mercoledì 20 aprile 2016

Il basso consumo culturale degli italiani: spunti per una discussione.


18 aprile 2016 Incontro presso la casa editrice Laterza 
alla presenza del Ministro Dario Franceschini e 
della Presidente della Commissione Cultura della Camera, Flavia Nardelli
Contributo alla discussione di Mila Spicola
Riflessioni (in corsivo) a margine degli spunti offerti da Giuseppe Laterza

IGNORANTI PER SCELTA?

I nostri bassi consumi culturali non dipendono solo da un ritardo secolare.
Occorre discutere anche le scelte (quelle fatte a quelle non fatte) degli ultimi anni. Una scarsa sensibilità al tema sembra comunque accomunare le classi dirigenti italiane di ieri e di oggi.
Forse perché si cerca un consenso più immediato. Forse perché si affida alla ricchezza del patrimonio artistico tutta la rappresentanza culturale italiana. Forse perché il mondo della cultura è diviso e rissoso.
Sta di fatto che si è investito poco nell'offerta e nella formazione.
Il costo di questa scelta in termini di mancato sviluppo economico, sociale e civile è alto, come hanno documentato tante autorevoli ricerche (si veda in proposito il volume di Ignazio Visco "Investire in conoscenza" edito dal Mulino).
Per risalire la china, l'investimento primario è quello nella scuola, nell'università, nella ricerca. Ma non basta.
Senza un grande progetto per la cultura il nostro paese difficilmente potrà uscire da una condizione di arretratezza che è insieme economica, tecnologica ed etica: una condizione che produce al tempo stesso corruzione e disoccupazione.
(Sappiamo che l'ignoranza non si traduce solo in minore lettura di libri o frequentazione di mostre: porta anche ai bassi indici di raccolta differenziata o al cattivo uso del sistema sanitario, per fare solo due esempi di costi ingenti).
Giuseppe Laterza




Difficile affermare in modo generale se l’ignoranza sia una scelta o una condizione.
Levi Strauss ribadiva come sia il sistema a generare i sentimenti. Se anche credessimo nelle volontà e responsabilità individuali è indubbio che il sistema generi comunque dei comportamenti indotti, sia per assuefazione che per reazione.
Sono temi complessi quelli che ci vengono posti da Giuseppe Laterza, temi che interrogano più ambiti e a più livelli, per cui mi scuso sulla necessaria semplificazione adottata in queste brevi note, e su  qualche approssimazione; affronterò le tematiche dal mio particolare punto di vista: quello di esperta di restauro e conservazione dei beni culturali che a un certo punto della sua vita si è trovata ad essere insegnante e oggi collabora col Miur, dunque una visuale ampia e forse un po’ distorta proprio per il suo essere un po’ troppo ampia.

Andiamo all’incontro di oggi. Gli ambiti interessati dalla discussione sono quelli dell’istruzione? Della produzione culturale? Della comunicazione? Della fruizione? Dell’accesso?
Se fino a qualche lustro fa tali ambiti erano precisamente delineabili e distinti oggi possiamo dire che si intersecano ed è un bene. Perché significa che possono mettersi in campo strategie multidimensionali per problemi multidimensionali, appunto.

Investire in conoscenza, dice Visco. Certo. Riprendiamo le fila del discorso. Mi concentrerò di più sull’ambito scolastico.

Nel 2010 la Commissione Europea ha presentato “Europa 2020”, una strategia per una crescita:

o    Intelligente attraverso lo sviluppo delle conoscenze e dell’innovazione
o    Sostenibile basata su un’economia più verde, più efficiente nella gestione delle risorse e più competitiva
o    Inclusiva volta a promuovere l’occupazione, la coesione sociale e territoriale.

Il primo punto è quello che ci riguarda direttamente e che è stato posto in cima, ma gli altri due, se non hanno come premessa una popolazione colta e fornita di “competenze chiave” difficilmente possono attuarsi. Dunque l’obiettivo è costruire una società della conoscenza (fatta di saperi e di competenze) come premessa indispensabile della ricchezza delle nazioni, ricchezza intesa in termini materiali e in termini immateriali.
Il 2010 è un anno che rappresenta un punto di arrivo di un processo di elaborazione della strategia che parte dal 2000, nel 2008 (trattato di Lisbona)  vengono definite le 8 competenze chiave, poi ribadite nel 2012  ( la competenza  rappresenta la capacità di utilizzare conoscenze, abilità e, in genere, tutto il proprio sapere, in situazioni reali di vita e lavoro, dunque non è una rilevazione di semplice conoscenza, cioè di sapere tradizionale, ma qualcosa che il sapere comprende in se e trasforma in capacità spendibile) che deve maturare un cittadino europeo per partecipare in modo sano alla vita collettiva.



Si stabiliscono anche degli obiettivi da raggiungere, in particolare la Commissione Europea ha definito cinque livelli di riferimento del rendimento medio europeo che l’Unione avrebbe dovuto raggiungere entro il 2010:

o    ridurre la percentuale di abbandoni scolastici almeno del 10%;
o    aumentare almeno del 15% il totale dei laureati in matematica, scienze e tecnologie, diminuendo nel contempo la disparità di genere;
o    arrivare almeno all’85% di ventiduenni che abbiano completato il ciclo di istruzione secondaria superiore;
o    ridurre la percentuale dei quindicenni con scarse capacità di lettura almeno del 20% rispetto all’anno 2000;
o    innalzare almeno al 12,5% la partecipazione degli adulti in età lavorativa, ossia tra i 25 e i 64 anni, all’ apprendimento permanente (lifelong learning).

Tali obiettivi non sono stati raggiunti dalla maggioranza dei paesi membri e sono stati ritarati per il 2020.
L’Italia in particolare si trova più indietro: siamo primi per abbandoni scolastici e per numero di laureati, e abbiamo un fortissimo divario territoriale anche in ambito scolastico che si sovrappone perfettamente al divario economico, sociale e culturale.

Questo in valore assoluto.
Disaggregando e approfondendo dobbiamo però intercettare  anche le cose positive:

1.      i tassi di dispersione scolastica (nonostante la frammentarietà e la discontinuità della azioni) sono scesi molto in valore assoluto (dal 24% circa negli anni 2000 al 17% del 2016)
2.      pur mantenendo una posizione media nella classifica dei circa 70 paesi in cui si effettuano le rilevazioni delle competenze Ocse PISA sui 15 enni (misurano due competenze chiave: comprensione del testo e ragionamento logico matematico), siamo comunque, insieme alla Colombia, il Paese che ha guadagnato più posizioni in classifica, cioè abbiamo dei fortissimi segnali di miglioramento, segno che, comunque lo si analizzi, il sistema d’istruzione italiano nella media “tiene”ed è stato l’unico ambito della pubblica amministrazione con il segno più dello scorso anno.
3.      I nostri licei classici e scientifici hanno risultati di eccellenza mondiale (causa il tipo di scuola, e perché hanno comunque un’utenza selezionata all’ingresso)

Queste però sono le tre cose positive generalizzabili in una situazione complessiva abbastanza varia, difficile e frammentata quale è quella dei rendimenti dei nostri studenti.

Solo un cenno alla dispersione scolastica e ai bassi livelli di rendimento:

-          riguardano aree e settori sociali precisi del paese: quielli a basso livello economico-culturale e sociale (il nucleo di appartenenza rimane ad oggi il fattore con maggiore condizionamento e peso nei rendimenti, lo diceva Visalberghi nel 1965, prima ancora di Don Milani, lo rilevano oggi sia i dati invalsi che gli ocse pisa, da questo punto di vista nulla o poco è mutato): “sei bravo a scuola se sei ricco”
-          si concentrano in altissime percentuali negli indirizzi di scuola superiore di tipo tecnico professionale, che rappresentano il 60% circa della popolazione scolastica nazionale; si tratta di bassi rendimenti concentrati dunque, o per regione, o per contesto, o per tipo di scuola,  frutto anche di orientamenti scolastici effettuati ancora oggi more gentiliano, cioè non per attitudini ma per rendimenti (i bravi al liceo i meno bravi alle scuole tecnico-professionali), rendimenti che, a loro volta, derivano in larga misura dal contesto di appartenenza.Per cui è un cane che si morde la coda: deriva dalla scarsa mobilità sociale e a sua volta genera bassa mobilità sociale (alla quale si aggrega la scarsa mobilità culturale).

Riguardo queste tematiche tutta la scuola italiana è stata investita di compiti e di parole nuove, dalle didattiche disciplinari si sta passando verso le didattiche per competenze, passaggio molto più complesso a farsi, oltre che a definirsi e programmarsi, comunque da una posizione di marginalità e autoreferenzialità si è passati a una posizione di apertura e di centralità. Le porte si sono aperte e in tutte le scuole si lavora, o si invita a lavorare,  in modo nuovo in relazione a nuovi metodi, nuovi linguaggi, nuovi obiettivi, in conformità con le direttive europee.
E si lavora anche con altre istituzioni, con gli enti locali, con le strutture e le associazioni territoriali, con gli altri ministeri, su tutti col Mibact: tanti protocolli, tanti progetti, tante direzioni nuove e contenuti connessi. Forse non non lo fanno tutti allo stesso modo, e con gli stessi livelli di qualità, ma ricordiamoci che stiamo parlando del più grande sottosistema sociale esistente nel paese, che, con tutte le difficoltà connesse, non è più fermo, ma è vivo, lavora insieme a noi e ..si muove. A un occhio disattento può sembrare il castello errante di Howl, ma così non è.
Abbiamo tolto dall’analfabetismo il Paese, abbiamo aperto la scuola a tutti, abbiamo accolto tutti: di tutte le età, provenienze, lingue, razze, possibilità e capacità, adesso dobbiamo permettere loro di raggiungere un livello di rendimenti medio alto.
Questo vuol dire far maturare a tutti gli studenti  titoli di studio superiori che corrispondano a profili adeguati e a obiettivi formativi civili e culturali all’altezza delle sfide future e ai docenti aggiornamenti di pratiche e di contenuti. Questa oggi è la nostra sfida che è una sfida culturale, sociale e civile.

In relazione a questi dati e analisi, per recuperare gli ultimi, che rimangono ancora oggi, come ai tempi di don Milani, il nostro problema vero, ultimi che non hanno solo problemi bassi rendimenti e dispersione ma altre carenze al contorno, per la prima volta un governo ha inserito in legge di stabilità una norma e dei fondi a contrasto della “povertà educativa”, una sorta di sperimentazione pilota (per chi volesse approfondire la definizione, accolta e rilanciata in Italia dall’Associazione Save the Children: http://secondowelfare.it/primo-welfare/inclusione-sociale/strategie-di-contrasto-alla-poverta-educativa-.html ),  alla declinazione operativa della quale stiamo lavorando presso palazzo Chigi con un provvedimento sperimentale, ma che vorremmo venisse esteso in modo sistematico. Indicatori di povertà educativa non sono solo fattori scolastici, cioè le conoscenze formali di provenienza scolastica, ma anche le conoscenze informali provenienti da fattori extrascolastici, cioè esattamente il consumo culturale esterno alla scuola: lettura di libri, visite a musei o siti artistici-paesaggistici, sport, teatro, musica, cinema.

In relazione ai bassi indici di consumo culturale in Italia, che poi è il tema vero di quest’incontro, un altro dato, che spesso si confonde con i rilevamenti delle competenze Ocse Pisa sui 15enni, è quello che riguarda invece il rilevamento di quelle stesse due competenze nella popolazione adulta, semplifichiamole in lettura e logica-matematica, (indagine su un range d’età dai 16 ai 65 anni), si tratta delle rilevazioni OCSE Piaac  sulla popolazione adulta (per chi volesse approfondire: http://www.isfol.it/piaac/Rapporto_Nazionale_Piaac_2014.pdf ).

In questo caso siamo messi molto molto molto, ripeto, molto male e non miglioriamo. Possiamo accompagnare le considerazioni su questo dato  a tutte le analisi e studi sulla percentuale di analfabetismo funzionale degli italiani, studi che riguardano sempre la popolazione adulta e che ci consegnano dati allarmanti sull’incapacità di comprendere un testo complesso. Dati che riguardano anche porzioni di popolazione con titolo di studio superiore (un medico che non legge un libro da anni può tranquillamente esserne affetto, perché la comprensione del testo è una capacità che può perdersi se non si esercita).
Ditemi se questo dato non sia da mettere in diretto rapporto con i dati sul basso consumo culturale.
Non solo con quello, mi permetto di dire, ma anche con tutti gli ambiti sociali, economici, civici e civili del paese.

Mentre sul piano della popolazione scolastica dunque sono state messe e continuano a mettersi in campo una molteplicità di azioni specifiche, generali, di sistema, di porzione, riforme, aiuti, e tutto quel che ci viene in testa, anche con successo tutto sommato, perché si migliora, pur se molto deve compiersi in termini di continuità di azioni di sistema e di coordinamento e riequilibrio dell’offerta formativa (due casi su tutti: la discrepanza di offerta tra nord e sud di asili e tempo pieno),  nell’ambito del recupero e dell’attenzione alle competenze di base della popolazione adulta italiana siamo invece anni luce indietro.
Cioè quell’investimento in conoscenza che tutti andiamo promuovendo, è una realtà acquisita negli ambiti scolastici, va incrementato e studiato bene in ambito universitario, mentre è completamente ignorato per la popolazione adulta.

Se consideriamo che l’aspettativa di vita si è molto innalzata, che la percentuale di popolazione adulta è nettamente preponderante, che le nascite sono ormai in bilancio negativo, rendiamoci conto che questo è un “argomento” che dovrebbe tornare all’attenzione delle politiche generali del Paese, non tanto e non solo quelle scolastiche, o quelle culturali, ma delle politiche generali perché impatta direttamente su tutti gli aspetti del vivere collettivo, non ultimo quelli della qualità della democrazia e del confronto democratico che conducono ad essa.
Analfabetismo funzionale vedi alla voce “bassi consumi culturali” e viceversa. Ma non solo. Se cultura ha significato l’inessenziale, mai come oggi tale significato deve mutarsi profondamente.
Se la cultura ha comportato la pregiudiziale del “leggere” mai come oggi tale pratica, il leggere, ha assunto un significato di azione basilare.
C’è bisogno di parole, per ragionare e vivere, per esercitare logica, per produrre senso e sentimento.
Sembra banale ripeterlo, ma non lo è, visto che in pochi lo comprendono, che il limite del linguaggio è il limite del mondo. Se così è, Houston abbiamo un problema, perché il paese è al limite. Dell’incomprensione, dell’incomunicabilità.
La dico in maniera più esplicita: aumentare il consumo culturale degli italiani è una medicina salva vita che il Paese, attraverso questo governo, dovrebbe mettere in campo.

Come? Come rompere quel circolo vizioso che tira dentro altri dati, altre considerazioni e altre riflessioni?

Posso avanzare dei punti, che poi vanno tutti approfonditi e declinati.
La scuola deve continuare a fare quello che fa e a farlo molto meglio.
Le politiche d’istruzione dovrebbero estendersi anche alla popolazione adulta.
Il mondo della comunicazione e dell’informazione dovrebbe stimolare il consumo culturale: lo fa?
Il servizio televisivo pubblico lo fa?
Il ruolo del digitale e della rete anche in relazione con gli mutamenti profondi, filosofici ed epistemologici, in merito alla trasmissione, condivisione, produzione di sapere, di arte, di cultura. Qualcuno ci riflette?
Il grande tema dei linguaggi.
L’innovazione e la riflessione intorno ad essa,  relativamente: a. alla fruizione e comunicazione del nostro patrimonio storico-artistico-paesaggistico, b. alla conservazione e alla tutela.
La cultura e i mercati della cultura.

Su questi punti mi piacerebbe sentire gli altri.

giovedì 7 aprile 2016

Rivoglio una Rai educante. Dalla parte giusta.

Non è facile per me parlare in modo semplice di temi complessi e dolorosi, anche perchè trovare soluzioni semplici a problemi complessi è facile, ma sempre sbagliato.
Però due parole le voglio spendere sulla vergogna di sapere (perchè non l'ho voluta vedere) che avrebbero intervistato in un programma così seguito come portaaporta il figlio di totò riina, da solo e senza contraddittorio.
L'ho trovato devastante, semplicemente devastante.

Sono cresciuta nella palermo difficilissima degli anni 70/80 e 90 educata ai valori dell'antimafia non solo dai miei genitori ma dagli eventi. Le figlie di mattarella andavano nella classe avanti alla mia e quando venne ucciso Piersanti Mattarella io avevo 11 anni e ne ebbi notizia e coscienza dal vivo. Perchè conoscevo quella famiglia.
E così ebbi notizia e coscienza di Peppino Impastato. E di Pio La Torre, e di Boris Giuliano, e via dicendo..
Noi, che siamo cresciute/i in quella Palermo, siamo state avvolte da quella cappa di dolore fin da piccole. Unita ad una forta consapevolezza del male. Senza nessuna confusione.
Molto prima di quel dolore ancora più terribile che venne negli anni 90 con le stragi che frantumarono nel dolore la coscienza collettiva di tutto il Paese, non solo di Palermo.

Ma sono cresciuta in quella città e per puro caso "dalla parte giusta", perchè è il caso che ti fa nascere dalla parte giusta.

Educata ai valori dell'antimafia, anche guardando in tv La Piovra. E uso questo termine pubblicamente per la prima volta perchè non l'ho mai usato nelle parole, sperando di applicarlo solo nei fatti e nei comportamenti. La Piovra, a me piccolina, mi sembrò una sicurezza in più, un avere accanto tanti e tante, non solo i miei genitori e mio fratello tutti uniti e cementati in quella consapevolezza, non solo Palermo, o meglio, la mia parte di città, ma tutto il paese.
Prima che i confini si facessero confusi.

Quando ho iniziato a insegnare a Brancaccio ho cominciato ad avere a che fare con quanti nascono dalla parte sbagliata e, senza ditini alzati, ma con enorme senso della difficoltà, enorme, spesso d'incapacità, o d'impotenza, mi ci sono infilata dentro mani e piedi e testa.
Era il periodo del capo dei capi.
I miei alunni in classe non volevano mai disegnare immagini di "sbirri" e si firmavano nei compiti in classe "capo dei capi".
Con questo abbiamo a che fare.
Avevano a che fare e abbiamo a che fare. E ho compreso la forza potentissima dei media quando non danno messaggi netti e quando in modo confuso generano orgogli di appartenenza errati; non sono causa solo quelli, ovviamente, poichè la vera casa di coltura sono il bisogno e l'ignoranza. Ma sono egualmente potenti.
E contro entrambe le due cose, bisogno e igniranza, quante volte in quei luoghi mi sono trovata e mi trovo, e ci troviamo impotenti. Ma quelle ci siamo imposti di combattere, allora e adesso: bisogno e ignoranza.

Per tornare ai nostri giorni: ho trovato vergognosa, pericolosa, devastante l'intervista di ieri sera, svolta in quel modo, senza contraddittorio, senza condanne aperte; ne abbiamo fatto l'eroe che i ragazzi in quei luoghi cercano.
Molto più vicino alle loro vite e alle loro scelte lui di noi, di me.

Forse non tutti ne sono pienamente coscienti dell'azione devastante a cui si è dato corpo.
Io non dico che le cose non debbano mostrarsi o raccontarsi. Ma c'è modo e modo. E i ragazzi guardano, capiscono molto di più di noi la verità tra le pieghe ed imitano.
Le nostre contraddizioni sono la via per indicare sentieri sbagliati. Non per evitarli, se non li specifichiamo con tutta chiarezza.

Per quel che ci compete ciascuno di noi fa la sua lotta per come può farla e per come deve farla. I miei colleghi nelle classi, i giudici nelle procure, le forze dell'ordine per le strade, le associazioni nei territori.
Ma per quel che ci compete da cittadini insieme dobbiamo chiedere qualcosa a coloro a cui compete altro. Fare un lavoro informativo, divulgativo e finanche d'intrattenimento, serio, all'altezza, vero e chiaro.

Io rivoglio una Rai educante, seria, coraggiosa, colta, netta, all'altezza.
Sennò sarò tra coloro che non solo non pagheranno il canone ma la combatteranno.