giovedì 30 ottobre 2014

Neet Generation, ciò che la scuola disperde al Sud pesa sull'Italia intera



di Mila Spicola
Referente nazionale del PD per la Dispersione Scolastica


Il primo problema della scuola sono i ragazzi che perde (don Milani)

Recuperare tutti i ragazzi e tenerli a scuola attraverso un’istruzione di qualità, innovata, ma, ancor più grazie a una politica di qualità, capace di scelte adeguate, è il mezzo più efficace per contrastare la crisi ma, soprattutto, tra le strade e i quartieri che alcuni di noi frequentano, sono il primo mezzo per contrastare la criminalità che tutti sosteniamo di volere combattere.


L’allarme sui dati riguardanti la dispersione scolastica in Italia segnalati più volte sugli organi di stampa è giustificato, l’Italia è tra i 4 paesi europei che hanno i dati più alti di dispersione scolastica nell’aerea comunitaria (cioè abbandono della scuola a 15 anni prima di aver acquisito un diploma). I dati peggiori riguardano proprio le regioni obiettivo convergenza (Sicilia, Sardegna, Calabria, Campania), cioè quelle da anni oggetto di grossi finanziamenti nazionali come della Comunità Europea, proprio a contrasto della dispersione, anche se adesso iniziano ad avere percentuali consistenti di dispersione scolastica anche regioni come la Lombardia, la Val D’Aosta o altre regioni del centro nord, anche se concentrate in alcune aree nelle aree metropolitane periferiche o nelle aree interne.
La dispersione scolastica è un fenomeno complesso che viene analizzato considerando le interazioni tra i sistemi scolastici e i sistemi socio-economico-culturali. Negli ultimi decenni le indagini sulla dispersione hanno messo in relazione le principali manifestazione del fenomeno (gli abbandoni, gli insufficienti livelli di competenza raggiunta, il mancato completamento del ciclo formale di studi) con indicatori utili a rilevare dati e fornire le analisi necessarie per predisporre interventi a ontrasto.
Un contributo rilevante all’approfondimento del fenomeno deriva dai dati ricavati dalle rilevazioni delle indagini internazionali e dalle indagini statistiche elaborate su scala nazionale e europea. Dimensioni, indicatori e cifre descrivono un sistema italiano d’istruzione iniquo, capace di assicurare l’ingresso a tutti gli studenti ma non di garantire a ciascuno il successo formativo. La dispersione scolastica diventa l’aspetto più evidente di tale contraddizione. Nonostante le ricerche, gli interventi e le azioni, nonostante le attenzioni al problema su scala nazionale e comunitaria, il fenomeno non è diminuito nei numeri.
Il problema della dispersione scolastica ha assunto una rilevanza strategico-politica sovranazionale  a partire dalla fine degli anni ’90. La Commissione Europea ha riconosciuto ufficialmente nell’incontro di Lisbona del 23 marzo del 2000  l’importanza dei sistemi d’istruzione  nell’ottica della realizzazione di una knowledge society. In quell’occasione ha adottato una strategia di interventi il cui obiettivo , fissato allora al 2010, era di fare dell’ Unione Europea una “economia bastata sulla conoscenza competitiva e dinamica in modo da realizzare una crescita economica sostenibile, con nuovi e migliori posti di lavoro ed una maggiore coesione sociale”.
Con la strategia di Lisbona, obiettivi come  l’innalzamento dei livelli cognitivi generali, l’acquisizione delle competenze chiave rilevate da indagini internazionali (comprensione di un testo nella lingua madre e ragionamento logico-matematico, bassi rendimenti da contenere entro il 15%) e l’abbattimento dei tassi di dispersione scolastica (da contenere entro il 10%) sono stati compresi nel quadro degli interventi normativi e delle azioni comunitarie con una conseguente destinazione di risorse specifiche in un quadro di  comparazione e di valutazione europeo e internazionale.

I dati.
L’Italia, nonostante i miglioramenti osservati a partire dal 2000, occupa ancora una posizione di ritardo: nel 2006 il 20,8% dei ragazzi era fermo alla licenza media senza frequentare alcun corso di formazione, contro una media europea del 15,3%. Le regioni con le più evidenti difficoltà sono la Valle d’Aosta (29,5%), che mostra tra 2006 e 2007 uno scivolamento verso il basso della classifica, la Campania (28,8%), la Sicilia (26%) e la Puglia (23,9%) (Mpi, 2009). Nel rapporto l’entità degli abbandoni scolastici è rappresentata dal numero degli studenti che durante un determinato anno scolastico interrompono gli studi senza comunicarlo alla scuola. Sono numeri critici, almeno per l’area UE (in pochi sanno che negli Stati Uniti i tassi di abbandono scolastico hanno superato il 50%, ma questa è un’altra storia).
Per il centro nord d’Italia la valutazione è complessa: la scuola appare scollegata dal mondo del lavoro, che anche se in crisi c’è, ed  è proprio il mercato produttivo ad attrarre giovanissimi con fragilità scolastiche per lavori di bassa qualifica. Per il Sud le cause sono diverse, e sono direttamente connesse ai ritardi socio economici; non dobbiamo stupirci, da anni le indagini sui rendimenti verificano un rapporto diretto tra rendimenti scolastici e contesto socioeconomico culturale familiare, sono conferme di riflessioni effettuate già mezo secolo fa da Don Milani, come da esponenti della ricerca educativa come Visalbergi.  Quello che sappiamo in più è che tutto ciò va osservato in relazione ai divari cognitivi profondi provocati da un sistema scolastico diseguale anche nell’offerta formativa man mano che si procede da nord a sud. Al sud si rileva una scarsissima azione di compensazione dei divari sulle competenze di base e sulle conoscenze informali da parte del sistema educativo in età precoce: cioè l’ assenza di asili e l’assenza di tempo pieno rafforzano le debolezze in entrata e i divari dei livelli cognitivi aumentano andando avanti nel percorso scolastico piuttosto che diminuire. Si tratta delle aree più povere d’Italia con il tasso di povertà infantile più alto d’Italia (in Sicilia un bambino su due vive sotto la soglia di povertà). Osserviamo dunque come i problemi a scuola dei nostri alunni siano lo specchio tragico e visibile dei loro problemi familiari e dei problemi economici delle aree regresse senza che la scuola, deprivata di tempo e di risorse, possa agire in modo adeguato e incisivo.
Nelle regioni ad alto tasso dispersione e scarsi livelli di rendimento cioè non sono state predisposte o messe in atto adeguate politiche compensative, di tipo strutturale e continuo nel ciclo scolastico primario e nel periodo prescolastico. Piuttosto il contrario: le condizioni strutturali, organizzative e finanziarie della Scuola siciliana ad esempio presentano gravissime criticità per quel che riguarda l’offerta educativa.
In Sicilia c’è il record di  Neet, ragazzi, tra i 15 e il 29 anni, che non studiano e non lavorano: dovremmo stupirci? Due giovani su quattro tra i 15 e i 34 anni in Sicilia non lavorano e non studiano, non fanno neanche uno stage. Sono giovani condannati a consumare senza il diritto di produrre e senza il diritto di sapere. Eppure regioni come la Sicilia sono da anni oggetto di fondi europei dedicati e centinaia di milioni di euro sono stati impiegati, sarebbe meglio dire mal impiegati nella formazione professionale. Ma sono i dati dell’evasione scolastica anche nel periodo dell’obbligo, sotto i 15 anni,  a provarci  che il fenomeno ha raggiunto livelli allarmanti e inediti. 262 famiglie nella sola provincia di Palermo, la scorsa settimana sono state denunciate ai carabinieri per mancata osservazione dell’obbligo scolastico dei loro figli. 262 famiglie.
Il procedimento legale di accertamento, di condanna, di burocrazia connessa costa allo stato circa 2mila euro ad alunno, mentre la sanzione per la famiglia è di soli 10 euro. Mi chiedo cosa farebbero queste famiglie (le cui condizioni di povertà spesso sono allarmanti) se avessero direttamente quei 2mila euro.
In realtà le ‘azioni a contrasto’,  a firma regionale o locale, (dal sistema della formazione professionale al sistema del proiettificio messo in piedi nelle scuole) sono sempre inadeguate perchè non agiscono sui numeri complessivi, sono di scarso respiro, frammentate, discontinue, inefficaci e predisposte, bene che vada, con ottime intenzioni e grande perizia, ma con risultati davvero limitatissimi, male che vada, non nel vero interesse dei ragazzi, ma nell’interesse di altri.

Cosa s'è fatto
Nelle regioni obiettivo convergenza la lotta alla dispersione scolastica è stata ed è svolta nel mondo della scuola e delle politiche scolastiche predisponendo progetti finanziati dai Pon che hanno agito nel tempo extracurriculare e come azioni di formazione non formale, destinate a studenti dei primi anni delle scuole superiori, con obiettivi per lo più “motivazionali”, ma lasciando spesso immutati i livelli di rendimento formali e dunque vanificando sostanzialmente le azioni. Se viene definito dispersione anche il basso rendimento nelle competenze di base il corso di teatro, o sulla legalità, o su non so cos’altro, favorisce sicuramente l’inclusione sociale a scuola, ma non agisce sul miglioramento di quelle competenze e rimane comunque completamente sganciato dalla “vita scolastica” complessiva della classe.
La dispersione, fenomeno strutturale multidimensionale si continua a combattere con azioni puntuali e monodirezionali. Oltre che discontinue ed extracurriculari. La dispersione scolastica non è solo l’abbandono, lo ripeto, ma è anche lo scarso rendimento. E l’abbandono è causato decisamente dallo scarso rendimento. Ogni drop out ha sul suo portofolio scolastico, oltre le criticità di contesto di provenienza, familiare e geoeconomico, il non aver frequentato l’asilo, il non aver goduto di tempo pieno, una o più bocciature e l’essere stato orientato verso percorsi di scuola superiore professionale con prime classi numerosissime in cui nessuno, nel tempo formale scolastico, ha la possibilità di poterne recuperare le debolezze nelle competenze chiave (detto con parole semplici: non sa leggere, scrivere e fare di conto in modo pari ai propri pari) che possano inserirlo a pieno titolo nella vita della classe: è colui che rimane indietro e indietro resta. Azioni “motivanti”, lo sport, la musica, il teatro, predisposte dalle scuole superiori per recuperare i possibili dropouts non sono in grado di agire sul recupero delle competenze di base mai maturate e dunque, se anche riescono a “tenere a scuola” il ragazzo, quest’ultimo rimane comunque un dropout.
Il punto è che i destinatari di queste azioni molto spesso sono i primi a non esserne raggiunti. Dal corso di teatro, ai percorsi della legalità, ad altre magnifiche azioni nobili in sè ma assolutamente inefficaci sul piano strutturale: spesso i dispersi son quelli che non ne vogliono usufruire. I dispersi sono ragazzi che lavorano nei campi, che scaricano cassette nei mercati, che aiutano le mamme nei lavori di casa. Difficile tenerli a scuola. Ancor più difficile in classe quando non sanno neppure di cosa stanno parlando compagni e docenti e quando si addormentano in classe o creano scompiglio per noia o disadattamento. E quando la sospensione per problemi disciplinari diventa un regalo e non una pena. Una partita di pallone o uno spettacolo su Borsellino, con tutto il rispetto e la franchezza, può giovare ma non salvarli. Può renderli protagonisti per un giorno e poi lasciarli di nuovo per 364 giorni ultimi. Ed è ipocrita o miope chi ritiene il contrario. Lo salverebbe semplicemente una buona formazione di base, che lo metta alla pari. Subito, fin da piccolo.
E’ logico che agire su quelle carenze strutturali sopra dette, con l’obiettivo di abbattere i divari cognitivi all’ingresso e di rafforzare o maturare bene e subito, le competenze di base,  sarebbe il primo passo per prevenirla la dispersione, anziché curarla quando già è troppo tardi. 
Le politiche  regionali contro la dispersione scolastica invece, si sono sempre concentrate sui percorsi di formazione professionale affidata agli enti oppure, agendo nei percorsi formali della scuola statale,  sul recupero in età adolescenziale attraverso veri e propri “progettifici”, azione che non ha funzionato e continua a non funzionare. Abbiamo l’occasione della programmazione dei Fondi comunitari per il 2014-2020.
Sarebbe il caso di cambiare verso e di impiegarli  in azioni strutturali e durature per il futuro dei ragazzi.
Ci sono gli assi per l’Infanzia, le misure per l’Istruzione, perché non prevedere alcune linee di intervento con una regia unica e persone preposte dentro gli assessorati regionali delle regioni obiettivo convergenza e dentro gli uffici scolastici regionali piuttosto che disperderli in mille rivoli di interventi e progetti scolastici poco controllabili e poco efficaci sul piano dei risultati complessivi?

Cosa cambiare e perchè.
Contro la dispersione scolastica e per innalzare i livelli medi di rendimento dei nostri studenti si dovrebbe agire urgentemente con provvedimenti precisi, che incidano in maniera specifica, organica e non frammentata nella lotta alla dispersione scolastica e che mettano gli allievi nelle condizioni migliori di imparare. Agendo a monte, fin da subito, fin dai primi anni di scuola e di vita prescolare, con azioni precise da effettuare nel mondo della scuola, nel segno della continuità e della programmazione a lungo termine.
Su questo mi permetto di avanzare alcune richieste inderogabili, per mettere i ragazzi siciliani, del Sud in genere, in linea con il resto d’Italia e dare loro le stesse opportunità di partenza:
-       Dotare la Sicilia e le regioni obiettivo convergenza di una percentuale congrua di asili e di scuole dell’infanzia (fondamentali nel determinare il successo scolastico dei bambini nel ciclo di studi successivo come provano indagini di vario tipo e come riportano anche le rilevazioni Ocse Pisa). A fronte di uno standard europeo richiesto del 30% in Sicilia solo meno del 2% dei bambini viene ammesso a frequentare un asilo comunale, per assenza di asili e di personale assicurato dai Comuni mentre la media italiana è del 14%.
-       Assicurare il tempo pieno nella scuola primaria e il tempo prolungato alla scuola media (adeguando edifici e organici e mettendo a regime il servizio mense). In Lombardia il tempo pieno copre l’85% delle scuole mentre in Sicilia non copre nemmeno il 5%, rappresentando una forma di discriminazione anticostituzionale. Eppure il costo pro capite di un alunno siciliano è superiore del costo pro capite di un alunno lombardo. Oggi a stento assicuriamo il minimo delle ore e spesso nemmeno quelle, a causa delle incerte dotazioni strutturali di beni immobili e di risorse umane. Più scuola fin da piccoli e meno debolezze si accumulano, meno possibilità di essere abbandonati alla strada e al nulla. I Neet siciliani sono ragazzi che sono stati bambini svantaggiati, bisognosi di tempo, di cure e attenzioni, di cui la scuola non riesce a farsi carico per i limiti strutturali che conosciamo tutti: poche ore di scuola, classi affollate, edifici indegni. Il tempo pieno nel primo ciclo dell’istruzione è l’ azione più efficaci a contrasto della dispersione scolastica, anche questo dato è provato da ogni genere di indagine e di rilevazione. Attenzione, non il doposcuola o il progettificio a cui ci siamo abituati con i progetti pon o por, o i fondi  pioggia contro la dispersione, bensì, lo ripeto, il tempo pieno (tra l’altro  impiegherebbe maggiori risorse professionali statali in modo stabile e non precario a vantaggio anche dei dati occupazionali).
-       Agire in modo organico (e cioè nel curriculo formale della scuola, non solo in quello extracurriculare) nel recupero delle debolezze in italiano e matematica nel primo ciclo scolastico (causa dell’accumularsi di quelle lacune poi incolmabili che contribuiscono in modo determinante la distanza dei ragazzi dalla scuola) con risorse professionali provenienti dalle graduatorie scolastiche, piene di docenti abilitati e vincitori di concorso (con doppio obiettivo anche sul piano occupazionale) adeguatamente preparati a tale azione di soccorso anche con didattica specifica e innovata. O con organico funzionale. Azione sperimentata e monitorata con successo in regioni come la Puglia
-       Formare docenti e dirigenti, soprattutto i dirigenti, di ogni ordine di scuole delle aree a rischio del paese a una mission precisa: recuperare, recuperare, recuperare. Per questo servono formazione specifica di livello, organizzazione scolastica conseguente, innovazione didattica, tempo scuola, flessibilità e risorse. Ogni bocciato in queste aree è un disperso: recuperarlo prima che bocciarlo. Ripeto, fin dall’asilo. Fin dalla primaria, alla secondaria di secondo grado è troppo tardi: ogni classe pollaio di scuola secondaria lascia fisiologicamente per strada (bocciandoli per impossibilità di recuperarne gli scarsi livelli di rendimento) una percentuale di alunni che saranno dispersi.
-    Innovazione, innovazione, innovazione. Cambiare i paradigmi scolastici. Innovazione organizzativa, metodologica, pedagogica, strumentale. Innovare vuol dire anche attivare le reti: sociali, politiche, economiche, digitali. Pensare in rete. Aprire le scuole. Dare un senso alla scuola in luoghi dove oggi non ha senso agli occhi di famiglie deprivate e di ragazzi demotivati. E il senso è uno solo: il lavoro accanto alla formazione. Il lavoro accanto al pensiero libero. Ripensare l'alternanza scuola lavoro in modo fattivo: che la scuola crei o aiuti a creare dal nulla il lavoro che non c'è, rendendo imprenditori di se stessi i ragazzi, responsabilizzandoli anzichè colpevolizzarli. Solo così si salvano i dispersi. 
-     Creare un dialogo scuola imprese sul territorio e fuori dal territorio per stimolare le famigerate soft skills, le 16 competenze trasversali (soprattutto quelle digitali) necessarie per affrontare il sistema economico produttivo, in percorsi di alternanza scuola lavoro
-      Creare un dialogo scuola imprese sul territorio e fuori dal territorio per attivare progetti di tirocinio e apprendistato di alta qualità. Punto da non confondere col precedente. 
-       Un piano programmato per l’edilizia scolastica. Non è possibile che gli edifici scolastici siciliani versino in quelle condizioni. Non è possibile che molti di questi edifici siano in affitto. Non è possibile che molti di quelli in affitto siano in beni confiscati non assegnati e di cui lo Stato paga affitti esorbitanti. Non è possibile anche e semplicemente perché non sono scuole. Anche questo è possibile farlo con fondi UE, incanalando le somme previste per l’area Green Economy: si potrebbero sperimentare edifici scolastici a basso consumo energetico e con uso innovativo di materiali e di spazi. Dando una piccola risposta anche alla grave crisi in cui versa il comparto edilizio.

Sono le azioni programmatiche e a lungo termine nel segno della qualità, non dell’approssimazione e dell’ improvvisazione, o dell’emergenza quelle necessarie e urgenti per gli studenti. 
La politica si misura in mandati elettorali a breve termine, l'education si misura in decenni. Teniamolo sempre presente. 


Recuperare tutti i ragazzi e tenerli a scuola attraverso un’istruzione di qualità, ma, ancor più grazie a una politica di qualità, capace di scelte adeguate, è il mezzo più efficace per contrastare la crisi ma, soprattutto, tra le strade e i quartieri che alcuni di noi frequentano, sono il primo mezzo per contrastare la criminalità che tutti sosteniamo di volere combattere.



mercoledì 15 ottobre 2014

"Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare la Sicilia. Vale anche per te"


"Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo". Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare la Sicilia. 

Un bambino su due in Sicilia vive intorno alla soglia di povertà, uno su quattro sotto quella soglia. Da anni nelle scuole, soprattutto quelle di periferia, noi docenti facciamo collette per comprare quaderni o penne o colori, per regalare libri. Ma adesso è una valanga a cui non riusciamo a tenere testa. La povertà educativa crescente, che si fa discriminazione, che si fa dispersione, contro cui ci troviamo a tenere testa soprattutto nelle periferie, comincia da un bambino o una bambina senza il diario, senza i colori, senza le penne. Nel mondo sono vari i motivi per il mancato accesso all'istruzione e noi non facciamo eccezione. Abbiamo l'accesso ma troppi bimbi sono privi di mezzi. Lo stato fornisce i libri, ma non il resto. All’ennesima segnalazione mi sento in obbligo di agire.

Molti avranno letto l’appello della Caritas di Palermo. Se la politica è la più alta forma di carità, come dice papa Francesco, piego il mio ruolo, forse in modo politicamente scorretto, per far arrivare a quanta più gente possibile l’appello di noi docenti siciliani e della Caritas di Palermo, ma lo estendo a tutte le città e a tutti. Oltre che, ovviamente, a tutti i militanti, esponenti e iscritti, del mio partito. “Nelle scuole troppi bambini e troppe bambine hanno bisogno di penne, quaderni, colori, portacolori, gomme e quant’altro di materiale di cancelleria". In ogni grande città ci sono centri di raccolta della Caritas, comprateli e portateli là, loro si preoccuperanno di farli arrivare alle giovani coppie e alle famiglie indigenti, o alle scuole. Anche un solo quaderno fa la differenza. Nei centri più piccoli andate direttamente nella parrocchia. 

La politica, di cui sono esponente, dovrebbe farsene carico con provvedimenti, finanziamenti, aiuti, è vero. Questa è la mia costante battaglia da donna che fa politica, il ddl regionale sul diritto allo studio è pronto e giace depositato all’Ars: chiedo ancora una volta ai 90 deputati di alzare per un attimo la bocca dal fiero pasto e di preoccuparsi di discuterlo e approvarlo. Ma da insegnante e donna di scuola non posso attendere che i miei alunni dai banchi passino alla strada senza battermi con le mani e con i denti per impedirlo e mi faccio subito veicolo e cassa di risonanza per questa richiesta. Chiedo il supporto dei mezzi di comunicazione per veicolare l’appello. E chiedo a chiunque legga di passare parola e di agire insieme a noi.

Chiunque può essere il cambiamento che vuole nel mondo, fortissimamente credo che la scuola sia il più alto mezzo di cambiamento positivo e tutti possiamo contribuire, non solo a parole. Credo ci sia una forte necessità di portare il sorriso e il segno di una comunità nelle classi, con gesti sani che tutti possiamo compiere. So quanto è grande lo spirito di solidarietà di noi siciliani. Invito dunque tutti e tutte ad acquistare materiale scolastico e portarlo alla sede della Caritas di Palermo in via Santa Chiara 10, a quella di Catania. Oppure di contattarmi, per organizzare la raccolta direttamente a casa vostra.  



giovedì 2 ottobre 2014

Spicola(PD): Ragusa: Violentate e ridotte in schiavitù. L'Isis di casa nostra



Spicola (PDSicilia) :” Violenze sulle donne rumene a Ragusa: abbiamo l’Isis dentro casa? C’è una Sicilia dell’accoglienza e una Sicilia dell’orrore”

“La notizia degli orrori e delle violenze sulle donne rumene nella provincia di Ragusa mi è arrivata mentre si discuteva pubblicamente del ddl sull’immigrazione e sui servizi agli stranieri presentato ieri da Ferrandelli e Leanza. L’orrore con un sms contenente un link all’articolo comparso su L’Espresso. Orrore.  Non riesco ad usare altra parola. A un anno dalla tragedia di Lampedusa papa Bergoglio dice agli italiani “aprite la porta del cuore”. Quale cuore? Violentare le donne, ridurle quasi in schiavitù? Uomini senza cuore che non considero siciliani, che mi fan pensare più alla barbarie dell’Isis che non a uomini educati nelle nostre scuole e che respirano la nostra stessa aria. Uomini che non meritano la cittadinanza italiana, per me sono questi gli stranieri, estranei a ogni regola umana e civile”
Così commenta Mila Spicola, vicesegretaria del PD Sicilia i gravi fatti denunciati su L’Espresso riguardo le violenze che subiscono le donne rumene nelle campagne ragusane
“Accanto ai volontari che si affannano a dare primo soccorso ai migranti, e so quanto sono meravigliosi per essere stata con loro ad Agusta a soccorso dei migranti minori non accompagnati ad esempio, ci sono i volontari dell’odio e della prepotenza a ricordarci quanto la Sicilia è terra di contraddizione di ferite  profondissime al concetto di convivenza civile e di rispetto. E’ un’onta profonda che non possiamo tollerare.  Il tutto si mischia alla tragedia della violenza alle donne, male oscuro del nostro paese, ferite a morte non solo in Sicilia e non solo perché straniere. “
Così continua:
E’ necessario che le autorità facciano chiarezza subito e che si puniscano i colpevoli. Ma è necessaria un’azione più profonda, l’approvazione della legge sull’accoglienza dello straniero e sul rispetto della persona che assicuri diritti e servizi e un’azione educativa al rispetto dell’altro o dell’altra, per chi cresce ma anche per chi è cresciuto.”
Così conclude
“  Chiedo al mio partito a Ragusa di convocare quanto prima un incontro di riflessione e di azione, perché è una ferita su cui una comunità deve interrogarsi, anche come comunità politica, io sarò presente. Dove siamo? Nei circoli a discutere su di noi e sui nostri ombelichi? Perché non mi chiamate per problemi come questo e non solo per la lite tra gli uni o gli altri? Dobbiamo stare là dove sono i problemi e dobbiamo conoscere le “cose che tutti sanno e tutti tacciono” per urlare contro e agire, prima ancora della stampa, per denunciare, prevenire, sanare non per trovarci ancora una volta a commentare”

(la notizia: http://espresso.repubblica.it/inchieste/2014/09/15/news/violentate-nel-silenzio-dei-campi-a-ragusa-il-nuovo-orrore-delle-schiave-rumene-1.180119 )