sabato 31 gennaio 2015

La Mafia c'è perchè conviene.


Per constatazione mi vien da pensare che oggi quel che c’è esiste perché conviene. In mancanza di ideali è la convenienza a imporsi. Prendi la Mafia in Sicilia, in tempi grami per gli onesti e l’onestà, ella s’impone perché conviene. Abbiamo debellato le ideologie come fossero epidemie, il mio sospetto è che abbiamo ridimensionato l’ingombro degli ideali alla convenienza individuale; non delle ideologie, perché le vedo intatte e vincenti, anche se diverse. Ne vien fuori una vita più semplice, banale e comoda, fatta di calcolo. In cui giusto e sbagliato non stanno in alto, imperativi categorici, ma in basso, da rimodularsi addosso a uso personale, purché convengano. Eppure il corso del progresso e delle civiltà si è modulato intorno alle priorità dell'immateriale sui bisogni. E ciò che trapassa il tempo e lo spazio non sono le necessità materiali, le convenienze emergenziali, ma gli ideali. Senza retorica, senza buonismi. Con tenacia tranquilla.
Gli uomini sono uomini quando ritengono che non ci sia nulla di più concreto per cui vivere dei propri ideali. Soli sono capaci di iniettare fiducia nelle vene anche quando tutto è perduto. Anche se non convengono quasi mai. E ditemi voi cosa manca oggi, se non la fiducia. Gli ideali disegnano i l futuro, non le riprese economiche, sennò si vivono vite schiacciate sul presente. Vent’anni in una cella di tre metri quadrati, Mandela. Vent’anni blindati e poi ammazzati: Falcone, Borsellino, Li arino, Mattarella, La Torre. Isolato e poi ucciso: Matteotti. In galera per anni: Gramsci. Consapevolmente suicida: Leonida alle Termopili. No, gli ideali non convengono, ma son quelli che nutrono l’anima collettiva nei momenti più neri e fanno andare avanti a passo spedito con la luce negli occhi individui, popoli, nazioni e Storia. Aiutano a dire no sorridendo. E’ giusto sopperire ai bisogni dei popoli, meno giusto mascherare come tali mediocri convenienze di parte. Alla lunga le semplici convenienze, singole o collettive, succhiano sangue, spengono motivazioni e bloccano la vera ricchezza di ogni persona. Annullandone l'anelito a una vita superiore. E allora io mi chiedo: cosa conviene di più in una vita se non desiderare di andare oltre la vita per motivi nobili? Se non arrendersi a una vita serenamente retta, in cui le ragioni del rigore, dell’onestà quotidiana, degli ideali siano difesi nella normalità di ogni giornata e trasmessi ai nostri figli nella verità dell’esempio, non nell’ipocrisia di un discorso?  Trasferire e leggere nei loro occhi la stessa luce, la stessa forza indomita. Dove la vedo oggi quella luce? In quali occhi? Il pessimismo collettivo nemmeno tanto strisciante non è dato dalla crisi, ma dalla mancanza di fede in se stessi, laica o religiosa che sia. E con fede intendo qualunque cosa che stacchi la vita umana dalla terra e dall'interesse spicciolo, ovverosia l'ideale.
Mostrare quanto sia necessario prima che morire per essi, vivere con essi. E la seconda è più difficile della prima.
È la forza più grande capace di toglierli dal pantano della crisi. Morale prima che economica, vale per Palermo, vale per la Sicilia, vale per l'Italia tutta.

Senza il clamore dell’eccezionalità, se no si presta il fianco al pensare che agire così non sia normale, non sia atto quotidiano dovuto al regalo della vita. 
La Mafia, la disonestà, il basso cabotaggio, le strumentalità del potere e l’assenso ad esso, la sudditanza conveniente che tutto giustifica e tutto sottintende, converranno sempre. Sta a noi vivere d’altro e non di convenienze, pensando che gli ideali non siano un Pantheon eccezionale bensì una regola di vita quotidiana, alla portata di ciascuno e che non sempre ciò che conviene sia bene.

Questo post è stato scritto col sottofondo dello scrutinio per l'elezione del Presidente.
Il nome di Mattarella questo mi ha evocato, un tempo di ideali e di fiducia in essi.

sabato 3 gennaio 2015

Analfabetismo di genere ovvero la suocera tra i rifiuti





Solo una sana e consapevole educazione di genere salva gli uomini e le donne dallo stress e dall'azione cattolica. E dalla superficialità, grande male dei nostri giorni. Oltre che da tutto il peggio che avete già detto giustamente in rete a proposito della faccenda Rap. La pubblicità offensiva, carica di stereotipo sessista, spacciata per "ironia", comparsa sui cartelloni pubblicitari di Palermo. No, non è ironia e nemmeno cattivo gusto; è solo banale, comunissima e pericolosa ignoranza di genere. E continuano quasi tutti a ritenerla ironia. Chiamando in causa addirittura argomentazioni del tipo "viva la leggerezza" "no al conformismo". Senza nemmeno rendersi conto che quella immagine è un banale, conformista stereotipo. Di genere. 

Io direi al signor Rap, che tanto difende le sue buone ragioni e la necessitá di difendere "l'ironia": guardi che è ironia, certo, ma è ironia sessista. A me non va di farla, l'ironia sessista, come alla stragrande maggioranza non va di ridere all'ironia razzista. Sono entrambe frutto di potentissimi stereotipi: solo che sugli stereotipi razzisti c'è un patrimonio di riflessione e lotta collettiva largamente vissuta, condotta e condivisa, sugli stereotipi sessisti no, sono largamente accettati. Sempre quando fossero identificati e riconosciuti come tali. In genere non lo so. Sono accettati. Sono supportati. Sono praticati, dire a chi legge: sostituisca lo stereotipo suocera con lo stereotipo uomo di colore. E poi ne faccia un cartellone. Cioè: un uomo di colore tra i rifiuti ingombranti. Ironia? l'uomo di colore come rifiuto è stato per secoli uno stereotipo potente. Non solo: sotto sotto ancora lo è, ma la cultura, la civiltà, la marcia dei diritti...Aiutano a far capire che sarebbe un messaggio potentemente razzista, più che un messaggio ironico ..Salvini permettendo. Ma noi non siam Salvini, giusto? Non potrebbe uscire di casa, il signor Rap, perché il primo a indignarsi sarebbe lui (Spero). Sarebbe ironia o razzismo? Certo..è ironia, ...ma ironia razzista. Ecco: in questo caso, il caso della suocera, è ironia o sessismo? O forse..non è che per caso si tratta di ironia sessista, ergo sessismo? caro signor Rap?

Se ci fosse un congiuntivo sbagliato su un cartellone sarebbe ironia? No. O, peggio, un ausiliare senza accento in un atto pubblico? Fa ridere? No. Fa piangere. Sarebbe sgrammaticatura. Non farebbe ridere. E questo accade: una sgrammaticatura di linguaggio che rivela una sgrammaticatura di senso, di coscienza, di conoscenza, di diritti. Ma il punto è che molti non sanno nemmeno di cosa si parla e non è nemmeno da fargliene una colpa. È come accusare e condannare un indigeno della Papuasia perché mangia senza posate. Strabuzzano gli occhi di fronte una forchetta. In questo caso parliamo di un diritto poco discusso, trasmesso, metabolizzato: il diritto di genere, che si nutre della morte degli stereotipi di genere. Comunicazione ai naviganti: "la suocera da buttare" è stereotipo di genere. Come il gutturale è stereotipo di razza per gli uomini di colore. Scomparso nel consesso civile, compare solo in luoghi razzisti. Non sarebbe "ironia" sentirlo oggi in uno spot, no? Ecco. Mentre gli stereotipi di genere inondano la nostra vita, le nostre pubblicità, i nostri libri di scuola, i nostri media. Come una banale normalità. E invece è un diritto ignorato. 

È necessaria come il pane una massiccia educazione di genere, in tv, a scuola, ovunque, come ai tempi del maestro Manzi. Fatta prima ai grandi e poi ai piccini. C'è un enorme, persistente, dilagante, diffusissimo, inconsapevole, pericolosissimo analfabetismo di genere.
Eppure da quest'orecchio non sente nessuno. E non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire.