martedì 17 novembre 2015

Oriana, troppo banale odiare

Per molte donne della mia età, Oriana Fallaci rappresenta davvero una biografia dell'anima.
Abbiamo letto ogni suo libro, ogni suo articolo, seguito la sua vita, ammirato la sua libertà, la sua indipendenza, la sua franchezza.
Al di là dei generi e sopra ogni genere ma intimamente donna.
Ogni sua uscita entrava nelle nostre stanze, sui nostri comodini. Di giovani donne contro. Di donne sempre più mature e sempre più contro. E' diventata un abito.
Letta fino alle note.
E così è stato anche per i suoi ultimi libri, che acquistai in cofanetto. Che divorai. Come tutti gli altri. E stanno lì anche loro, a portata di mano ma hanno segnato il distacco.
Senza dolore, sereno, come ogni cosa ragionata con coscienza.
Oriana, quella stessa libertà, indipendenza e franchezza che ci avevi trasferito ci furono utili per non seguirti su un terreno fascinoso ma pericoloso.
Oscuro.
Io li ho letti e li ho riletti i tuoi ultimi libri, Oriana.
A tratti incredula e proprio per non tradirti devo tradirti.
Mi spiace, io non cedo all'odio.
Non sono sono ostile all'islam. Sono sospettosa e refrattaria alle religioni, tutte, compresa la nostra, che comunque rispetto nel profondo, entro i limiti. Rispetto tutte le religioni,pur non comprendendole, e purchè non sfocino in fondamentalismo.
Il mio intendimento vale per tutte le religioni o credo,che non sono più religioni quando diventano bandiere di oppressione e oscurantismo...quando diventano pure dinamiche di potere, umano non divino.

Grazie peró, Oriana; per avermi insegnato a non cedere. Nemmeno al fascino delle idee fascinose o "di pancia", se non le condivido, specie se recano astio o, peggio, odio. Nulla toglie all'amore profondo che continuo a nutrire per molti tuoi scritti, che sono e rimangono la maggioranza. Ma gli ultimi giorni della tua vita non mi appartengono, le nostre biografie dei pensieri si dividono.
Troppo semplice e banale odiare, per donne complesse come noi.


martedì 3 novembre 2015

COME LA SCUOLA CAMBIERA' SE STESSA PER CAMBIARE IL PAESE. Il Piano nazionale scuola digitale



Non è la specie più intelligente, nè la più forte a resistere, ma quella che muta
(Charles Darwin)

E’ stato presentato da pochissimi giorni il Piano Nazionale Scuola Digitale. 

Il Piano nasce intanto dall'esame di ciò che già c'è e si fa nelle scuole nel campo dell'innovazione didattica. Nasce dall'esame di ciò che manca. Dallo studio di ciò che si fa altrove, con il vantaggio di apprendere dagli errori degli altri. Nasce dalla notra tradizione di profonda innovazione pedagogica. Nasce dal pensare che la scuola debba guidare il cambiamento e non subirlo. 
Nasce dalla testa e dall'entusiasmo di quanti ci han messo passione, lavoro e conoscenza su tutti Damien Lanfrey e Donatella Solda, della segreteria tecnica della ministra Giannini, dalla forte spinta su questi temi data dal presidente del Consiglio Matteo Renzi, che sta investendo tantissimo nella banda larga, pregidiziale per far sì che molte delle cose scritte nel piano possano diventare realtà. Dai consigli di tanti altri (Damien li ha elencati in un suo articolo http://damienlanfrey.nova100.ilsole24ore.com/2015/10/30/abbiamo-un-piano-e-digitale/ ) e anche dal mio contributo, cosa di cui vado orgogliosa. 
Ma questo è uno scheletro, un bel foglio bianco tutto da scrivere e chi lo scriverà sono le scuole, i docenti, le studentesse e gli studenti. Perchè quello che dà il piano sono spunti, ma metodologie, obiettivi, premesse, devono trovarle le comunità scolastiche, com'è giusto che sia, affinchè funzioni come metodo di apprendimento e non di allenamento, aprendosi all'innovazione, al dialogo tra pari e al rapporto col mondo. 

Però non ci sono più scuse: enorme dispiegamento di mezzi su più fronti, un miliardo di euro in pochi anni per l’innovazione del mondo della scuola; su tutti l'investimento nella formazione e informazione dei docenti. Si parte da loro. Facendo tesoro degli sbagli compiuti in questo ambito9 delicatissimo da altri Paesi. Il Piano infatti parte da dove l’approfondito studio dell’Ocse dedicato al rapporto tra scuola digitale e apprendimenti punta l’attenzione: e cioè dalla consapevolezza didattica dei docenti. Laddove si è investito su tale consapevolezza gli apprendimenti hanno avuto un segno più. La dove gli investimenti sono stati solo di carattere strumentale o tecnico i rendimenti scolastici non hanno avuto gli esiti sperati, anzi.

 Il Piano Nazionale Italiano sul Digitale a scuola indica una via precisa ed vola alto: l’obiettivo non è solo quello di dotare di competenze digitali gli studenti e le studentesse in Italia, il che sarebbe già tantissimo, ma è quello di fornire ai docenti formazione e riflessioni tali per comprendere e far sì, loro, non altri, che il digitale possa essere strumento per implementare le competenze chiave: dalla comprensione del testo, alla didattica delle scienze e della matematica, alle competenze di cittadinanza  a tutte le altre. In una parola: si possono crescere nuovi cittadini del mondo globale capaci di districarsi nel mare magnum della rete, capaci di sviluppare senso critico e creatività nella rete e con la rete, capaci di costruire una nuova società e una nuova economia della conoscenza? Capaci di produrre cultura e arte, cioè la weltanschaung di questi tempi, nel senso più alto dei termini. Chiunque capisce che l’obiettivo è altissimo e comunque antico, perché esige sperimentazioni e innovazioni didattiche nel solco della nostra tradizione pedagogica, su tutte quella montessoriana.
Dare un profondo senso pedagogico e didattico a tutto il processo con linguaggi e strumenti nuovi questo raccomanda tra le righe il Piano Nazionale della Scuola Digitale: ecco perchè i docenti saranno i veri protagonisti di questa sfida che devono accogliere, fare propria e guidare.

Il Piano Nazionale della Scuola Digitale" dunque non guarda a "un semplice dispiegamento di
tecnologia" negli istituti del Paese, ma "risponde alla necessità' di costruire una visione di educazione nell'era digitale". Si parte dalle infrastrutture, dalla banda larga, ma il fine è arrivare all'"innovazione del processo educativo", basato "sull'interazione costante" degli studenti.
Cioè passare dalla trasmissione di conoscenze alla condivisione e formazione di competenze. E’ un cambio di paradigma profondo che può rendere protagonisti assoluti i docenti, togliendoli da una marginalità sociale di dibattito tutto esclusivamente professionale o legittimamente corporativo a una centralità di sviluppo culturale e collettivo del Paese intero. Siamo a una svolta profonda, la Scuola può assumerne le redini?

Il perno è dunque la didattica delle competenze, per chi non lo sapesse sono quelle otto “competenze chiave” definite in sede europea nel 2000 che il sistema d’istruzione di ciascun paese UE deve trasferire agli studenti e alle studentesse per formarli come cittadini globali. Alcune facili e immediate a comprendersi, come la comprensione di un testo scritto complesso e il ragionamento logico-matematico (leggere, scrivere e fare di conto sono, oggi come ieri, la base per tutto, il punto è come), altre meno immediate come l’autoimprenditorialità, la capacità di imparare ad imparare e altre ancora. Si ritiene che tali nuove competenze siano facilitate da nuovi linguaggi e innovazioni didattiche, con i nuovi processi di insegnamento e apprendimento, che sedimentino i saperi tradizionali ma li collochino nel mondo di oggi, che è digitale. Piaccia o non piaccia.  Che ha come parole d’ordine condivisione, cooperative, sharing, circolarità, laboratorio...parole che i nostri adolescenti conoscono benissimo ma praticano pochissimo a scuola.L'obiettivo finale è quello di favorire, senza subirla la trasformazione culturale che sta riguardando ogni ambito dell'esistente e la scuola, da schiava dei software o ignara dei software deve porsi a timone, a guida, non sentinella delle macchine ma padrona, in un processo che partendo dalla scuola raggiunga tutte le famiglie, da Nord a Sud, dal centro alla periferia.

Il "Piano nazionale per la scuola digitale", presentato ieri al Miur, e' in sostanza un manuale operativo, indirizzato a tutte le scuole, che spiega quali innovazioni saranno avviate a livello nazionale da qui al 2020.

Quattro gli ambiti di lavoro (strumenti, competenze e contenuti, formazione, accompagnamento delle
scuole), per un totale di 35 azioni. Tra queste: la fibra e banda ultra larga alla porta di ogni scuola, il cablaggio interno di tutti gli spazi delle scuole, gli ambienti digitali per la didattica, le biblioteche digitali scolastiche, il registro elettronico e il pensiero computazionale per tutte le scuole primarie, risorse per pagare il canone di connettivita', ma, soprattutto, la formazione in servizio per tutto il personale, e una nuova strategia nazionale per l'apprendimento pratico e i laboratori, un quadro comune per le competenze digitali degli studenti, un responsabile per il digitale per ogni istituto ("animatore digitale") che accompagni e aiuti i colleghi alla scoperta delle buone pratiche che già si compiono e che sperimenti altro ancora .
Del miliardo a disposizione, "600 milioni saranno investiti per la parte infrastrutturale, 400 per la parte software, cioe' sviluppare competenze, monitorare lo stato dell'arte, formare l'intera comunita' scolastica dagli insegnanti al personale amministrativo” in un processo che sarà in larga misura peer to peer.

L'innovazione dovrà far parte anche del mondo accademico per mutare il percorso della formazione iniziale dei docenti, su cui il Parlamento ha dato delega al Governo. E in quella formazione larga parte avranno la didattica, la pedagogia, la metodologia e l'innovazione e la sperimentazione. Scienze e metodi che hanno tenuto lontani finora i cosiddetti docenti disciplinaristi, nonostante proprio la didattica delle discipline abbia bisogno oggi di nuove riflessioni e sperimentazioni, su tutte la matematica, esattamente per dare "testa pedagogica" a tutto il processo di innovazione a scuola. 

La Scuola non può rimanere indietro, anzi il contrario, e ancora, non può essere ancillare: è la Scuola che deve porsi a guida, per investire sulla conoscenza. E’ una sfida che il Paese pone alla Scuola e che la Scuola deve raccogliere. Perché è vero, qua si parrà la sua nobilitate, nella capacità di assumersi responsabilità dei cambiamenti utili per le generazioni di domani pur rimanendo se stessa.



martedì 6 ottobre 2015

Questione Gesap? Donne nei CDA? I diritti non sono forma ma sostanza delle democrazie.



Spicola (PD Nazionale) - “Questione Gesap? I diritti non sono forma ma sostanza delle democrazie”
“Nulla di nuovo sotto il sole per quanto riguarda la composizione del Cda della Gesap. In Italia le donne non hanno pari trattamento, non hanno pari opportunità. Le questioni di genere non sono questioni di costume, di colore, di coscienza o di ideologia, ma di diritti, non formali ma sostanziali: umani, civili, costituzionali, giuridici, e chi più ne ha più ne metta. Per questosostengo al 100% la posizione dell’Associazione Fiori D’Acciaio in merito”.
Così Mila Spicola, componente della Direzione Nazionale del PD ed ex vicesegretario del PD Sicilia, sulla vicenda Gesap sollevata dall’Associazione Fiori di Acciaio. Spicola aveva già a marzo segnalato, scrivendo alla commissione di garanzia regionale, come persino la segreteria del PD Sicilia, con 10 uomini e 2 sole donne, violasse l’equilibrio di genere prescritto dagli Statuti nazionale e regionale del Partito Democratico. Anche in questo caso “pena la decadenza”. Segnalazione caduta nel vuoto.
“Diritti riconosciuti in modo formale nelle carte e nelle leggi – continua Spicola - ma ancora lungi dall’essere diritti sostanziali. Pur con competenze provate e dimostrate ci sono volute leggi e statuti per portare le donne nei luoghi delle decisioni. Cosa che non accade per gli uomini, sulle cui competenze a volte abbiamo più di qualcosa da obiettare. Oggi, quelle stesse leggi, vengono serenamente ignorate. Ebbene, non bastano più nemmeno le leggi, nemmeno gli Statuti; persino gli schieramenti storicamente più sensibili alla questione dei diritti sembrano più preoccuparsene.”
“La normativa di cui alla legge 120/2011 – spiega - afferma che negli organi amministrativi e sindacali delle società partecipate, come la GESAP, il genere meno rappresentato deve ottenere almeno un terzo dei propri componenti, pena, ai sensi del D.P.R. 251/2012, (legge trasversale per proposta e approvazione) la decadenza degli organi medesimi. In questo caso un solo genere viene rappresentato. Quello della Gesap non è purtroppo un caso isolato: anche il cda dell’ospedale Gaslini di Genova ha la stessa composizione illegale. Casi di discriminazione di genere si moltiplicano e si accostano a veri e propri atti di sessismo, anche in luoghi sacri come il Parlamento. Sono tutti atti condannabili perché contrari a precise indicazioni costituzionali, giuridiche e/o statutarie di rispetto della persona, che è pari e uguale di fronte alla legge e come tale deve avere pari opportunità, non veti totali, a prescindere “dal sesso, dalla razza, dalle opinioni politiche, dal credo religioso, dalle condizioni sociali”.

lunedì 5 ottobre 2015

MANIFESTO DEL RISPETTO IN RETE


Per leggerlo meglio scaricatelo su generazioniconnesse.it ( http://www.generazioniconnesse.it/_file/documenti/Comunicazione/Leaflet_2015/SIC_RAGAZZI_leaflet.pdf )

Anche voi vi trovate a disagio quando siete oggetto di insulti, di offese o di scherno. In rete accade più che fuori, perchè molti si sentono “liberi” di dire e fare quel che gli passa per la testa.
Non è libertà perchèla libertà di opinione finisce là dove inizia il rispetto per l’altro, le offese e gli insulti non generano libertà, ma fuga, silenzio, paura. Si crea terra bruciata, non terreno fertile. Dunque se davvero pensiamo di volere un mondo migliore intanto cominciamo a fare qualcosa, nel nostro piccolo; ad esempio iniziamo col diffondere e praticare noi per primi buone pratiche di comportamento. Basate sul rispetto, pur nelle differenze (tutte, anche quelle difficilissime di opinione). Tutto il resto viene dopo. 
Non convinceremo mai nessuno della bontà delle nostre idee se il veicolo è la violenza verbale, o l’insulto alla persona. Non argomenteremo mai un’idea altrui che riteniamo errata se insulteremo l’argomentatore. La democrazia è metodo, prima che merito.

Quella che vedete nell’immagine 
è un'iniziativa del Ministero della Pubblica Istruzione, per suggerire un uso consapevole dei social e combattere e prevenire il cyberbullismo. Di fatto è un ottimo "vademecum del rispetto" per tutte e tutti. Vale per la rete, ma vale per la vita. Sono 7 errori da non fare in rete, il 1, il 3 e il 4 sono davvero importanti  (li copio in calce). Se tutti li tenessimo a mente sempre, a mente e nei fatti, quanto diverso e migliore sarebbe il mondo.
Si legge nel Manifesto "il web è una buona occasione per imparare a rispettare gli altri. Non  usare mai la rete per giudicare, infastidire o impedire a qualcuno di esprimersi"
Esame di coscienza. Ne siamo coscienti? e non è un gioco di parole.

Vale per tutti, per noi, voi, per ragazzi e per adulti "disinvolti" che si sentono fighi ed eroici quando alzano la voce, quando insultano, quando offendono. Pensando così di far passare la propria opinione e se stessi, addirittura come portatori di giustizia, di libertà e di etica, dimenticando la cosa più importante: le tre cose si nutrono del rispetto e della responsabilità nei confronti dell'altra e dell'altro. Se non lo si ricorda, ogni valore difeso viene in realtà offeso.



Pratichiamolo e facciamolo girare, è una piccola azione per migliorare il mondo.


"1. IL WEB E' BELLO PERCHE' E' VARIO Siamo tutti diversi e su Internet queste diversità si evidenziano ancora di più. Ma il web è anche una buona occasione per imparare a rispettare gli altri. Non usare mai la rete per giudicare , infastidire, o impedire a qualcuno di esprimersi.
3. IL BUON GIORNO SI VEDE DAL COMMENTINO Dai il meglio di te! Comunicare con gli altri significa anche farli stare bene, regalare un pensiero solare, un'impressione positiva. Pensa a quello che scrivi, alle email che invii e al loro contenuto. Fatti sentire anche "offline", non ridurre i rapporti al solo mondo del web, ma usa la rete per migliorarli.
4. NAVIGA E LASCIA NAVIGARE Comunica in modo positivo, esplora, cerca di prendere il meglio e aiuta gli altri a fare lo stesso. Non invadere la privacy dei tuoi amici; nel tuo piccolo, il modo in cui navighi infl uenza la vita di altre persone."


venerdì 18 settembre 2015

La guerra dei Gender.



"I bambini non si comprano". Le favole metropolitane contro la teoria gender. La ministra Giannini che minaccia querele. I genitori che diffidano. L'Unar che se la prende col Miur. Le parrocchie che tuonano e gli arcobaleni che brillano. Non ne sentivamo il bisogno di un'altra guerra, eppure io vi dico che questa è la vera guerra del 21 secolo, quella sulle questioni di genere.
Sul comma 16 l'Italia si spacca. Vi avviso, non è solo l'Italia, dunque grande cautela e bando alle banalità.
Il comma 16 della riforma sulla scuola, su cui tutti si stanno armando, recita: 

Il piano triennale dell'offerta formativa assicura l'attuazione
dei principi di pari opportunita' promuovendo nelle  scuole  di  ogni ordine e grado l'educazione alla parita' tra i sessi, la  prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni,  al  fine  di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti  e  i  genitori sulle tematiche indicate dall'articolo 5, comma 2, del  decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge  15 ottobre 2013, n. 119,  nel  rispetto  dei  limiti  di  spesa  di  cui all'articolo  5-bis,   comma   1,   primo   periodo,   del   predetto decreto-legge n. 93 del 2013. 
Attaccato da destra perchè si affronta il tema, da sinistra perchè non lo si affronta abbastanza. In mezzo ci sta la scuola.
E' un tema epocale questo e non si è capito. Ha a che fare con i grandi mutamenti che stanno attraversando il mondo: quello che spinge ad accettare senza infingimenti altri modi di essere. Guardate che il 90% dell'ideologia dell'Isis gioca anche su questo. Roba che si stanno spostando meridiani e paralleli. Dunque non stupiamoci delle polemiche, certo molto ma molto più limitate, che stanno attraversando le nostre case e le nostre strade.
Basta dire che un'agenzia ben più potente di tutte le altre messe insieme, Facebook, ha inserito la terza via come possibilità di scelta del proprio genere, il campo neutro dove inserire ciò che più aggrada. Cosa sei? Uomo? Donna? O cosa?
Come ti definisci? Per alcuni: osi definirti in altro modo?

Su questo tema pochi di noi hanno risposte certe, checchè ne dicano le femme fatale e i machi in circolazione e bisogna avere l'umiltà di conservare e coltivare il dubbio, non false certezze.
Una cosa è difficilmente smentibile, nell'incredibile disinteresse sul tema dell'affrontare l'argomento dal punto di vista educativo o nel non prendere il coro per le corna, le nostre giovani generazioni stavano rischiando di crescere da sole con i grandi dubbi, in assenza degli adulti, con scarsissima conoscenza e con grandi grandi problemi. Perchè, al netto della crociata che sta portando avanti la famiglia tradizionale, la stessa famiglia tradizionale da decenni che si rifiuta di affrontare o rispondere alla benchè minima domanda sul tema da parte del figlio o della figlia.
Nè questi ultimi si arrischiano a farne. 
In balìa di youporn, quando va bene, o preda di bullismo, che cresce, cresce, cresce, o di equivoci quando va male, senza nessuna conoscenza di sè e del proprio corpo. E nemmeno delle azioni di ritegno o senza contegno. E dunque di malattie, fisiche o psicologiche.
E' la conoscenza che crea gli uomini e le donne liberi e consapevoli.
E' la consapevolezza che li salvaguarda dalle malattie, dalle violenze, dalle discriminazioni.
Sul tema dell'identità di genere, che non coincide con quello della conoscenza dei comportamenti sessuali, ma riguarda ben altre complessità, umilmente ammetto di avere grandi grandi dubbi, da sempre. Io so che sono donna, ma sul come essere donna non ho mai trovato nessuna risposta certa in me, nè in mia madre, nè nei libri, nè nella grandezza o debolezza delle altre donne. 
Ho solo la convinzione che i miei dubbi possano essere governati e sedati in qualche modo dalla conoscenza.
Quella dobbiamo trasferire, non l'ansia dei sentimenti giusti o sbagliati, delle cose giuste o sbagliate, delle famiglie tradizionali o meno, delle paure nostre, ognuno ha le sue, ma l'ansia della conoscenza, l'unica base per il progresso e per il rispetto; abbiamo il dovere di trasmetterla. E questo faremo, a scuola. Con serena determinazione. Poi, ciascuno, in cuor suo, sceglierà per sé.


Aggiungo delle considerazioni personali. Senza nemmeno nasconderci tanto, dobbiamo riconoscere che le ragioni dei no sono le ragioni di chi è contrario all'omosessualità. Cioè, è omofobia mascherata quella che stiamo osservando in questi giorni.
Ci sono solo due sessi, e devono assortirsi in un solo modo, affermano a destra. Guai a proporre la "neutralità di genere" o la "pluralità di genere"(cioè le teorie gender che qualcuno dice non esistono e altri dicono che esistono; credetemi, io la neutralità non riesco nemmeno a concepirla in altre cose, figuriamoci in questa). Però se sta sullo stato di facebook, ragazzi, a voglia far crociate. C'è. I crociati dei due sessi e basta, dovrebbero spiegarmi meglio la questione del sesso degli angeli. E farmela digerire. Chè da piccola mi spiegarono essere neutro. Il sesso degli angeli. Appunto. E che vuol dire? Non lo compresi allora e non lo comprendo adesso. Gli angeli non hanno sesso e dunque sono neutri. Boh. Non condivido ma rispetto. Però ci ho speso del tempo e delle paturnie da ragazzina, insieme alla mia educazione fortemente cattolica in famiglia non cattolica. Dubbi. 

Ci sono mille modi di esprimere la propria identità sessuale dicono all'estremo opposto, non so se a sinistra o dove; questi mille modi non dipendono addirittura dal sesso biologico ma dalle costruzioni culturali. E qua la cosa si complica in tutto un dissertare di bambole rosa e trenini celesti. Anche questo, vi giuro non lo comprendo. L'aver letto Orlando di Virginia Woolf a tempo debito mi aprì la mente verso voragini di dubbi ulteriori. Non condivido ma rispetto.

Questo cosa vuol dire? Che sotto il cielo, mentre ci arrovelliamo in domande come queste, legittime per carità, i fatti accadono e non son sempre cose buone.
Donne violentate, brutalizzate e uccise, e il sesso ne è arma e motivo.
Omosessuali o lesbiche discriminati e ai quali non si rilascia la patente di guida. Accade in Russia. Boh. La patente di guida. Nemmeno alle donne, in certe altre parti del mondo. E guai a esporre i capelli. Cavolo, i capelli. In nome di Dio. Ne vogliamo parlare? Ci rendiamo conto? Dovrei dire anche in questo caso: non condivido ma rispetto?
Questo che vuol dire? Che potremmo continuare a parlare per ore ore ore ore e non venirne a capo.
Ma un capo c'è, ed è adesso, ed è il terreno comune intorno a cui incontrarsi tutti. Perchè i nostri figli stan crescendo adesso in un mondo in pieno smottamento. Non condivido ma rispetto. 
Il rispetto. Consapevole però, non il liberi tutti. Ma il rispetto consapevole di comportamenti che vanno conosciuti, spiegati, raccontati. Non per condividerli o imitarli, ma per rispettarli.

Perchè siam tutti diversi, con le piume e i vestiti varipinti, o la divisa d'ordinanza, con il tacco 12 o le converse, con il trucco o senza trucchi, ma siamo uguali nei diritti. E abbiamo il diritto di declinare le nostre vite con le stesse identiche opportunità. E questo sì, di grazia, possiamo insegnarlo?

giovedì 3 settembre 2015

L'aborto e il perdono.


Che questione complessa, irrisolvibile e contraddittoria.
Almeno nella mia testa.
Sono atea e sono contro l'aborto.
Sono per la vita sempre ma sono contro i pro life, vedo in loro la negazione del libero pensiero, che per me coincide con la natura stessa dell'essere umano.
La mia impalcatura coriacemente illuminista mi fa dire che anche quando non condivido nulla è mio obbligo rispettare. Sempre. Senza giudizi.

Che cosa vuole dire sul piano pratico?
Che ho sempre sostenuto la necessità e l'applicazione della legge 194, in tutti i suoi aspetti, prevenzione, sicurezza, legittimità della scelta femminile e illegittimità di non poter assicurare sempre nelle strutture pubbliche tali scelte, come segno di libertà e di autodeterminazione,
pur essendo profondamente e nettamente contraria all'aborto.
E profondamente e nettamente contraria all'aborto rimango.
Non so, per me è sempre complesso trattare l'argomento, non trovo risposta unica e pacificante alle mie contraddizioni. Rimango non lineare, nel dubbio.
Se in me debba vincere il tema del concetto della libertà o il tema della dignità della vita.

Cattolici o non cattolici, mai mi son permessa di urtare la sensibilità in tal senso.
E quando mi sono impelagata in discussioni con teocratici fondamentalisti contro la 194 per me è stata dura mantenere la calma. Non solo nei loro riguardi, ma nei riguardi del mio libero pensiero, così libero dal volermi sempre permettere il lusso della contraddizione libera dai lacci e lacciuli del voler prendere parte o essere di parte. Cioè del pensarla come loro pur essendo completamente diversa da loro nella premessa, nell'argomentazione e nell'esito.

Immagino per un pro life, come anche un cattolico o una cattolica, cosa possa significare ascoltare in questi giorni le dichiarazioni di Bergoglio sul perdono alle donne che hanno abortito;

Questo per dire che risposte non ne ho.
Aborto e perdono. Che immagine potente.
Un'atea come me ha trovato sempre inquietante e assolutorio il concetto di perdono divino, ma, ripeto, non condivido nel rispetto.
Questo per dire che papa Francesco, comunque la mettiamo, dice cose incredibili davvero.
Cose profondamente rivoluzionarie nel senso cristiano del termine.
Fosse anche solo per la considerazione diversa e inedita della libertà della donna.
Non approva, certo, non condivide, certo, ma comprende.
Cosa che io invece ancora non riesco a fare.

martedì 1 settembre 2015

Facoltà di Medicina rumena ad Enna?


C'è in giro una fiaba nuova. Nella repubblica autonoma di Enna stanno aprendo una nuova facoltà di medicina? Addirittura i corsi saranno in lingua rumena, previo corso accelerato in lingua rumena, non per chiedere come ti chiami e quanti anni hai, ma per studiare materie complesse e delicate come quelle mediche, se non fosse vero ne riderei, e invece..altro che ironia tocca indignarsi. Mi dissocio e condanno.
Al Miur non se ne sa nulla e si procederà con diffida. So che era già stato dato dall'Anvur, unico organo designato all'accreditamento di nuovi corsi di laurea in Italia, parere negativo a una richiesta presentata mesi fa dall'Università Kore.
Leggo, ma ripeto, direttamente e ufficialmente il Miur ne sa nulla, di un' intesa tra la Repubblica autonoma di Enna, attraverso una Fondazione, e l'Assessorato Siciliano alla Sanità, per una succursale in quel territorio di una università rumena. Surreale.
Per fortuna questa cosa verrà stoppata prontamente ma alcune riflessioni vanno fatte.
A prescindere dall'ironia, che vale poco quando ci sono di mezzo studenti e formazione, e dai permessi possibili, l'apertura di corsi di laurea in professioni sanitarie è una questione delicatissima che non può essere condotta con queste modalità.
Ci sono delle regole nazionali in tal senso e come facente parte di una comunità chiunque deve, per opportunità e buon senso, oltre che per legge, osservarle. A maggior ragione se quel qualcuno deriva da una tradizione di sinistra in cui bene comune e questione morale erano tratti distintivi.
C'è un fabbisogno nazionale di medici e operatori sanitari, definito nazionalmente di concerto con il ministero della sanità, in base al quale si assegnano agli atenei i posti utili alle iscrizioni a ciascun corso; i corsi sono accreditati, e dunque per accedervi, visto il numero contingentato e definito nazionalmente, si supera un concorso a mezzo test. Migliaia di studenti si preparano e vengono selezionati ad accedervi per merito. In professioni decisive per la comunità e nelle quali non si può agire con superficialità. Le tasse sono commisurate al reddito.
È un insulto a loro, agli studenti, prima che alla legge, pensare di beffarli in questo modo. Non solo: chiedere una marea di soldi di iscrizione e fare profitto su questo. Un’ingiustizia procedurale e sociale indigeribile in una regione come la nostra. Altre università lo fanno, lo so, far pagare rette, anche salate, non lo condivido ma hanno permessi e rientrano nelle regole. Le regole sono: autorizzazioni, accreditamenti e attenersi al piano di contingentamento nazionale. Attenersi alle regole. Vale per ogni cittadino, vale ancor di più per un iscritto al mio Partito. Nessuna ironia, io ci credo.
Fosse anche regolare, e non lo è, è una vergogna non tenere conto di tutto ciò. E’ un imbroglio. Ai danni di studenti, di famiglie e della collettività. Ripeto, a prescindere dai permessi, dalle autorizzazioni o dalle intese. Che comunque sono tutte da verificare.
Il Miur diffiderà ufficialmente la Fondazione e l’Università Kore ad essa collegata dall’andare avanti in questa vicenda.
Ma, ripeto, la mia è una valutazione politica e personale, da dirigente del PD a un altro dirigente dello stesso Partito. E per motivi valoriali, non tecnici. In qualità di dirigente nazionale del PD mi stupisco che sia potuto accadere e che altri dirigenti del mio partito abbiano con leggerezza addirittura accolto con gioia la cosa; mi dissocio e condanno completamente e totalmente l’agire di un esponente del PD che avrebbe una sua storia rispondente ad altri principi e di quanti, come rappresentanti del governo regionale, si sono resi complici di quest’imbroglio.
Mila Spicola, Direzione Nazionale del Partito Democratico

giovedì 13 agosto 2015

SALVEZZA DI CLASSE: soltanto la scuola può riscattare il Sud


 di Mila Spicola, articolo comparso su L'Unità del 13 agosto 2015

"Per ogni problema complesso, c'è sempre una soluzione semplice. Che è sbagliata."
George Bernard Show
"Scusi: davanti a tutti questi "feriti", buttati a terra dai "ladroni" – come dice la parabola del Samaritano (Lc 10, 30ss.) – cosa deve fare il sindaco, cioè il capo ed in certo modo il padre ed il responsabile della comune famiglia cittadina? Può lavarsi le mani dicendo a tutti: – scusate, non posso interessarmi di voi perché non sono uno statalista ma un interclassista?" Giorgio La Pira
Questa è una storia comune, comune a tante, tante siciliane. 
La mia nonna paterna rimase vedova con quattro figli proprio all’inizio della guerra, un calcio del mulo piantato per bene in pancia e mio nonno, contadino, dopo qualche settimana di tormento, morì. Nonna rimase con un figliastro avuto dal primo matrimonio del nonno, prigioniero in Africa, e i suoi tre figli, le mie due zie, mio padre, piccolo italiano della gioventù balilla, come ogni bambino d’Italia,  che stava iniziando la scuola media, e un giardino di arance, sulla strada che portava da San Biagio Platani ad Alessandria della Rocca, in provincia di Agrigento del Sud più Sud d’Italia. 
Dopo qualche giorno con lo stesso mulo che le aveva portato via il marito, mia nonna, le mie due zie e mio padre, all’ alba s' incamminarono; c’erano da potare le arance e da lasciare a metà strada mio padre, che poi proseguiva per 5 chilometri a piedi, verso Alessandria, con una borraccia, un panetto di crusca, un  quaderno e un libro. Le mie zie no, si erano fermate alle medie, uno solo poteva studiare e forse nemmeno lui. 
Mia madre al volgere della guerra aveva sei anni, nel ’46, ed era ricca. Suo padre era burgisi, borghese, amministrava un feudo, avrebbe fatto tutte le scuole, addirittura il collegio, uno dei migliori, dalle suore ad Agrigento. Vestiva bene, mangiava meglio e tornava a casa solo il tempo delle feste. Il tempo per scambiare i suoi biscotti, o il suo pane fresco e zucchero, con il panetto di crusca delle figlie di quelli “a giornata”, chè a lei piaceva immensamente di più. E di seguirle quel giorno che occuparono proprio il feudo amministrato dal padre all’urlo di “vogliamo le terre”. “Stupidotta! Ma quella è già terra tua..” La nonna materna era piena di fisime, non usciva mai al sole, mai. Inorridì nel vedere le sue due figlie, un’estate degli anni ’50 tornare da Mondello abbronzate (dov’era mai sto Mondello per  la madre di mio padre, con le mani callose e il viso arso dal sole?). Non le fece uscire di casa fino a Natale, nonna Rosalia. E quando un anno, io e tutte le mie cugine, ci regalammo un’estate a Pantelleria con nonna, lei rimase per due settimane rintanata nell’angolo più buio del dammuso. Che vergogna, il sole! Manco fosse un drago. 
Leggeva e rileggeva i suoi libri, Shakespeare per lo più.  E poi Tolstoj e Dostojevskij. Tutte le famiglie felici sono uguali, ciascuna poi è infelice a modo proprio. Andava ripetendo quando le normali tragedie della vita si abbattevano. Aveva solo la licenza elementare ma era coltissima. Erano gli stessi libri che leggevo a voce alta da piccolina, mentre lei e mia madre ricamavano. “Gioia mia, studia, ti devi laureare, devi fare l’ingegnere” “Ma nonna, gli ingegneri stanno al sole!” ” Ti copri tutta e ti metti il cappello, stai dritta sulla sedia, zitta e leggi” Quei libri, pieni delle sue note e dei miei disegnetti stanno ancora là. Dove li ha lasciati lei.
Questo era il Sud e questo è. Ricchissimo per alcuni, e poverissimo per altri. Le luci di allora si sono mantenute e sono identiche le ombre, tante, troppe. Ci sono tante cose splendide, tantissime realtà positive e vincenti, vero è,  il danno è che non fanno sistema, nei numeri si perdono, alcuni dicono perché oltre a mancare le infrastrutture manca un ecosistema sociale pronto a diffonderle e replicarle. Sono d’accordo. Sole e buio. Al sole non vedi perché la luce ti acceca, all’ombra c’è troppo buio per discernere e allora sono le ore dell’alba e del tramonto, quelle del silenzio, che aiutano a leggere le cose. 
Costruire un ecosistema socioculturale diverso dunque. Si può e si deve iniziare da ciò.
Tutto questo pippone per dire cosa? Per ripetere insieme a Bernard Show che non ci sono risposte semplici, va tutto male, governo ladro, o va tutto bene, madama la marchesa. Se son semplici sono sbagliate. Il nocciolo della complessità della risposta è nell’indissolubile legame/opposizione tra luce che acceca e buio che avvolge. E’ questa la vera questione meridionale, i divari nord sud sono correlati ai divari interni che disegnano una continuità impressionante tra un sistema feudale di diseguaglianze, economiche, culturali e sociali, quale era prima dell’Unità d’Italia e la fotografia di oggi. Un sistema fondato su usi e costumi e mentalità che sono trasmigrati senza soluzione di continuità dall’allora, al poi, all’oggi. 



1. SERVI E SIGNORI
Il Sud non ha conosciuto la stagione dei Comuni, delle Signorie, l’Umanesimo e il Rinascimento, la stagione dell’Uomo che si autodetermina e muta il destino,  ma solo quella  immutabile di signori, signorotti e servi della gleba. Non ha conosciuto una stagione di benessere post-unitario (se non con l’eccezione della Palermo fin de siecle e liberty) perché da noi la middle class ha fatto fatica a formarsi ed è sempre stata una middle class di “provenienza”, nobiliare o popolare, che ha confermato gli assetti sociali anziché mutarli in una mobilità sociale moderna. Un assetto trasmigrato pari e patta in un sistema economico prevalentemente statale, assistenziale spesso, non autonomo. Signori, signorotti e servi della gleba tutti e tre assolutamente privi di senso dello Stato, di senso civico, di predisposizione alla cittadinanza attiva e alla salvaguardia di interessi comuni. Per motivi storici e strutturali: è il sistema che crea i sentimenti, diceva Levi Strauss, e il sentimento quello è. Condizioni che hanno reso difficilissima se non impossibile l’autoimprenditorialità. Le eccezioni non fanno, appunto sistema. Lo provano i numeri. Signori, signorotti e servi della gleba legati da un meccanismo di mutuo ricatto e da interdipendenza perenne. Non da autonomia, da libertà, da indipendenza necessarie a creare sviluppo economico. I primi due decisamente contrari ad ogni tentativo di mobilità sociale, come minaccia all’esercizio del privilegio.

2. INTERESSE PRIVATO 
L’interesse al Sud è sempre privato, individuale, porta a porta, non pubblico, collettivo, di piazza, se non per recriminare; anche se si nutre di soldi pubblici rinnega lo Stato e lo inganna quando non esiste in Sicilia regola che non possa derogarsi, in virtù di quell’interesse; la politica negli anni non ha avuto nessun interesse a mutare il paradigma, questo ha fatto e questo fa per vincere, cavalcando la tigre, assicurarsi il consenso salvaguardando interessi particolari, di singoli o di gruppi, come segno di esercizio di potere. E’  feudalesimo. E identicamente ha fatto la Mafia. La politicaha agito nella legalità, la seconda nell’illegalità, ma entrambe seguendo lo stesso meccanismo: un paternalismo morale o amorale, legale o illegale, ma lontano anni luce dal concetto profondo di cittadinanza attiva come azione autonoma, indipendente, libera dentro lo Stato e per lo Stato che insegue interessi generali anche col rischio di perdere qualcosa per se stessi nel breve periodo, in vista di un vantaggio collettivo e generale nel lungo periodo. E’ una forma egoismo sociale storicizzato e privatizzato che solo la scuola e un’istruzione mirata maggiormente alla trasmissione di valori collettivi e di cittadinanza potrebbe scardinare.
Non mi appassiona il dibattito sulla lettura positiva o negativa di quello che è il Sud. Il Sud sono mio padre e mia madre, povertà e ricchezza, cultura e ignoranza, variamente combinate, che solo la scuola ha unito in un comune destino di crescita individuale che si è fatta sociale. Entrambi maestri hanno vissuto per la Scuola nella Scuola. Il Sud è mia nonna materna, per la quale tutto andava bene; attenzione, si è sbracciata per avere quello che aveva, suo marito, il burgisi, lavorava 48 ore su 24, stai composta e leggi. Ma era una vita di privilegio. Il Sud è mia nonna paterna che col suo mulo assassino alle 3 del mattino col buio, due figlie e un bambino andava a potare le arance e per tutta la vita così visse senza mai sollevarsi. Ma era un destino.  Il Sud è entrambe che mi invitavano: mila non stare con la testa in aria, sii concreta. Nessuna delle due era ottimista e nessuna delle due era pessimista. Per tutta la vita oscillanti tra destino e privilegio mai tra libertà e indipendenza. Era gente positiva però ciascuna è rimasta al suo posto. Il destino dei loro figli lo ha disegnato, ricomposto, mischiato e livellato verso l’alto la scuola.



3. STUDIARE MI HA SALVATO
E oggi? Il mio destino lo ha disegnato la Scuola, io che, per volere dei miei, ho fatto l’asilo, una rarità, il tempo pieno, un privilegio,  il migliore liceo statale, una scelta, a fronte di centinaia di bambini che ancora oggi in Sicilia queste opportunità non le hanno, perché non ci sono, o perché altre famiglie e altre priorità si trovano come destino e non come scelta; sputando sangue, è vero, ma sono state opportunità le mie, sputando sangue ho continuato all’università, con tre nonni e due genitori che mi han seguito passo passo in questo. Accade a tutti i bambini siciliani oggi? No.
Ma il mio destino lo han disegnato i pranzi di Natale in cui leggevo e sentivo gli abissi, le divisioni. Negli occhi di mio padre leggo sempre la sua infanzia povera e in quelli di mia madre la sua infanzia ricca, e leggo la certezza di quello che han guadagnato entrambi e in egual modo attraverso virtute e conoscenza.
Il Sud è dunque la necessità di costruzione di un ecosistema socio-culturale diverso, equo prima che uniforme. Di pari opportunità e non di impari offerta. Che istilli nel sangue necessità comuni, cultura civile e civica, non  l’eroismo, l’associazionismo, il volontariato, senza nulla togliere a quanto di importante rappresentino, ma la necessità di agire per lo Stato e con lo Stato in una legalità del quotidiano tutta ancora da costruire, comprendendone profondamente la natura di istituto della comunità, del noi, in cui siamo noi tutti. Non un noi contro un loro. Non un limone da spremere ma una casa comune da tenere in ordine e difendere con la conoscenza profonda dei processi democratici (che in troppi ancora sconoscono e che la scuola non sta trasferendo più) che si fan diritti, non il tramandarsi sempre identico di pretese avanzate egoisticamente che spesso si fanno discriminazione  senza direzione comune.
Per questo sono convinta che un insegnamento specifico in diritto, diritti, e autoimprenditorialità (le metto insieme e non è un caso), come insieme di conoscenze specifiche prima e di competenze poi, debba essere la cosa da inserire subito a Scuola, insieme all’italiano e alla matematica, aggiungo insieme all’acqua e al pane, dalla prima elementare all’ultimo anno delle superiori.
Sono saltata sulla sedia quando Renzi ha citato l’Infanzia come campo di azione previsto nel MasterPlan per risollevare il Sud e per invertire la desertificazione in atto: aiuti all’infanzia e dunque alle famiglie.Lo si faccia, la si aiuti, la si indirizzi, la si formi, fin da subito. Ma bene però, concretamente, con azioni di sistema, e non con la testa in aria delle scelte sbagliate. Non si metta in campo l’ennesimo progettificio che si disperde in mille rivoli di cose superflue.
Se anche lui sente la necessità come me di ridare senso e valore comune allo Stato avviciniamo questi bimbi a partire dai bisogni primari, dando loro un pasto al giorno, perché non tutti ce l’hanno e i livelli di povertà sono identici a quelli vissuti dal mio papà. Mi sembra che la povertà, ce lo ha raccontato Lula nel suo discorso all’Expo, sia questione da affrontarsi con azioni di governo, lo diceva anche la Pira. Al riguardo balbettiamo o ci vogliamo il viso; beh, per far brillare il sol dell’avvenire dobbiamo abbattere ogni residuo di povertà e diseguaglianza, ed è la sfida vera di questo millennio. E’ segno di modernità voler affrontare la questione. Facciamoci un giro per le mense della Caritas oltre che tra i padiglioni dell’Expo quando parliamo di cibo. Senza pessimismo, con la forza positiva del trovare le cose da fare subito.

4. INIZIAMO DAI BAMBINI
Iniziamo dai bambini. Dando loro un pasto, l’asilo e scuola tutti i giorni e tutto il giorno. A tutti e non solo ad alcuni. Ecco la vera infrastruttura e la vera azione di sistema. Destiniamo a questo tre o quattro dei cento miliardi previsti. Non disperdiamo in mille rivoli i fondi europei per il Sud destinati alla Scuola, i pon del passato sono stati acqua nebulizzata sulla sabbia e tali rischiano di essere nuovamente, se non si colmano, anche con quelle risorse, i divari strutturali di offerta. In altra sede rimane da parlare per bene e chiaramente, per bene e chiaramente, di burocrazia che ammazza piuttosto che sostenere la spesa possibile, e di selezione delle classi dirigenti che compongono quella burocrazia come i gangli delle amministrazioni locali, decisamente non all’altezza. Si devono selezionare le persone giuste, non quelle che convengano, sennò vanifichiamo tutto. Posto che, tra quelle che convengono, si possono sempre selezionare quelle giuste e non quelle sbagliate. Un’ovvietà a dirsi, meno a farsi. Le persone giuste le formi a scuola, non solo, ne valorizzi e non mortifichi le competenze, esattamente selezionando i migliori e sempre. Sennò a che serve il merito, a che serve la Scuola?
Si torna là, alla Scuola. Trasferiamo a tutti gli studenti la conoscenza del diritto e dei diritti che sono dovere, senso del dovere, non recriminazione, solo così costruiamo un senso comune dello Stato e uno Stato comune. Uno Stato fatto di Comuni e non di feudi. Per scardinare finalmente i meccanismi dell’egoismo feudale, la vera ragione per cui muore il Sud ed anche il Nord. Viene poi tutto il resto: la banda larga, le strade, le ferrovie, gli sgravi e tutto quello che volete. 
Non stare con la testa in aria Mila, sii concreta. E’ quel che sto facendo, nonne.

giovedì 25 giugno 2015

#JeSuisIgnazio

Lo so, Maria Elena, hai ragione, l'onestà non basta, però.

Diceva Benedetto Croce che la politica onesta è la politica capace. Però.
Amministrare è un mestiere difficilissimo e bisogna avere competenze e capacità. Però.
Bisogna avere la perizia e l'astuzia di prendere le redini di tutto e trascinarsi le azioni. Però.

Però ho vissuto e vivo in una città, in un'isola, la Sicilia, in cui abbiamo sperimentato cosa significa isolare gli uomini onesti.
Ero adolescente quando nella mia città si raccolsero le firme perchè le sirene della macchina di un magistrato davano fastidio alla cittadinanza, sembravano una sbruffoneria, questo si leggeva tra le righe.
E di quello stesso magistrato qualcuno disse che si era inventato un attentato, sotto la sua casa all'Addaura.
Io lo conoscevo, ogni tanto lo beccavo a nuotare in piscina, la sera, come noi che ci allenavamo per le gare.
Ci salutava sorridente, e una volta mi prese pure in giro, perchè ero piccola piccola di fronte a coetanee dalle spalle quadrate. "Una sardina ..ma almeno vai veloce, più veloce di me".
Provarono e ci riuscirono a fargli il vuoto intorno.
Abbiamo imparato la lezione, noi siciliani onesti.
Non ci facciamo incantare, non misuriamo capre e cavoli con lo stesso metro.
Non li lasciamo più soli in Sicilia gli uomini dello Stato che ricevono minacce.
Dall'ultimo consigliere del paesino di 500 anime  all'Assessore regionale.
Ci piacciano o non ci piacciano. E sono tantissimi.
No, l'onestà non basta, ci vogliono perizia e grandi doti per governare una città come Roma.
Ma una città ingovernabile come Roma quanto può essere governata da un uomo onesto se è solo? se non ha tutti intorno a sostenerlo?

Quali ostruzionismi, quali difficoltà avrà incontrato Ignazio Marino in questi mesi?
Quale aiuto? Lui e la sua Giunta: quali sarcasmi, quali ostruzionismi, quali impedimenti a condurre una normale attività amministrativa in una città che nulla ha di normale?
Voglio giustificarne eventuali ingenuità? No.
Ma sono binari diversi, attenti a non lasciarlo solo, è un uomo onesto.
I confini si confondono, chi è nemico dell'onestà, chi sguazza nel malaffare ha tutto da guadagnarci nel giudizio veloce e disattento che molti stan tirando dai denti.

Noi ci siam caduti allora in pieno, a Palermo, nel 1992, e ancora ne paghiamo nella carne viva la colpa e il rimorso.

Siamo nel Paese più corrotto d'Europa, insieme alla Grecia, siam davvero sicuri di non poter ribaltare Croce per dire che, innanzitutto, la politica capace è la politica onesta?
In questa Italia qua?

Giusto per recuperare una distanza che si fa via via più grande tra la politica e il comune senso dei valori.
Io sto con Marino, je suis Marino, in questo momento difficilissimo per la sua persona. Come dirigente nazionale del PD e come cittadina.
Il giudizio come amministratore lo darò tra qualche tempo, quando avrà recuperato il potere, minuscolo, di fare. Non il Potere di stare, ma il potere di fare. Quello che si fa insieme ad altri, insieme ai cittadini di una città intera, al suo partito intero e non da soli.

lunedì 22 giugno 2015

Basta con gli stereotipi: la lotta alla violenza comincia così

di Mila Spicola




Da Duino a Lampedusa ogni 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, ogni 8 marzo, giornata internazionale delle donne, e ogni 17 maggio, giornata internazionale contro l'omofobia, ci sono iniziative, manifestazioni, eventi contro la violenza sulle donne e le discriminazioni di genere. 
Dovrei essere soddisfatta per come la «questione» violenza di genere, non sia più negata, minimizzata o rimossa, come accadeva fino a pochissimo tempo fa. 
Rimangono sempre di meno coloro che  dichiarano come un centinaio di vittime di femminicidio siano «statisticamente irrilevanti». Eppure, dopo la manifestazione del Family Day, contro le coppie di fatto e "l'ideologia gender", torno ad essere perplessa perché sento che siamo pronte a un cambio di passo ma non so se il verso mi convinca più di tanto. 
La violenza sulle donne, sui gay, sui diversi di genere e in genere (perchè includo nelle diversità anche disabili, persone di razze diverse, di religione diverse e ogni altro tipo di diversità) nascono sempre da uno stereotipo, anzi, anche lo stereotipo lo è, un atto violento, che costringe in gabbie di ruolo uomini e donne.
Contro lo stereotipo, ogni stereotipo, non vedo prese di posizione o battaglie, vedo solo conferme, soprattutto dai mezzi di comunicazione e informazione. 
Vedo tanta, tanta confusione e tanta tanta ignoranza.
Combattere lo stereotipo non significa affatto annullare o mortificare le differenze, anzi, il contrario. Significa educare al rispetto della propria autodeterminazione, alla libertà verso se stessi.
E' un discorso ozioso quello delle bambole, del rosa, dei trenini e del celeste.
Tutto si può fare, dice un mio caro amico, purchè lo decidi da solo o da sola e ne sei consapevole e fiero o fiera.
E chiunque è fiero della propria autodeterminazione è fiero dell'autodeterminazione altrui, non la vede come una minaccia o un errore.

Parrebbe dunque che l’angolo in cui viene relegata la donna pestata dalle foto del racconto collettivo sulla violenza di genere stia diventando esso stesso stereotipo potente, capace ahimè di peggiorare le cose piuttosto che sanarle, di aprire un abisso ancor maggiore tra uomini e donne, così come anche molti stereotipi sui gay, entrambi supportati da donne o da gay, e mi viene il dubbio che dalla rimozione del problema oggi si stia arrivando a una consapevolezza errata del problema che nulla di nuovo dice sui diritti delle donne, dei gay e delle diversità. Relegando ancora il tutto nel campo dell'eccezionalità e dunque della stranezza, e dunque dello stereotipo: siamo ancora alla fase donna debole da difendere? Donna in pericolo rimani a casa la sera? 
Quale stereotipo più falso quello della debolezza tout court delle donne?
Ci sono donne deboli e donne fortissime, fin da piccole, capaci di sfidare la morte e il mondo per un'idea, da Malala a noi stesse. E ci sono momenti e momenti della vita, prove e prove. In cui tutti, uomini, donne o gay o altro, siamo variamente deboli e variamente forti e nessuno stereotipo potrà salvarci, se non tale consapevolezza: che siamo variamente forti e variamente deboli in relazione a noi stessi o stesse e non in relazione a un ritratto collettivo.
Stiamo equivocando una debolezza femminile tutta da dimostrare: le donne oggetto di violenza sono per lo più donne forti e autodeterminate, così come fortissimo è un ragazzino che esce da casa coi pantaloni rosa, salvo poi essere investito da migliaia di proiettili culturali e sociali, così tanti da soccombere. Però da casa con quei pantaloni rosa era uscito, con che dose di coraggio lascio a voi definire. E' il nostro Rosa Parks nazionale quel ragazzino lì.
Ciò che viene avversato da chi rifiuta le diversità è il coraggio di mostrarsi forti, autonomi, autodeterminati, liberi. 
Il decreto Letta-Alfano contro il femminicidio, in modo inconsapevole e culturalmente immaturo, andava nel verso della conferma dello stereotipo della debolezza, è stato centrato più sulla tutela e la pena (necessarie, nessuno lo nega) che sulla necessaria e inderogabile prevenzione, anche e soprattutto di tipo educativo, cioè sul cambio di verso culturale che adesso dobbiamo fare, come collettività e come Paese. Adesso siamo al nocciolo del problema: cambiare strutture culturali profonde quanto errate. E chi lo dice che sono errate? La violenza. Nothing else.

Quando si dice educazione purtroppo abbiamo solo la scuola, meno alla famiglia, sempre più incapace di sostenere problemi educativi (altro che libertà di educazione delle famiglie..le famiglie non educano più da tempo, anzi, nel complesso diseducano), e meno che mai alla società intera, rivelatasi totalmente diseducativa, nei fatti e negli esempi. 

Rimane la scuola, ed è in quella direzione che dobbiamo tentare di andare. Lo han capito i nemici del rispetto, i portatori inconsapevoli di paura e regresso, le sentinelle con la testa rivolta all'indietro. E infatti la manifestazione contro le unioni civili recava accanto un contro "l'ideologia gender a scuola". Non esiste l'ideologia gender.
Esiste la necessità e il proposito di inserire nella scuola una cosa semplice e indispensabile per attraversare la vita da individui o da parti di consesso collettivo: l'educazione al rispetto delle identità di tutti, alla parità dei diritti e la lotta ad ogni discriminazione. E questa la si conduce isolando gli stereotipi e combattendoli. Ho detto gli stereotipi, non le diversità. Le gabbie, di ogni genere, non le individualità.
State tranquilli tutti: siamo diversi, siamo tutti diversi, ma uguali nei diritti.
La manifestazione di ieri non voleva annullare le diversità, ma i diritti, l'eguaglianza dei diritti.
L'educazione ai diritti, su tutti quello alla libertà.

No, non è facile da comprendere né da praticare la lotta agli stereotipi a cominciare da noi adulti quando tutto rema contro e anche la donna pestata, in modo sottile, lo è diventato uno stereotipo. E sono stereotipi immensi la debolezza femminile e la forza maschile. Come quelli di razza o di diversità fisica. Difficilissimi da combattere.
E infatti mi sembra che il racconto delle violenze, sulle donne o sui gay, sia così ossessivamente monocolore da aumentare tali stereotipi. 
Solo con cultura ed educazione si possono mutare linguaggi e comportamenti, e il linguaggio è veicolo potente di pensieri e convinzioni profonde, perché «i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo», diceva qualcuno. 
Per questo non sottovaluto col sorrisino la giusta determinazione della Boldrini a dare il nome di donna alle donne.
I limiti del linguaggio sono i limiti del mondo. Non sono vezzi grammaticali le parole, ricordo che Averroè ci finì al rogo e fu una delle battaglie filosofiche più accanite quella medievale sui nominali. Se dai il nome a una cosa la riconosci in quanto tale. La cancelliera Merkel non è un vezzo lessicale. Cultura ed educazione per distruggere gabbie apparentemente indistruttibili.

I giornali sono pieni di donne accucciate nell’angolo con l’occhi pesto e di uomini neri ripresi di spalle, l'uomo nero è sconisciuto, ma quando mai? E' il padre, il marito o il fidanzato, con nome e volto; pieni di «babysquillo» e di mamme discutibili, e i padri dove sono? Degenere la mamma, ovviamente; di donne da difendere persino dalle altre donne, la svergognata come si è vestita? di gay vestiti di rosa in quanto gay, e di gay che si offendono se gli dici che non devono vestirsi da gay; latitano dai media le facce di criminali che hanno ammazzato le donne, di papà assenti, appunto, o di facce di utilizzatori finali di sesso a pagamento con bambini. Sono tutti senza volto, in ombra, stranieri, questi uomini? Non esistono?
Eppure le statistiche ci forniscono l’incredibile numero dei 9 milioni di maschi italiani adulti che il sesso lo pagano. A prescindere dalla libertà personale e legittima di fare quel che vogliono, tale cifra non preoccupa nessuno? Nessuna redazione vuol metterla in prima pagina? O lo stereotipo è e rimane quello che il sesso è una colpa per le donne, che lo vendono, ma tutta salute per gli uomini che lo comprano? 
Lo stereotipo profondo è che la provocazione sia donna e la vittima sia il provocato? Ne parliamo? E che femminicidi, violenze, entità della prostituzione, discriminazioni di ogni genere, omofobia, sono legati da un filo sempre più stretto e visibile, chi lo dice?  Il filo di un'ignoranza palese e di una riflessione collettiva assente.
Numeri che disegnano ormai non tanto una questione femminile ma un’abnorme questione maschile, un abnorme equivoco collettivo, di mascolinità da difendere sempre e ovunque, di cui nessuno parla? 

Non muti tutto ciò coi decreti dei delitti e delle pene, ma con rieducazione degli adulti, non solo dei nostri figli o figlie. Siamo tutti generatori automatici di stereotipi sessisti e ci stupiamo, ci indigniamo che i ragazzi imitino? 
Acclamare come lecito l’uso mercificato del corpo. L’uso del corpo attiene alla libertà, vero, ma sul “mercificato” in quanti si interrogano sul serio? 
Eppure il corpo è sacro quanto la persona. Lo è per l’uomo allo stesso modo di quanto lo sia per la donna? Mi sembra che il corpo maschile oggi sia più sacro di quello delle donne o sbaglio? 
Concetti difficili da far comprendere al direttore di un quotidiano, all’ amico con cui discutiamo, figurarsi a un adolescente.

Cosa voglio dire? Sto mescolando troppe cose?
No. Voglio dire che la lotta alla violenza di genere deve iniziare dalla lotta agli stereotipi di genere, e ancor prima, da un sano e profondo discorso sulla libertà individuale e sui diritti, sul rispetto di se stessi e degli altri, e da un confronto adulto su questi temi che ci riguardi tutti. Subito. Con ogni mezzo. 

Vogliamo iniziare dalle scuole? Se da qualche parte si deve iniziare, cominciamo da lì. È stata accolta dal governo l’indicazione di adottare un codice antisessismo e di rimozione degli sterotipi nei libri di testo nelle scuole, il codice Polite per il quale ci siam battute strenuamente per 20 anni. E dunque? Le case editrici lo sanno? Sì lo sanno e persino il Ministero lo sa. Stiamo tutti là ad esitare, ma credo che qualcosa stia mutando.
Per la prima volta una circolare è stata inviata dal Miur alle scuole nella giornata contro l'omofobia. Impensabile fino a qualche anno fa. E per la prima volta una preside si permette di inviare una lettera a tutti i genitori contro il nuovo corso che sta arrivando. Perchè? Perchè il nuovo corso sta arrivando.
Ma non basta ancora.
Per la prima volta un articolo di legge sta dicendo che si introdurrà l'educazione di genere a scuola. Non come insegnamento disciplinare ma come atteggiamento culturale trasversale.
Su questo si son messe ancora più in piedi e di traverso le sentinelle del passato.

E' possibile inoltre stringere un patto sano tra stampa, tv e Paese sui temi che riguardano la comunicazione e la rappresentazione delle donne? Dei gay? Delle diversità? Attenzione: nulla da imporre, ma tutto da riconsiderare. 
Non per limitare ma per riequilibrare un racconto sbilanciato e falsato.

Il vero «problema» è l’autodeterminazione e la libertà delle donne? Dei gay? Dei migranti? Sembrerebbe di sì. 
Qualunque sia l’ambito, professionale, culturale o sessuale, il problema oggi come allora è la libertà: alcuni possono averla, altri no.
L’aggettivo "libera", messo accanto a donna assume significati diversi e immaginari antichi, inutile negarlo. E' un limite sociale ancora oggi. Libera come facile. Facile che vuol dire? Esistono uomini facili? C'è differenza? Eccome...La piazza di ieri lo prova. 
Il limite del linguaggio è il limite del mondo. Vede e rivela.

Ancora oggi la libertà delle donne è un boccone amaro per gli uomini, soprattutto quella sessuale e via via tutte le altre; ancora oggi l'unione civile di due persone dello stesso sesso è un'eccezione non digeribile; pensare poi al matrimonio o a crescere bambini impossibile.
Verrà il momento in cui l'amore differente diverrà indifferente? come anche un lavoro differente o una vita differente?
Sono astronauta e mi chiamo Samatha, e allora?
Sono single, non ho figli e non ne voglio, adoro i negozi di ferramenta e mi chiamo Mila, e allora?
Verrà il momento in cui essere differente sarà indifferente in termini di diritti e sarà importante la differenza solo in quanto persona?
Altro che stereotipi, abbiamo statue di bronzo aere perennium. Contro questo vogliamo e dobbiamo lottare e la conoscenza sui diritti è il mezzo più potente per abbattere gli stereotipi. 
Io dico, viva l’autodeterminazione delle donne, degli uomini, dei gay, dei disabili, degli uomini di ogni razza contro la violenza. E anche uno stereotipo lo è.


venerdì 27 marzo 2015

“Mi dimetto da vicesegretaria del PD Sicilia: una cosa alla volta e su Agrigento sono stata Cassandra”


“Da gennaio svolgo il mio lavoro da dipendente del  Ministero della
Pubblica Istruzione  non come docente a Palermo, ma a Roma, nella
segreteria del sottosegretario Davide Faraone. Questo comporta un impegno
lavorativo a tempo pieno a Roma e non mi permette di conciliare con il
ruolo di vicesegretaria del PD Sicilia, ruolo che ha bisogno di attenzione
e presenza continua nel territorio. Ecco perché ritengo opportuno non
mantenere la carica. Conservo comunque il ruolo, insieme a Teresa Piccione
e Concetta Raja, di componente per la Sicilia della Direzione Nazionale del
Partito Democratico.Rimango, come sempre, al servizio del partito e della
mia terra”

“In quanto tale mi permetto di rilevare, come già avevo fatto pubblicamente
a monte, che le vicende riguardanti le amministrative nelle città di
Marsala, di Agrigento e di Enna denotano una certa confusione di azione da
parte degli organismi territoriali preposti, per usare un eufemismo.

Sono stata Cassandra nell’esprimere pubblicamente, unica a farlo, in tempi
non sospetti la mia perplessità su Agrigento. Era la sola dichiarazione che
potevo fare, pur essa criticata, vista l’autonomia di decisione degli
organismi territoriali, su scelte poco opportune e da me non condivise
mentre ho condiviso il documento elaborato dai renziani agrigentini"

"E’ necessario aprire in seno al Partito Nazionale un serio discorso sulle
regole delle Primarie per evitare pasticci, ahimè legittimi in assenza di
regole chiare, che ripetutamente si verificano; per evitare di lamentarci
ex post e di confondere il nostro elettorato oltre che la nostra identità.”