di Mila Spicola
Referente nazionale del PD per la Dispersione Scolastica
Il primo problema della scuola sono i
ragazzi che perde (don Milani)
Recuperare tutti i ragazzi e tenerli a scuola attraverso un’istruzione di qualità, innovata, ma, ancor più grazie a una politica di qualità, capace di scelte adeguate, è il mezzo più efficace per contrastare la crisi ma, soprattutto, tra le strade e i quartieri che alcuni di noi frequentano, sono il primo mezzo per contrastare la criminalità che tutti sosteniamo di volere combattere.
L’allarme
sui dati riguardanti la dispersione scolastica in Italia segnalati più volte
sugli organi di stampa è giustificato, l’Italia è tra i 4 paesi europei che
hanno i dati più alti di dispersione scolastica nell’aerea comunitaria (cioè
abbandono della scuola a 15 anni prima di aver acquisito un diploma). I dati
peggiori riguardano proprio le regioni obiettivo convergenza (Sicilia,
Sardegna, Calabria, Campania), cioè quelle da anni oggetto di grossi
finanziamenti nazionali come della Comunità Europea, proprio a contrasto della
dispersione, anche se adesso iniziano ad avere percentuali consistenti di
dispersione scolastica anche regioni come la Lombardia, la Val D’Aosta o altre
regioni del centro nord, anche se concentrate in alcune aree nelle aree
metropolitane periferiche o nelle aree interne.
La dispersione scolastica è un fenomeno complesso
che viene analizzato considerando le interazioni tra i sistemi scolastici e i
sistemi socio-economico-culturali. Negli ultimi decenni le indagini sulla
dispersione hanno messo in relazione le principali manifestazione del fenomeno
(gli abbandoni, gli insufficienti livelli di competenza raggiunta, il mancato
completamento del ciclo formale di studi) con indicatori utili a rilevare dati
e fornire le analisi necessarie per predisporre interventi a ontrasto.
Un
contributo rilevante all’approfondimento del fenomeno deriva dai dati ricavati
dalle rilevazioni delle indagini internazionali e dalle indagini statistiche
elaborate su scala nazionale e europea. Dimensioni, indicatori e cifre
descrivono un sistema italiano d’istruzione iniquo, capace di assicurare
l’ingresso a tutti gli studenti ma non di garantire a ciascuno il successo
formativo. La dispersione scolastica diventa l’aspetto più evidente di tale
contraddizione. Nonostante le ricerche, gli interventi e le azioni, nonostante
le attenzioni al problema su scala nazionale e comunitaria, il fenomeno non è
diminuito nei numeri.
Il problema della dispersione scolastica ha assunto una
rilevanza strategico-politica sovranazionale
a partire dalla fine degli anni ’90. La Commissione Europea ha
riconosciuto ufficialmente nell’incontro di Lisbona del 23 marzo del 2000 l’importanza dei sistemi d’istruzione nell’ottica della realizzazione di una knowledge society. In quell’occasione ha
adottato una strategia di interventi il cui obiettivo , fissato allora al 2010,
era di fare dell’ Unione Europea una “economia
bastata sulla conoscenza competitiva e dinamica in modo da realizzare una
crescita economica sostenibile, con nuovi e migliori posti di lavoro ed una
maggiore coesione sociale”.
Con la strategia di Lisbona, obiettivi come l’innalzamento dei livelli cognitivi generali,
l’acquisizione delle competenze chiave
rilevate da indagini internazionali (comprensione di un testo nella lingua
madre e ragionamento logico-matematico, bassi rendimenti da contenere entro il
15%) e l’abbattimento dei tassi di dispersione scolastica (da contenere entro
il 10%) sono stati compresi nel quadro degli interventi normativi e delle
azioni comunitarie con una conseguente destinazione di risorse specifiche in un
quadro di comparazione e di valutazione
europeo e internazionale.
I dati.
L’Italia,
nonostante i miglioramenti osservati a partire dal 2000, occupa ancora una
posizione di ritardo: nel 2006 il 20,8% dei ragazzi era fermo alla licenza
media senza frequentare alcun corso di formazione, contro una media europea del
15,3%. Le regioni con le più evidenti difficoltà sono la Valle d’Aosta (29,5%),
che mostra tra 2006 e 2007 uno scivolamento verso il basso della classifica, la
Campania (28,8%), la Sicilia (26%) e la Puglia (23,9%) (Mpi, 2009). Nel rapporto l’entità degli abbandoni scolastici è rappresentata dal numero degli
studenti che durante un determinato anno scolastico interrompono gli studi
senza comunicarlo alla scuola.
Sono numeri critici, almeno per l’area
UE (in pochi sanno che negli Stati Uniti i tassi di abbandono scolastico hanno
superato il 50%, ma questa è un’altra storia).
Per il centro nord d’Italia
la valutazione è complessa: la scuola appare scollegata dal mondo del lavoro, che
anche se in crisi c’è, ed è proprio il
mercato produttivo ad attrarre giovanissimi con fragilità scolastiche per
lavori di bassa qualifica. Per il Sud le cause sono diverse, e sono
direttamente connesse ai ritardi socio economici; non dobbiamo stupirci, da
anni le indagini sui rendimenti verificano un rapporto diretto tra rendimenti
scolastici e contesto socioeconomico culturale familiare, sono conferme di
riflessioni effettuate già mezo secolo fa da Don Milani, come da esponenti
della ricerca educativa come Visalbergi. Quello che sappiamo in più è che tutto ciò va
osservato in relazione ai divari cognitivi profondi provocati da un sistema
scolastico diseguale anche nell’offerta formativa man mano che si procede da
nord a sud. Al sud si rileva una scarsissima azione di compensazione dei divari
sulle competenze di base e sulle conoscenze informali da parte del sistema
educativo in età precoce: cioè l’ assenza di asili e l’assenza di tempo pieno
rafforzano le debolezze in entrata e i divari dei livelli cognitivi aumentano andando
avanti nel percorso scolastico piuttosto che diminuire. Si tratta delle aree
più povere d’Italia con il tasso di povertà infantile più alto d’Italia (in
Sicilia un bambino su due vive sotto la soglia di povertà). Osserviamo dunque come
i problemi a scuola dei nostri alunni siano lo specchio tragico e visibile dei
loro problemi familiari e dei problemi economici delle aree regresse senza che
la scuola, deprivata di tempo e di risorse, possa agire in modo adeguato e
incisivo.
Nelle
regioni ad alto tasso dispersione e scarsi livelli di rendimento cioè non sono
state predisposte o messe in atto adeguate politiche compensative, di tipo strutturale
e continuo nel ciclo scolastico primario e nel periodo prescolastico. Piuttosto
il contrario: le condizioni strutturali, organizzative e finanziarie della
Scuola siciliana ad esempio presentano gravissime criticità per quel che
riguarda l’offerta educativa.
In
Sicilia c’è il record di Neet, ragazzi,
tra i 15 e il 29 anni, che non studiano e non lavorano: dovremmo stupirci? Due
giovani su quattro tra i 15 e i 34 anni in Sicilia non lavorano e non studiano,
non fanno neanche uno stage. Sono giovani condannati a consumare senza il
diritto di produrre e senza il diritto di sapere. Eppure regioni come la
Sicilia sono da anni oggetto di fondi europei dedicati e centinaia di milioni
di euro sono stati impiegati, sarebbe meglio dire mal impiegati nella
formazione professionale. Ma sono i dati dell’evasione scolastica anche nel
periodo dell’obbligo, sotto i 15 anni, a
provarci che il fenomeno ha raggiunto
livelli allarmanti e inediti. 262 famiglie nella sola provincia di Palermo, la
scorsa settimana sono state denunciate ai carabinieri per mancata osservazione
dell’obbligo scolastico dei loro figli. 262 famiglie.
Il
procedimento legale di accertamento, di condanna, di burocrazia connessa costa
allo stato circa 2mila euro ad alunno, mentre la sanzione per la famiglia è di
soli 10 euro. Mi chiedo cosa farebbero queste famiglie (le cui condizioni di
povertà spesso sono allarmanti) se avessero direttamente quei 2mila euro.
In realtà le ‘azioni a
contrasto’, a firma regionale o locale, (dal
sistema della formazione professionale al sistema del proiettificio messo in
piedi nelle scuole) sono sempre inadeguate perchè non agiscono sui numeri
complessivi, sono di scarso respiro, frammentate, discontinue, inefficaci e
predisposte, bene che vada, con ottime intenzioni e grande perizia, ma con
risultati davvero limitatissimi, male che vada, non nel vero interesse dei
ragazzi, ma nell’interesse di altri.
Cosa s'è fatto
Nelle regioni obiettivo
convergenza la lotta alla dispersione scolastica è stata ed è svolta nel mondo
della scuola e delle politiche scolastiche predisponendo progetti finanziati
dai Pon che hanno agito nel tempo extracurriculare e come azioni di formazione
non formale, destinate a studenti dei primi anni delle scuole superiori, con
obiettivi per lo più “motivazionali”, ma lasciando spesso immutati i livelli di
rendimento formali e dunque vanificando sostanzialmente le azioni. Se viene
definito dispersione anche il basso rendimento nelle competenze di base il
corso di teatro, o sulla legalità, o su non so cos’altro, favorisce sicuramente
l’inclusione sociale a scuola, ma non agisce sul miglioramento di quelle
competenze e rimane comunque completamente sganciato dalla “vita scolastica”
complessiva della classe.
La dispersione, fenomeno
strutturale multidimensionale si continua a combattere con azioni puntuali e
monodirezionali. Oltre che discontinue ed extracurriculari. La dispersione
scolastica non è solo l’abbandono, lo ripeto, ma è anche lo scarso rendimento. E
l’abbandono è causato decisamente dallo scarso rendimento. Ogni drop out ha sul
suo portofolio scolastico, oltre le criticità di contesto di provenienza,
familiare e geoeconomico, il non aver frequentato l’asilo, il non aver goduto
di tempo pieno, una o più bocciature e l’essere stato orientato verso percorsi di
scuola superiore professionale con prime classi numerosissime in cui nessuno,
nel tempo formale scolastico, ha la possibilità di poterne recuperare le
debolezze nelle competenze chiave (detto con parole semplici: non sa leggere,
scrivere e fare di conto in modo pari ai propri pari) che possano inserirlo a
pieno titolo nella vita della classe: è colui che rimane indietro e indietro
resta. Azioni “motivanti”, lo sport, la musica, il teatro, predisposte dalle
scuole superiori per recuperare i possibili dropouts non sono in grado di agire
sul recupero delle competenze di base mai maturate e dunque, se anche riescono
a “tenere a scuola” il ragazzo, quest’ultimo rimane comunque un dropout.
Il punto è che i
destinatari di queste azioni molto spesso sono i primi a non esserne raggiunti.
Dal corso di teatro, ai percorsi della legalità, ad altre magnifiche azioni
nobili in sè ma assolutamente inefficaci sul piano strutturale: spesso i
dispersi son quelli che non ne vogliono usufruire. I dispersi sono ragazzi che
lavorano nei campi, che scaricano cassette nei mercati, che aiutano le mamme
nei lavori di casa. Difficile tenerli a scuola. Ancor più difficile in classe
quando non sanno neppure di cosa stanno parlando compagni e docenti e quando si
addormentano in classe o creano scompiglio per noia o disadattamento. E quando
la sospensione per problemi disciplinari diventa un regalo e non una pena. Una
partita di pallone o uno spettacolo su Borsellino, con tutto il rispetto e la
franchezza, può giovare ma non salvarli. Può renderli protagonisti per un
giorno e poi lasciarli di nuovo per 364 giorni ultimi. Ed è ipocrita o miope
chi ritiene il contrario. Lo salverebbe semplicemente una buona formazione di
base, che lo metta alla pari. Subito, fin da piccolo.
E’ logico che agire su
quelle carenze strutturali sopra dette, con l’obiettivo di abbattere i divari
cognitivi all’ingresso e di rafforzare o maturare bene e subito, le competenze
di base, sarebbe il primo passo per
prevenirla la dispersione, anziché curarla quando già è troppo tardi.
Le
politiche regionali contro la
dispersione scolastica invece, si sono sempre concentrate sui percorsi di
formazione professionale affidata agli enti oppure, agendo nei percorsi formali
della scuola statale, sul recupero in
età adolescenziale attraverso veri e propri “progettifici”, azione che non ha
funzionato e continua a non funzionare. Abbiamo l’occasione della
programmazione dei Fondi comunitari per il 2014-2020.
Sarebbe
il caso di cambiare verso e di impiegarli in azioni strutturali e durature per il futuro
dei ragazzi.
Ci
sono gli assi per l’Infanzia, le misure per l’Istruzione, perché non prevedere
alcune linee di intervento con una regia unica e persone preposte dentro gli
assessorati regionali delle regioni obiettivo convergenza e dentro gli uffici
scolastici regionali piuttosto che disperderli in mille rivoli di interventi e
progetti scolastici poco controllabili e poco efficaci sul piano dei risultati
complessivi?
Cosa cambiare e perchè.
Contro
la dispersione scolastica e per innalzare i livelli medi di rendimento dei
nostri studenti si dovrebbe agire urgentemente con provvedimenti precisi, che
incidano in maniera specifica, organica e non frammentata nella lotta alla
dispersione scolastica e che mettano gli allievi nelle condizioni migliori di
imparare. Agendo a monte, fin da subito, fin dai primi anni di scuola e di vita
prescolare, con azioni precise da effettuare nel mondo della scuola, nel segno
della continuità e della programmazione a lungo termine.
Su
questo mi permetto di avanzare alcune richieste inderogabili, per mettere i ragazzi siciliani, del Sud in
genere, in linea con il resto d’Italia e dare loro le stesse opportunità di
partenza:
-
Dotare la Sicilia
e le regioni obiettivo convergenza di una percentuale congrua di asili e di scuole
dell’infanzia (fondamentali nel determinare il successo scolastico dei bambini nel ciclo
di studi successivo come provano indagini di vario tipo e come riportano anche le rilevazioni Ocse
Pisa). A fronte di uno standard europeo richiesto del 30% in Sicilia solo
meno del 2% dei bambini viene ammesso a frequentare un asilo comunale, per
assenza di asili e di personale assicurato dai Comuni mentre la media italiana
è del 14%.
-
Assicurare il
tempo pieno nella scuola primaria e il tempo prolungato alla scuola media
(adeguando edifici e organici e mettendo a regime il servizio mense). In
Lombardia il tempo pieno copre l’85% delle scuole mentre in Sicilia non copre
nemmeno il 5%, rappresentando una forma di discriminazione anticostituzionale.
Eppure il costo pro capite di un alunno siciliano è superiore del costo pro
capite di un alunno lombardo. Oggi a stento assicuriamo il minimo delle ore e
spesso nemmeno quelle, a causa delle incerte dotazioni strutturali di beni
immobili e di risorse umane. Più scuola fin da piccoli e meno debolezze si
accumulano, meno possibilità di essere abbandonati alla strada e al nulla. I
Neet siciliani sono ragazzi che sono stati bambini svantaggiati, bisognosi di
tempo, di cure e attenzioni, di cui la scuola non riesce a farsi carico per i
limiti strutturali che conosciamo tutti: poche ore di scuola, classi affollate,
edifici indegni. Il tempo pieno nel primo ciclo dell’istruzione è l’ azione
più efficaci a contrasto della dispersione scolastica, anche questo dato è
provato da ogni genere di indagine e di rilevazione. Attenzione, non il
doposcuola o il progettificio a cui ci siamo abituati con i progetti pon o por,
o i fondi pioggia contro la dispersione,
bensì, lo ripeto, il tempo pieno (tra l’altro impiegherebbe maggiori risorse professionali statali
in modo stabile e non precario a vantaggio anche dei dati occupazionali).
-
Agire in modo
organico (e cioè nel curriculo formale della scuola, non solo in quello
extracurriculare) nel recupero delle debolezze in italiano e matematica nel primo
ciclo scolastico (causa dell’accumularsi di quelle lacune poi incolmabili che
contribuiscono in modo determinante la distanza dei ragazzi dalla scuola) con
risorse professionali provenienti dalle graduatorie scolastiche, piene di
docenti abilitati e vincitori di concorso (con doppio obiettivo anche sul piano
occupazionale) adeguatamente preparati a tale azione di soccorso anche con
didattica specifica e innovata. O con organico funzionale. Azione sperimentata
e monitorata con successo in regioni come la Puglia
-
Formare docenti e
dirigenti, soprattutto i dirigenti, di ogni ordine di scuole delle aree a
rischio del paese a una mission precisa: recuperare, recuperare, recuperare.
Per questo servono formazione specifica di livello, organizzazione scolastica
conseguente, innovazione didattica, tempo scuola, flessibilità e risorse. Ogni bocciato in
queste aree è un disperso: recuperarlo prima che bocciarlo. Ripeto, fin
dall’asilo. Fin dalla primaria, alla secondaria di secondo grado è troppo
tardi: ogni classe pollaio di scuola secondaria lascia fisiologicamente per
strada (bocciandoli per impossibilità di recuperarne gli scarsi livelli di
rendimento) una percentuale di alunni che saranno dispersi.
- Innovazione, innovazione, innovazione. Cambiare i paradigmi scolastici. Innovazione organizzativa, metodologica, pedagogica, strumentale. Innovare vuol dire anche attivare le reti: sociali, politiche, economiche, digitali. Pensare in rete. Aprire le scuole. Dare un senso alla scuola in luoghi dove oggi non ha senso agli occhi di famiglie deprivate e di ragazzi demotivati. E il senso è uno solo: il lavoro accanto alla formazione. Il lavoro accanto al pensiero libero. Ripensare l'alternanza scuola lavoro in modo fattivo: che la scuola crei o aiuti a creare dal nulla il lavoro che non c'è, rendendo imprenditori di se stessi i ragazzi, responsabilizzandoli anzichè colpevolizzarli. Solo così si salvano i dispersi.
- Creare un dialogo scuola imprese sul territorio e fuori dal territorio per stimolare le famigerate soft skills, le 16 competenze trasversali (soprattutto quelle digitali) necessarie per affrontare il sistema economico produttivo, in percorsi di alternanza scuola lavoro
- Creare un dialogo scuola imprese sul territorio e fuori dal territorio per attivare progetti di tirocinio e apprendistato di alta qualità. Punto da non confondere col precedente.
- Innovazione, innovazione, innovazione. Cambiare i paradigmi scolastici. Innovazione organizzativa, metodologica, pedagogica, strumentale. Innovare vuol dire anche attivare le reti: sociali, politiche, economiche, digitali. Pensare in rete. Aprire le scuole. Dare un senso alla scuola in luoghi dove oggi non ha senso agli occhi di famiglie deprivate e di ragazzi demotivati. E il senso è uno solo: il lavoro accanto alla formazione. Il lavoro accanto al pensiero libero. Ripensare l'alternanza scuola lavoro in modo fattivo: che la scuola crei o aiuti a creare dal nulla il lavoro che non c'è, rendendo imprenditori di se stessi i ragazzi, responsabilizzandoli anzichè colpevolizzarli. Solo così si salvano i dispersi.
- Creare un dialogo scuola imprese sul territorio e fuori dal territorio per stimolare le famigerate soft skills, le 16 competenze trasversali (soprattutto quelle digitali) necessarie per affrontare il sistema economico produttivo, in percorsi di alternanza scuola lavoro
- Creare un dialogo scuola imprese sul territorio e fuori dal territorio per attivare progetti di tirocinio e apprendistato di alta qualità. Punto da non confondere col precedente.
-
Un piano
programmato per l’edilizia scolastica. Non è possibile che gli edifici
scolastici siciliani versino in quelle condizioni. Non è possibile che molti di
questi edifici siano in affitto. Non è possibile che molti di quelli in affitto
siano in beni confiscati non assegnati e di cui lo Stato paga affitti
esorbitanti. Non è possibile anche e semplicemente perché non sono scuole. Anche
questo è possibile farlo con fondi UE, incanalando le somme previste per l’area
Green Economy: si potrebbero sperimentare edifici scolastici a basso consumo
energetico e con uso innovativo di materiali e di spazi. Dando una piccola
risposta anche alla grave crisi in cui versa il comparto edilizio.
Sono
le azioni programmatiche e a lungo termine nel segno della qualità, non
dell’approssimazione e dell’ improvvisazione, o dell’emergenza quelle necessarie
e urgenti per gli studenti.
La politica si misura in mandati elettorali a breve termine, l'education si misura in decenni. Teniamolo sempre presente.
Recuperare
tutti i ragazzi e tenerli a scuola attraverso un’istruzione di qualità, ma,
ancor più grazie a una politica di qualità, capace di scelte adeguate, è il
mezzo più efficace per contrastare la crisi ma, soprattutto, tra le strade e i
quartieri che alcuni di noi frequentano, sono il primo mezzo per contrastare la
criminalità che tutti sosteniamo di volere combattere.