragazzi e tenerli a scuola attraverso un’istruzione di qualità, innovata, ma, ancor più grazie a una politica di qualità, capace di scelte adeguate, è il mezzo più efficace per contrastare la crisi ma, soprattutto, tra le strade e i quartieri che alcuni di noi frequentano, sono il primo mezzo per contrastare la criminalità che tutti sosteniamo di volere combattere.


L’allarme sui dati riguardanti la dispersione scolastica in Italia segnalati più volte sugli organi di stampa è giustificato, l’Italia è tra i 4 paesi europei che hanno i dati più alti di dispersione scolastica nell’aerea comunitaria (cioè abbandono della scuola a 15 anni prima di aver acquisito un diploma). I dati peggiori riguardano proprio le regioni obiettivo convergenza (Sicilia, Sardegna, Calabria, Campania), cioè quelle da anni oggetto di grossi finanziamenti nazionali come della Comunità Europea, proprio a contrasto della dispersione, anche se adesso iniziano ad avere percentuali consistenti di dispersione scolastica anche regioni come la Lombardia, la Val D’Aosta o altre regioni del centro nord, anche se concentrate in alcune aree nelle aree metropolitane periferiche o nelle aree interne.
La dispersione scolastica è un fenomeno complesso che viene analizzato considerando le interazioni tra i sistemi scolastici e i sistemi socio-economico-culturali. Negli ultimi decenni le indagini sulla dispersione hanno messo in relazione le principali manifestazione del fenomeno (gli abbandoni, gli insufficienti livelli di competenza raggiunta, il mancato completamento del ciclo formale di studi) con indicatori utili a rilevare dati e fornire le analisi necessarie per predisporre interventi a ontrasto.
Un contributo rilevante all’approfondimento del fenomeno deriva dai dati ricavati dalle rilevazioni delle indagini internazionali e dalle indagini statistiche elaborate su scala nazionale e europea. Dimensioni, indicatori e cifre descrivono un sistema italiano d’istruzione iniquo, capace di assicurare l’ingresso a tutti gli studenti ma non di garantire a ciascuno il successo formativo. La dispersione scolastica diventa l’aspetto più evidente di tale contraddizione. Nonostante le ricerche, gli interventi e le azioni, nonostante le attenzioni al problema su scala nazionale e comunitaria, il fenomeno non è diminuito nei numeri.
Il problema della dispersione scolastica ha assunto una rilevanza strategico-politica sovranazionale  a partire dalla fine degli anni ’90. La Commissione Europea ha riconosciuto ufficialmente nell’incontro di Lisbona del 23 marzo del 2000  l’importanza dei sistemi d’istruzione  nell’ottica della realizzazione di una knowledge society. In quell’occasione ha adottato una strategia di interventi il cui obiettivo , fissato allora al 2010, era di fare dell’ Unione Europea una “economia bastata sulla conoscenza competitiva e dinamica in modo da realizzare una crescita economica sostenibile, con nuovi e migliori posti di lavoro ed una maggiore coesione sociale”.
Con la strategia di Lisbona, obiettivi come  l’innalzamento dei livelli cognitivi generali, l’acquisizione delle competenze chiave rilevate da indagini internazionali (comprensione di un testo nella lingua madre e ragionamento logico-matematico, bassi rendimenti da contenere entro il 15%) e l’abbattimento dei tassi di dispersione scolastica (da contenere entro il 10%) sono stati compresi nel quadro degli interventi normativi e delle azioni comunitarie con una conseguente destinazione di risorse specifiche in un quadro di  comparazione e di valutazione europeo e internazionale.

I dati.
L’Italia, nonostante i miglioramenti osservati a partire dal 2000, occupa ancora una posizione di ritardo: nel 2006 il 20,8% dei ragazzi era fermo alla licenza media senza frequentare alcun corso di formazione, contro una media europea del 15,3%. Le regioni con le più evidenti difficoltà sono la Valle d’Aosta (29,5%), che mostra tra 2006 e 2007 uno scivolamento verso il basso della classifica, la Campania (28,8%), la Sicilia (26%) e la Puglia (23,9%) (Mpi, 2009). Nel rapporto l’entità degli abbandoni scolastici è rappresentata dal numero degli studenti che durante un determinato anno scolastico interrompono gli studi senza comunicarlo alla scuola. Sono numeri critici, almeno per l’area UE (in pochi sanno che negli Stati Uniti i tassi di abbandono scolastico hanno superato il 50%, ma questa è un’altra storia).
Per il centro nord d’Italia la valutazione è complessa: la scuola appare scollegata dal mondo del lavoro, che anche se in crisi c’è, ed  è proprio il mercato produttivo ad attrarre giovanissimi con fragilità scolastiche per lavori di bassa qualifica. Per il Sud le cause sono diverse, e sono direttamente connesse ai ritardi socio economici; non dobbiamo stupirci, da anni le indagini sui rendimenti verificano un rapporto diretto tra rendimenti scolastici e contesto socioeconomico culturale familiare, sono conferme di riflessioni effettuate già mezo secolo fa da Don Milani, come da esponenti della ricerca educativa come Visalbergi.  Quello che sappiamo in più è che tutto ciò va osservato in relazione ai divari cognitivi profondi provocati da un sistema scolastico diseguale anche nell’offerta formativa man mano che si procede da nord a sud. Al sud si rileva una scarsissima azione di compensazione dei divari sulle competenze di base e sulle conoscenze informali da parte del sistema educativo in età precoce: cioè l’ assenza di asili e l’assenza di tempo pieno rafforzano le debolezze in entrata e i divari dei livelli cognitivi aumentano andando avanti nel percorso scolastico piuttosto che diminuire. Si tratta delle aree più povere d’Italia con il tasso di povertà infantile più alto d’Italia (in Sicilia un bambino su due vive sotto la soglia di povertà). Osserviamo dunque come i problemi a scuola dei nostri alunni siano lo specchio tragico e visibile dei loro problemi familiari e dei problemi economici delle aree regresse senza che la scuola, deprivata di tempo e di risorse, possa agire in modo adeguato e incisivo.
Nelle regioni ad alto tasso dispersione e scarsi livelli di rendimento cioè non sono state predisposte o messe in atto adeguate politiche compensative, di tipo strutturale e continuo nel ciclo scolastico primario e nel periodo prescolastico. Piuttosto il contrario: le condizioni strutturali, organizzative e finanziarie della Scuola siciliana ad esempio presentano gravissime criticità per quel che riguarda l’offerta educativa.
In Sicilia c’è il record di  Neet, ragazzi, tra i 15 e il 29 anni, che non studiano e non lavorano: dovremmo stupirci? Due giovani su quattro tra i 15 e i 34 anni in Sicilia non lavorano e non studiano, non fanno neanche uno stage. Sono giovani condannati a consumare senza il diritto di produrre e senza il diritto di sapere. Eppure regioni come la Sicilia sono da anni oggetto di fondi europei dedicati e centinaia di milioni di euro sono stati impiegati, sarebbe meglio dire mal impiegati nella formazione professionale. Ma sono i dati dell’evasione scolastica anche nel periodo dell’obbligo, sotto i 15 anni,  a provarci  che il fenomeno ha raggiunto livelli allarmanti e inediti. 262 famiglie nella sola provincia di Palermo, la scorsa settimana sono state denunciate ai carabinieri per mancata osservazione dell’obbligo scolastico dei loro figli. 262 famiglie.
Il procedimento legale di accertamento, di condanna, di burocrazia connessa costa allo stato circa 2mila euro ad alunno, mentre la sanzione per la famiglia è di soli 10 euro. Mi chiedo cosa farebbero queste famiglie (le cui condizioni di povertà spesso sono allarmanti) se avessero direttamente quei 2mila euro.
In realtà le ‘azioni a contrasto’,  a firma regionale o locale, (dal sistema della formazione professionale al sistema del proiettificio messo in piedi nelle scuole) sono sempre inadeguate perchè non agiscono sui numeri complessivi, sono di scarso respiro, frammentate, discontinue, inefficaci e predisposte, bene che vada, con ottime intenzioni e grande perizia, ma con risultati davvero limitatissimi, male che vada, non nel vero interesse dei ragazzi, ma nell’interesse di altri.

Cosa s'è fatto
Nelle regioni obiettivo convergenza la lotta alla dispersione scolastica è stata ed è svolta nel mondo della scuola e delle politiche scolastiche predisponendo progetti finanziati dai Pon che hanno agito nel tempo extracurriculare e come azioni di formazione non formale, destinate a studenti dei primi anni delle scuole superiori, con obiettivi per lo più “motivazionali”, ma lasciando spesso immutati i livelli di rendimento formali e dunque vanificando sostanzialmente le azioni. Se viene definito dispersione anche il basso rendimento nelle competenze di base il corso di teatro, o sulla legalità, o su non so cos’altro, favorisce sicuramente l’inclusione sociale a scuola, ma non agisce sul miglioramento di quelle competenze e rimane comunque completamente sganciato dalla “vita scolastica” complessiva della classe.
La dispersione, fenomeno strutturale multidimensionale si continua a combattere con azioni puntuali e monodirezionali. Oltre che discontinue ed extracurriculari. La dispersione scolastica non è solo l’abbandono, lo ripeto, ma è anche lo scarso rendimento. E l’abbandono è causato decisamente dallo scarso rendimento. Ogni drop out ha sul suo portofolio scolastico, oltre le criticità di contesto di provenienza, familiare e geoeconomico, il non aver frequentato l’asilo, il non aver goduto di tempo pieno, una o più bocciature e l’essere stato orientato verso percorsi di scuola superiore professionale con prime classi numerosissime in cui nessuno, nel tempo formale scolastico, ha la possibilità di poterne recuperare le debolezze nelle competenze chiave (detto con parole semplici: non sa leggere, scrivere e fare di conto in modo pari ai propri pari) che possano inserirlo a pieno titolo nella vita della classe: è colui che rimane indietro e indietro resta. Azioni “motivanti”, lo sport, la musica, il teatro, predisposte dalle scuole superiori per recuperare i possibili dropouts non sono in grado di agire sul recupero delle competenze di base mai maturate e dunque, se anche riescono a “tenere a scuola” il ragazzo, quest’ultimo rimane comunque un dropout.
Il punto è che i destinatari di queste azioni molto spesso sono i primi a non esserne raggiunti. Dal corso di teatro, ai percorsi della legalità, ad altre magnifiche azioni nobili in sè ma assolutamente inefficaci sul piano strutturale: spesso i dispersi son quelli che non ne vogliono usufruire. I dispersi sono ragazzi che lavorano nei campi, che scaricano cassette nei mercati, che aiutano le mamme nei lavori di casa. Difficile tenerli a scuola. Ancor più difficile in classe quando non sanno neppure di cosa stanno parlando compagni e docenti e quando si addormentano in classe o creano scompiglio per noia o disadattamento. E quando la sospensione per problemi disciplinari diventa un regalo e non una pena. Una partita di pallone o uno spettacolo su Borsellino, con tutto il rispetto e la franchezza, può giovare ma non salvarli. Può renderli protagonisti per un giorno e poi lasciarli di nuovo per 364 giorni ultimi. Ed è ipocrita o miope chi ritiene il contrario. Lo salverebbe semplicemente una buona formazione di base, che lo metta alla pari. Subito, fin da piccolo.
E’ logico che agire su quelle carenze strutturali sopra dette, con l’obiettivo di abbattere i divari cognitivi all’ingresso e di rafforzare o maturare bene e subito, le competenze di base,  sarebbe il primo passo per prevenirla la dispersione, anziché curarla quando già è troppo tardi. 
Le politiche  regionali contro la dispersione scolastica invece, si sono sempre concentrate sui percorsi di formazione professionale affidata agli enti oppure, agendo nei percorsi formali della scuola statale,  sul recupero in età adolescenziale attraverso veri e propri “progettifici”, azione che non ha funzionato e continua a non funzionare. Abbiamo l’occasione della programmazione dei Fondi comunitari per il 2014-2020.
Sarebbe il caso di cambiare verso e di impiegarli  in azioni strutturali e durature per il futuro dei ragazzi.
Ci sono gli assi per l’Infanzia, le misure per l’Istruzione, perché non prevedere alcune linee di intervento con una regia unica e persone preposte dentro gli assessorati regionali delle regioni obiettivo convergenza e dentro gli uffici scolastici regionali piuttosto che disperderli in mille rivoli di interventi e progetti scolastici poco controllabili e poco efficaci sul piano dei risultati complessivi?

Cosa cambiare e perchè.
Contro la dispersione scolastica e per innalzare i livelli medi di rendimento dei nostri studenti si dovrebbe agire urgentemente con provvedimenti precisi, che incidano in maniera specifica, organica e non frammentata nella lotta alla dispersione scolastica e che mettano gli allievi nelle condizioni migliori di imparare. Agendo a monte, fin da subito, fin dai primi anni di scuola e di vita prescolare, con azioni precise da effettuare nel mondo della scuola, nel segno della continuità e della programmazione a lungo termine.
Su questo mi permetto di avanzare alcune richieste inderogabili, per mettere i ragazzi siciliani, del Sud in genere, in linea con il resto d’Italia e dare loro le stesse opportunità di partenza:
-       Dotare la Sicilia e le regioni obiettivo convergenza di una percentuale congrua di asili e di scuole dell’infanzia (fondamentali nel determinare il successo scolastico dei bambini nel ciclo di studi successivo come provano indagini di vario tipo e come riportano anche le rilevazioni Ocse Pisa). A fronte di uno standard europeo richiesto del 30% in Sicilia solo meno del 2% dei bambini viene ammesso a frequentare un asilo comunale, per assenza di asili e di personale assicurato dai Comuni mentre la media italiana è del 14%.
-       Assicurare il tempo pieno nella scuola primaria e il tempo prolungato alla scuola media (adeguando edifici e organici e mettendo a regime il servizio mense). In Lombardia il tempo pieno copre l’85% delle scuole mentre in Sicilia non copre nemmeno il 5%, rappresentando una forma di discriminazione anticostituzionale. Eppure il costo pro capite di un alunno siciliano è superiore del costo pro capite di un alunno lombardo. Oggi a stento assicuriamo il minimo delle ore e spesso nemmeno quelle, a causa delle incerte dotazioni strutturali di beni immobili e di risorse umane. Più scuola fin da piccoli e meno debolezze si accumulano, meno possibilità di essere abbandonati alla strada e al nulla. I Neet siciliani sono ragazzi che sono stati bambini svantaggiati, bisognosi di tempo, di cure e attenzioni, di cui la scuola non riesce a farsi carico per i limiti strutturali che conosciamo tutti: poche ore di scuola, classi affollate, edifici indegni. Il tempo pieno nel primo ciclo dell’istruzione è l’ azione più efficaci a contrasto della dispersione scolastica, anche questo dato è provato da ogni genere di indagine e di rilevazione. Attenzione, non il doposcuola o il progettificio a cui ci siamo abituati con i progetti pon o por, o i fondi  pioggia contro la dispersione, bensì, lo ripeto, il tempo pieno (tra l’altro  impiegherebbe maggiori risorse professionali statali in modo stabile e non precario a vantaggio anche dei dati occupazionali).
-       Agire in modo organico (e cioè nel curriculo formale della scuola, non solo in quello extracurriculare) nel recupero delle debolezze in italiano e matematica nel primo ciclo scolastico (causa dell’accumularsi di quelle lacune poi incolmabili che contribuiscono in modo determinante la distanza dei ragazzi dalla scuola) con risorse professionali provenienti dalle graduatorie scolastiche, piene di docenti abilitati e vincitori di concorso (con doppio obiettivo anche sul piano occupazionale) adeguatamente preparati a tale azione di soccorso anche con didattica specifica e innovata. O con organico funzionale. Azione sperimentata e monitorata con successo in regioni come la Puglia
-       Formare docenti e dirigenti, soprattutto i dirigenti, di ogni ordine di scuole delle aree a rischio del paese a una mission precisa: recuperare, recuperare, recuperare. Per questo servono formazione specifica di livello, organizzazione scolastica conseguente, innovazione didattica, tempo scuola, flessibilità e risorse. Ogni bocciato in queste aree è un disperso: recuperarlo prima che bocciarlo. Ripeto, fin dall’asilo. Fin dalla primaria, alla secondaria di secondo grado è troppo tardi: ogni classe pollaio di scuola secondaria lascia fisiologicamente per strada (bocciandoli per impossibilità di recuperarne gli scarsi livelli di rendimento) una percentuale di alunni che saranno dispersi.
-    Innovazione, innovazione, innovazione. Cambiare i paradigmi scolastici. Innovazione organizzativa, metodologica, pedagogica, strumentale. Innovare vuol dire anche attivare le reti: sociali, politiche, economiche, digitali. Pensare in rete. Aprire le scuole. Dare un senso alla scuola in luoghi dove oggi non ha senso agli occhi di famiglie deprivate e di ragazzi demotivati. E il senso è uno solo: il lavoro accanto alla formazione. Il lavoro accanto al pensiero libero. Ripensare l'alternanza scuola lavoro in modo fattivo: che la scuola crei o aiuti a creare dal nulla il lavoro che non c'è, rendendo imprenditori di se stessi i ragazzi, responsabilizzandoli anzichè colpevolizzarli. Solo così si salvano i dispersi. 
-     Creare un dialogo scuola imprese sul territorio e fuori dal territorio per stimolare le famigerate soft skills, le 16 competenze trasversali (soprattutto quelle digitali) necessarie per affrontare il sistema economico produttivo, in percorsi di alternanza scuola lavoro
-      Creare un dialogo scuola imprese sul territorio e fuori dal territorio per attivare progetti di tirocinio e apprendistato di alta qualità. Punto da non confondere col precedente. 
-       Un piano programmato per l’edilizia scolastica. Non è possibile che gli edifici scolastici siciliani versino in quelle condizioni. Non è possibile che molti di questi edifici siano in affitto. Non è possibile che molti di quelli in affitto siano in beni confiscati non assegnati e di cui lo Stato paga affitti esorbitanti. Non è possibile anche e semplicemente perché non sono scuole. Anche questo è possibile farlo con fondi UE, incanalando le somme previste per l’area Green Economy: si potrebbero sperimentare edifici scolastici a basso consumo energetico e con uso innovativo di materiali e di spazi. Dando una piccola risposta anche alla grave crisi in cui versa il comparto edilizio.

Sono le azioni programmatiche e a lungo termine nel segno della qualità, non dell’approssimazione e dell’ improvvisazione, o dell’emergenza quelle necessarie e urgenti per gli studenti. 
La politica si misura in mandati elettorali a breve termine, l'education si misura in decenni. Teniamolo sempre presente. 


Recuperare tutti i ragazzi e tenerli a scuola attraverso un’istruzione di qualità, ma, ancor più grazie a una politica di qualità, capace di scelte adeguate, è il mezzo più efficace per contrastare la crisi ma, soprattutto, tra le strade e i quartieri che alcuni di noi frequentano, sono il primo mezzo per contrastare la criminalità che tutti sosteniamo di volere combattere.