VALORIZZAZIONE E QUALIFICAZIONE DELLA PROFESSIONE DOCENTE.
SCHEDA PREPARATA PER IL GRUPPO DI LAVORO "MERITO E CARRIERA
DEI DOCENTI" DEL PARTITO DEMOCRATICO.
Sinteticamente dico la mia, frutto di confronti e
riflessioni comuni a docenti, dirigenti, studenti, persone comuni, dopo due mesi di incontri su La Buona Scuola,
riguardo al punto indicato sopra, che è stato quello maggiormente criticato
(cosa che avevamo già detto subito molti di noi, ma tant'è, adesso forse lo si è compreso meglio, alla prova dei fatti, che non andava bene quella impostazione e quella proposta). Sono riflessioni che porterò nel gruppo di lavoro nazionale del Pd sulla scuola e spero che troveranno interlocutori e comunanza di visione. Non contro o pro, non per essere di parte, ma per rimanere nella terra di mezzo del l'elaborazione di qualcosa che sia utile, che funzioni e che medi diverse posizioni, che porti a sintesi dissenso e consensi in vista di un miglioramentomdell'istruzione. E questa era la sfida che ci eravamo posti.
Sono miei spunti e proposte da
discutere, da verificare, da modulare, non verità da difendere. Graditi i suggerimenti, le integrazioni, le critiche. Sono cose comunque che interpretano un pò il "sentiment" che ho incontrato in questa bella esperienza del "viaggio" in Sicilai nei circoli e nelle scuole sulla discussione intorno al dossier, sono idee del resto
che ripeto da anni e che i due mesi di ascolto hanno rafforzato, più che messo
in discussione. Su tutti gli altri punti e argomenti preparerò altre schede.
1. SCATTI
non possono abolirsi. Si tratta di una categoria che già guadagna pochissimo
rispetto a tutti gli altri paesi, se togliamo gli scatti ai docenti dovremmo
toglierli a tutti i dipendenti statali (dagli infermieri, alle forze dell’ordine,
agli impiegati statali, comunali, regionali di ogni ufficio, per i quali non mi
sembra si stia facendo una eguale campagna sul merito e la valutazione quando
forse ne avrebbero bisogno quanto e più del mondo della scuola) , perché a fare
una comparazione degli esiti l’unico segno più del pubblico servizio nel 2014 è
stato nella scuola. I dati Pisa infatti sono migliorati. Unico dato positivo di
tutti gli indicatori statistici (Istat, Svimez, Fondazione per il Sud,..) del
2013. E se tale blocco fosse introdotto nel mondo ella scuola sarebbe un
controsenso: una dequalificazione e una sperequazione sociale terribile e con
danni incalcolabili proprio quando si propone la “valorizzazione” del mestiere
del docente. Non si può chiedere ai docenti, personale laureato, qualificato e
selezionato per concorso, di qualificare la scuola, con un investimento enorme
su se stessi e sul cambiamento, mettendosi in discussione e ricominciando
giorno dopo giorno, e...bloccargli gli scatti.
2. VALORIZZARE
LA CATEGORIA ALL’INGRESSO: questo è il nodo centrale nei sistemi d’istruzione
migliori, se non si agisce su questo il resto sarà un’impresa difficilissima..
Qualificare la formazione dei docenti nel percorso universitario e qualificare
la selezione. E' il primo e irrinunciabile punto per qualificare i sistemi d'istruzione. E' necessario aggiornare e uniformare il bagaglio conoscitivo del percorso formativo di un
docente. E' necessario qualificare il percorso selettivo, oggi è da barzelletta: non esiste
test o selezione indetta dal Miur che non sia funestata di strafalcioni
indigeribili. Il docente scarso è comunque riuscito ad arrivare in cattedra con
la complicità di un sistema selettivo (e in questo le responsabilità sono
egualmente condivise dal mondo accademico, dal mondo politico e dal mondo
sindacale) assolutamente balordo. Tutti i momenti formativi post universitari:
dalle sissis, ai tfa, ai pas, sono stati messi in campo più per battere cassa che
per predisporre percorsi selettivi certi e chiari. Gli stessi concorsi: sono
macchine mediamente mediocri. Renderle efficienti ed efficaci. Inserire il test psicoattitudinale come prima
prova selettiva, e poi i test di cultura generale e le altre prove. Predisporre
corsi-concorsi seri e veri. Vale per i docenti e vale per i dirigenti. La
selezione dei docenti inizio dal primo anno universitario, con percorsi simili
a quelli per diventare medico. Insegnare ed essere dirigente sono mestieri essenzialmente di tipo relazionale: o si verificano le attitudini, cosa possibile e sperimentata, prima di verificare competenze e conoscenze, oppure la vextata quaestio "rapporto docente dirigente, docente genitore, docente studente" lascia il tempo che trova. Aggiungo: le attitudini possono anche formarsi e coltivarsi.
3. VALORIZZARE
LA CATEGORIA IN ITINERE. Non chiamiamola “formazione obbligatoria”. Chiamiamola
ricerca in itinere, possono essere sperimentazioni, innovazioni, ricerche-azioni di ogni
genere: didattica, pedagogica, organizzativa, valutativa... Dunque non corsi generici e di
qualunque genere o livello, senza nessun controllo o monitoraggio ma come nelle
università c’è la docenza e c’è la ricerca così deve esserci nella scuola. Che
la ricerca affidata o da svolgere nella scuola sia qualificata, con i sistemi della
certificazione della ricerca scientifica internazionale e collegata alle
agenzie nazionali o internazionali di ricerca (Università o altre istituzioni
di ricerca). La ricerca può essere individuale o di team o di scuola o di rete
di scuole. Esattamente come nei dipartimenti universitari e possibilmente da
svolgere in sinergia con i dipartimenti. Per far questo l’organizzazione
scolastica e quella del lavoro docente debbono per forza di cose mutarsi.
Possibilità di prevedere periodi di qualche mese di ricerca intensiva anche
fuori dall’italia. Del resto già c’è: erasums plus, comenius, etwinning, ..ma
che sia estesa. Prevedere la necessità in quel caso della pubblicazione e socializzazione
nella propria scuola o nella rete di scuole o in altre scuole dei risultati
delle ricerche. Ricordo che Invalsi ad esempio ha formato negli ultimi 5 anni
nelle regioni obiettivo non so quanti docenti
come esperti invalsi sui temi della valutazione ma nessuno sa, nemmeno la loro
scuola, che cosa hanno studiato, fatto e a cosa e a chi sia servito tutto ciò.
4. COMPETENZE
DELLA FUNZIONE DOCENTE. Per effettuare un qualunque tipo di valutazione va definita una griglia delle competenze e di obiettivi per poi definire dei criteri di valutazione. E' l'abc di goni valutazione. . Il punto maggiormente dolente della proposta è
infatti l’aleatorietà della valutazione e la discrezionalità sottesa. L’Italia
non è un paese scandinavo: ogni esercizio di potere, affidato a una persona
sola, in questo caso il preside, va incontro a discrezionalità dovute a
relazionalità difficilmente controllabili, che comunque incidono nella
dequalificazione del sistema. Qualcuno direbbe: ma poi i presidi vengono
valutati e controllati anche loro. L’abuso di diffidenza, e mi sembra che venga
fuori un sistema d’istruzione basato sulla diffidenza, provoca l’abuso di
controllo, che si risolve in inefficienza e inefficacia di controllo. Se invece
si lavora sull’organizzazione interna della scuola, si stabiliscono in modo
chiaro competenze, ruoli e funzioni e tempi assegnati a ciascuna figura presente
dentro la scuola e che tali fattori diventano griglie di valutazione
trasparenti affidate a nuclei di valutazione interni/esterni allora la cosa sarebbe
sostanzialmente diversa. Stabilire una griglia delle competenze vuol dire anche
formare a quelle competenze e selezionare su quelle competenze. Che non possono
più essere solo di tipo conoscitivo della materia insegnata.
5. MERITO
1. Il “docente scarso”(mi si scusi la
definizione, ma nelle sale professori dai docenti stessi sui docenti sento di
peggio): va allontanato dalla classe? Va formato? Va reintegrato ad altre
funzioni?. Questo è il nodo vero. Tutti sanno chi sono i docenti bravi, ma
tutti sanno chi sono i docenti scarsi, quelli scarsi davvero. La valutazione sociale del docente di serie a e del docente di serie b già esiste ed è fortissima, e genera sperequazioni e impari opportunità negli studenti. E' questa la
madre di tutte le questioni, quella che provoca scontento sociale, ma che dovrebbe provocare tanti dubbi e interrogativi anche tra i docenti. Generalmente
i docenti sono apprezzati, è il docente scarso che non cala giù a nessuno: né ai
docenti, né ai genitori, nè agli studenti. In questo caso
che si fa? Ecco: parliamone e chiediamolo ai sindacati e ai docenti. Questa è
la vera domanda da fare a noi docenti e alla quale saremmo chiamati a dare risposte e soluzioni. Posto che la mia risposta sarebbe: se la
formazione iniziale fosse adeguata, se la selezione fosse per test
piscoattitudinali e per prove selettive serie e adeguate e se la formazione in
servizio fosse all’altezza la figura del “docente scarso” sarebbe davvero rara.Per come la penso io il docente scarso, ma scarso davvero, va allontanato dalle classi. Vedi comunque sopra alla voce: "come è arrivato in cattedra costui?"
6. MERITO
2. Il docente bravo: perfezionando
la procedura di valutazione dei crediti da funzione, posizione, competenza i
modo tale che siano veramente certificatibili e valutabili in modo obiettivo. Premessa:
il docente bravo è già da premiare e valorizzare per il suo lavoro di docente
nel rapporto con le sue classi e i suoi studenti e in tutto quello che fa in
funzione di quel lavoro, non perché fa altro. Per come accresce e varia la sua
professione e il suo rapporto con gli studenti. Non immagino che la funzione
docente debba essere “accessoriata” di altre funzioni, non collegate alla
docenza ma alla scuola, così come è oggi. Generalmente si tratta di manovre di
fuga dalle classi o, bene che vada, va a discapito della classe. E quando non
lo è si tratta di colleghi che già a maggio sono da ricoverare per stanchezza. Valorizzare
la professione significa affermare con voce ferma che il lavoro di un insegnante già vale per sé, per quello che si fa nelle classi e in funzione delle classi.
7. MERITO
2. Diversificazione di carriera. Stabilire
figure di sistema stabili intermedie
tra la docenza e la dirigenza. Ogni scuola oggi ha minimo mille alunni e almeno
200 lavoratori, tra docenti, ata e altro. Minimo. Sono come piccole città.
Immaginare che possano essere rette da una persona sola è deleterio e fuori
dalla realtà, oltre che dimostra come si abbia una scarsissima conoscenza del funzionamento di una scuola, non solo in Italia ma anche negli altri sistemi d'Istruzione. Come le piccole città necessitano di un sindaco e di una giunta. Altro
che eliminare il distacco del vicario..serve addirittura un team. Chiamiamolo
team della dirigenza, chiamiamolo comitato di gestione,staff,.. chiamiamolo
come vogliamo. Immagino che tali posizioni le possano svolgere alcuni docenti, che
raggiungano tale posizione per selezione, anni di servizio e titoli, e in
questo viene finalmente applicata la diversificazione della carriera, per i
quali si preveda un numero di ore in classe inferiore, un orario flessibile
aggiuntivo, e una definizione specifica delle funzioni, oltre che uno stipendio
maggiore. Questo eliminerebbe le figure strumentali, le funzioni ballerine, questa
sinistra figura del “mentor” e tutti gli elementi di disorganizzazione annuale
iniziale di ogni scuola. E finalmente toglie alla professione docente quel
carattere di moto rettilineo uniforme da quando si entra in ruolo a quando si
va in pensione. Eliminerebbe anche le definizioni ridicole di “lecchino del
preside” e altre simili amenità, togliendo valore discrezionale al lavoro a supporto della dirigenza e della scuola, riconducendolo alla definizione di figura di sistema necessaria. Lo staff (in numero pari alla grandezza della
scuola, al numero degli alunni, e alle necessità..5 o 6 o 7 docenti) si occupa
di tutto quello che riguarda l’organizzazione, il tutoraggio, la gestione, l’amministrazione,
la progettazione della ricerca etc..etc… Tutto. In forma stabile. Come accedere a tali posizioni, possibili percorsi: per
valutazione dei crediti e per selezione interna: un combinato disposto di anni
di esperienza (si accede con almeno 5 anni, ad esempio, così come accade nei
concorsi dirigenziali) e di capacità, di predisposizione psico-attitudinale e
titoli. Con criteri e titoli chiari. Come un piccolo concorso interno. A cui
possono accedere tutti. In questo modo tutti i docenti sono motivati ad accumulare
titoli ed esperienze e la competizione è sana perché è obiettiva e da a tutti l’opportunità
di giocarsela. Ma a partire da un tot di anni di ruolo. Che so con 5 anni
accedi a una figura, con dieci anni ad un’altra…Hai meno ore di lezione (alcuni
anche la metà) ma hai le altre funzioni
da svolgere. A parità di stipendio e magari con l’aggiunta di un tot in più. Ricordiamoci
sempre che uno dei grossissimi problemi da affrontare e risolvere sarà la
presenza di docenti ultrasessantenni in classe. Che sarebbero preziosi per
altre funzioni ma che in classe, se non sono più motivati, e se hanno 18 ore
piene, sono veramente un problema, per se stessi e per gli alunni. Ricordiamoci che c'è un problema totalmente sottaciuto che riguarda la salute mentale dei docenti, cioè lo stress da lavoro correlato, in percentuali molto alte e mai monitorate, e questo problema lo si previene con migliore organizzazione e chiarezza di funzioni. La valorizzazione e la qualificazione del lavoro docente non può prescindere da questi dati.
8. NUCLEI
DI VALUTAZIONE: non possono essere affidate alla sola figura del preside le
funzioni di valutazioni. Si prevedano nuclei misti, interni/esterni, con
componenti da definire, con il preside, ma anche il team (che non sarebbe, se
nominato con criteri definiti, una sorta di congrega cooptata come temono
moltissimi docenti, ma perché già oggi è così con alcune figure già presenti),
rappresentanti dei genitori e degli alunni nel caso delle scuole superiori, ma
che ci sia un membro esterno neutro, chiamiamolo ispettore. Immagino anche che
figure ispettive che valutino saltuariamente o periodicamente il lavoro dei
docenti (almeno in alcuni aspetti valutabili) su modello del sistema francese,
potrebbero immaginarsi. Con quali soldi? Abbiamo tutte quelle figure di
valutazione formate per il vales e altri progetti nazionali di valutazione, che
potrebbero utilizzarsi a costo zero.
9. CONTRATTO
DEI DOCENTI: le cose di cui sopra offrono lo spunto per indirizzare e mettere a
punto insieme ai sindacati (che devono mettersi in testa di fare un’alleanza
per il cambiamento: tutti quanti dobbiamo fidarci e perdere un po’ qualcosa per
guadagnare una scuola migliore ma condivisa) il nuovo contratto dei docenti.
Senza di quello non andiamo da nessuna parte. Un nuovo contratto che preveda l’emersione
del sommerso e la definizione oraria. Che preveda il riallineamento tra i cicli anche nella definizione oraria. Punto che è uno dei nodi della
valutazione sociale del lavoro docente. In questo si possono studiare insieme
varie soluzioni: io prevederei per i docenti un monte ore annuale flessibile,
che comunque stabilisca in modo fisso le 18 ore settimanali di lezione frontale, per tutti, e
poi un tot da ripartire in modo flessibile a seconda della programmazione iniziale
della scuola, della propria disciplina, delle ricerche in corso,...per cui un docente può fare 18 ore settimanali di lezione e poi 6
ore in più a settimana. O in altre settimane 4, o in altre, 10. In modo
programmato all’inizio dell’anno e a seconda del POF, degli organici
funzionali, e della programmazione d’istituto e dell’offerta didattica. La
stessa cosa per le figure intermedie: un tot di ore di lezione inferiore (10,
14,.. stabilite nel contratto) e un monte orario maggiore da raggiungere con lo
svolgimento delle funzioni. E’ una proposta, come ce ne possono essere altre.
Ma credo che tutti i discorsi di sopra, compresa la formazione in servizio,
possono ricondursi a un’organizzazione razionale e condivisa solo attraverso
una revisione contrattuale che preveda un tot monte orario oltre le ore di lezione da trascorrere a scuola per tutte le attività. Se no è solo caos.
10. RISORSE.
Non si va a nozze coi fichi secchi. Non si può far molto con semplici partite
di giro. Posto che ogni scuola può reperire fondi direttamente dall’UE, dal
territorio, da tutto quello che vogliamo (sia che si è contro i fondi esterni
da privati o a favore), per migliorare la scuola e valorizzare i docenti ci
vogliono soldi. Detta papale papale. Se no sono chiacchiere perse: lo sappiamo
tutti. Ed è bene spiegarlo. Risorse: a. per aumentare di base a tutti i docenti lo
stipendio perché così com’è non valorizza proprio nulla (ripeto: i docenti
scarsi su cui fa perno il malessere sociale nei confronti della scuola si
allontanino). B: per gli scatti di posizione, che non possono abolirsi. c. per gli
scatti di competenza, che vanno introdotti. Per integrare le funzioni necessarie e per
precedere le nuove figure di sistema. Solo così si può chiedere ai docenti di
scommettere ancor più di come fanno, non dico sul proprio lavoro e sudore, che
c’è, ma sul cambiamento necessario, di funzioni, di tempo, di contratto, di
investimento personale. Nel bilancio complessivo dello Stato o l’Italia passa
dal 3% di fondi desinati alla scuola ad almeno il 5% oppure è una partita
persa. E questo prima che il governo deve capirlo il Paese.
Postilla generale.
ASSUNZIONE DI RESPONSABILITA’:
tutti dobbiamo lavorare per costruire una scuola di tutti per tutti che fornisca
pari opportunità a tutti gli studenti:vale per il mondo politico, vale per gli
enti locali, vale per gli uffici scolastici e per il ministero, assumendoci
ciascuno la nostra quota di responsabilità e di mali da risolvere. Rinunciando
a qualcosa singolarmente per noi stessi per recuperare un tutto insieme per gli
studenti, ammettendo mali e difetti in modo franco. Una scuola in cui ci sono
sezioni migliori e sezioni peggiori è una diseguaglianza interna alla scuola
medesima contro cui gli stessi docenti devono mettersi di traverso per il bene
degli studenti, lo dico a me docente perché non dipende da altri. Una scuola
che “orienta” per rendimento, che dipende comunque dal censo, e non per attitudine è una scuola classista e
diseguale contro cui gli stessi docenti devono mettersi di traverso per il bene
degli studenti, lo dico a me docente perché non dipende da altri. Una scuola
che a distanza di 300 metri da un’altra raggiunge esiti peggiori è una
diseguaglianza interna alla scuola medesima contro cui gli stessi docenti e
dirigenti devono interrogarsi, in modo sano, per capire come migliorare, non
per colpevolizzare. Una scuola che non assicura l’asilo e il tempo pieno a
tutti gli studenti è una scuola classista e diseguale e lo dico al mondo
politico e amministrativo, locale, regionale e nazionale che in un rimbalzo di
competenze ha chiuso e chiude gli occhi. Una scuola senza risorse e senza
strutture adeguate è un male da combattere in ogni luogo d’Italia come e quanto
la criminalità. Ed è un problema che riguarda tutti in modo vero, non retorico
o demagogico. Per mettersi là e trovarle le risorse: che siano statali o che
siano europee, e spenderle bene e in modo proficuo. Perché è vero che il sistema
centrale ha tagliato tutto e ha tagliato troppo, ma è anche vero che i fondi
diretti (non solo i pon dunque) della comunità europea stanno là e non tutte le
scuole o gli enti locali, comuni e regioni, si sono attrezzati per prenderli e
impiegarli in modo strutturale. Per costruire asili, scuole, per fornire
risorse aggiuntive per programmi strutturali e generali contro i mali della
scuola, le dispersioni, le disomogeneità di offerta, e non solo per utilizzarli progetti
che, al di là della qualità estemporanea, si sono rivelati inefficaci e a brevissimo respiro. Una scuola che non si
adegua ai cambiamenti necessari, pur non snaturandosi, e non risponde all’esigenza
dei ragazzi di andare col loro passo, non con il nostro è una scuola perdente
che non assolve il suo compito, compito che i ragazzi faranno svolgere ad altri
comunque. Perché è vero che dobbiamo formare cittadini alla cittadinanza (ma
quanti colleghi conoscono per bene e svolgono questo mandato con consapevolezza
e non si limitano a una trasmissione di sapere disciplinare?) e individui alla
vita e al mondo, ma abbiamo il dovere sociale di predisporre questi ragazzi al
futuro e al lavoro.
L’idiosincrasia e gli equivoci che ho visto e sentito nei
riguardi del giusto e necessario rapporto tra scuola e università e lavoro,
mondo produttivo, professioni mi fanno interrogare molto sul senso vero che ha
il primo articolo della nostra Costituzione per il mondo della scuola, se sente
come primaria la necessità di tenersi sganciata proprio dal fare lavoro e da
chi fa lavoro. Come se la scuola avesse paura del lavoro, come se ci fosse uno
iato profondo tra “mondo intellettuale” e funzione e definizione del lavoro. Lavoro come lavoro. LAVORO; non come possibile devianza
o sfruttamento, o interesse d'impresa. Lavoro. Lavoro come strumenti base da fornire in modo adeguato e senza
sarcasmi o negazioni: su tutti l’inglese e le competenze informatiche. Non solo
identità e pensiero ma anche strumenti necessari per costruire identità e
pensiero oggi. La didattica digitale non è un vezzo per smanettoni, è l'adeguarsi con coscienza, competenza e senso pedagogico, culturale e didattico a ciò che è oggi la condivisione di cultura, a ciò che è oggi il mondo. Non ho sentito altro dai ragazzi quando sono entrata in modo
approfondito a parlarne. Ripeto: ferma restando come ineludibile la funzione di
educare e crescere cittadini e ferma restando l’autonomia e l’importanza della
conoscenza per la conoscenza, ferma restando la forza e l’importanza della
cultura passata e del sapere ricevuto, la scuola oggi deve riappropriarsi del
paese e può farlo riconnettendosi ad esso, anche attraverso i ragazzi,
ascoltandoli in quella che è la prima domanda che si fanno oggi e più che in
passato genera dubbi e non certezze: che cacchio farò da grande? Oltre che
cacchio sarò. E tale dubbio rischia di coprire e mettere in dubbio il valore
autonomo della conoscenza se tale conoscenza non si modula anche nella
necessità di dare una risposta in termini di funzione sociale e non solo
culturale, civile e identitaria sul senso della scuola. La richiesta primaria oggi impellente oggi
riguarda il loro futuro, non il nostro. Non la necessità di salvaguardare la memoria collettiva, perché il passato, il sapere, le
conoscenze, valgono nella misura in cui non ci limitiamo a conservare e trasmettere quel
pensiero ma nella misura in cui ne realizziamo le speranze, con un linguaggio nuovo, con un fare
nuovo da stimolare e non da esorcizzare.