18 aprile 2016 Incontro presso la
casa editrice Laterza
alla presenza del Ministro Dario Franceschini e
della Presidente della Commissione Cultura della Camera, Flavia Nardelli
alla presenza del Ministro Dario Franceschini e
della Presidente della Commissione Cultura della Camera, Flavia Nardelli
Contributo alla discussione di Mila
Spicola
Riflessioni (in corsivo) a
margine degli spunti offerti da Giuseppe Laterza
IGNORANTI
PER SCELTA?
I
nostri bassi consumi culturali non dipendono solo da un ritardo secolare.
Occorre
discutere anche le scelte (quelle fatte a quelle non fatte) degli ultimi anni.
Una scarsa sensibilità al tema sembra comunque accomunare le classi dirigenti
italiane di ieri e di oggi.
Forse
perché si cerca un consenso più immediato. Forse perché si affida alla
ricchezza del patrimonio artistico tutta la rappresentanza culturale italiana.
Forse perché il mondo della cultura è diviso e rissoso.
Sta di
fatto che si è investito poco nell'offerta e nella formazione.
Il
costo di questa scelta in termini di mancato sviluppo economico, sociale e
civile è alto, come hanno documentato tante autorevoli ricerche (si veda in
proposito il volume di Ignazio Visco "Investire in conoscenza" edito
dal Mulino).
Per
risalire la china, l'investimento primario è quello nella scuola,
nell'università, nella ricerca. Ma non basta.
Senza
un grande progetto per la cultura il nostro paese difficilmente potrà uscire da
una condizione di arretratezza che è insieme economica, tecnologica ed etica:
una condizione che produce al tempo stesso corruzione e disoccupazione.
(Sappiamo
che l'ignoranza non si traduce solo in minore lettura di libri o frequentazione
di mostre: porta anche ai bassi indici di raccolta differenziata o al cattivo uso
del sistema sanitario, per fare solo due esempi di costi ingenti).
Giuseppe
Laterza
Difficile affermare in modo
generale se l’ignoranza sia una scelta o una condizione.
Levi Strauss ribadiva come sia il
sistema a generare i sentimenti. Se anche credessimo nelle volontà e
responsabilità individuali è indubbio che il sistema generi comunque dei
comportamenti indotti, sia per assuefazione che per reazione.
Sono temi complessi quelli che ci
vengono posti da Giuseppe Laterza, temi che interrogano più ambiti e a più
livelli, per cui mi scuso sulla necessaria semplificazione adottata in queste
brevi note, e su qualche
approssimazione; affronterò le tematiche dal mio particolare punto di vista:
quello di esperta di restauro e conservazione dei beni culturali che a un certo
punto della sua vita si è trovata ad essere insegnante e oggi collabora col
Miur, dunque una visuale ampia e forse un po’ distorta proprio per il suo
essere un po’ troppo ampia.
Andiamo all’incontro di oggi. Gli
ambiti interessati dalla discussione sono quelli dell’istruzione? Della
produzione culturale? Della comunicazione? Della fruizione? Dell’accesso?
Se fino a qualche lustro fa tali
ambiti erano precisamente delineabili e distinti oggi possiamo dire che si
intersecano ed è un bene. Perché significa che possono mettersi in campo
strategie multidimensionali per problemi multidimensionali, appunto.
Investire in conoscenza, dice
Visco. Certo. Riprendiamo le fila del discorso. Mi concentrerò di più
sull’ambito scolastico.
Nel 2010 la Commissione Europea ha presentato “Europa 2020”, una strategia
per una crescita:
o
Intelligente attraverso lo sviluppo delle
conoscenze e dell’innovazione
o
Sostenibile basata su un’economia più verde, più
efficiente nella gestione delle risorse e più competitiva
o
Inclusiva volta a promuovere l’occupazione, la coesione
sociale e territoriale.
Il primo punto è quello che ci
riguarda direttamente e che è stato posto in cima, ma gli altri due, se non
hanno come premessa una popolazione colta e fornita di “competenze chiave”
difficilmente possono attuarsi. Dunque l’obiettivo è costruire una società
della conoscenza (fatta di saperi e di competenze) come premessa indispensabile
della ricchezza delle nazioni, ricchezza intesa in termini materiali e in
termini immateriali.
Il 2010 è un anno che rappresenta
un punto di arrivo di un processo di elaborazione della strategia che parte dal
2000, nel 2008 (trattato di Lisbona)
vengono definite le 8 competenze chiave, poi ribadite nel 2012 ( la competenza
rappresenta la capacità di utilizzare conoscenze, abilità e, in genere, tutto
il proprio sapere, in situazioni reali di vita e lavoro, dunque non è una
rilevazione di semplice conoscenza, cioè di sapere tradizionale, ma qualcosa
che il sapere comprende in se e trasforma in capacità spendibile) che
deve maturare un cittadino europeo per partecipare in modo sano alla vita
collettiva.
Si stabiliscono anche degli obiettivi
da raggiungere, in
particolare la Commissione Europea ha definito cinque livelli di riferimento
del rendimento medio europeo che l’Unione avrebbe dovuto raggiungere entro il
2010:
o
ridurre la percentuale di abbandoni scolastici
almeno del 10%;
o
aumentare almeno del 15% il totale dei laureati in matematica,
scienze e tecnologie, diminuendo nel contempo la disparità di genere;
o
arrivare almeno all’85% di ventiduenni che abbiano
completato il ciclo di istruzione secondaria superiore;
o
ridurre la percentuale dei quindicenni con scarse
capacità di lettura almeno del 20% rispetto all’anno 2000;
o
innalzare almeno al 12,5% la partecipazione degli
adulti in età lavorativa, ossia tra i 25 e i 64 anni, all’ apprendimento
permanente (lifelong learning).
Tali obiettivi
non sono stati raggiunti dalla maggioranza dei paesi membri e sono stati
ritarati per il 2020.
L’Italia in
particolare si trova più indietro: siamo primi per abbandoni scolastici e per
numero di laureati, e abbiamo un fortissimo divario territoriale anche in
ambito scolastico che si sovrappone perfettamente al divario economico, sociale
e culturale.
Questo in
valore assoluto.
Disaggregando e
approfondendo dobbiamo però intercettare anche le cose positive:
1. i tassi di
dispersione scolastica (nonostante la frammentarietà e la discontinuità della
azioni) sono scesi molto in valore assoluto (dal 24% circa negli anni 2000 al
17% del 2016)
2. pur mantenendo
una posizione media nella classifica dei circa 70 paesi in cui si effettuano le
rilevazioni delle competenze Ocse PISA sui 15 enni (misurano due competenze
chiave: comprensione del testo e ragionamento logico matematico), siamo
comunque, insieme alla Colombia, il Paese che ha guadagnato più posizioni in
classifica, cioè abbiamo dei fortissimi segnali di miglioramento, segno che,
comunque lo si analizzi, il sistema d’istruzione italiano nella media “tiene”ed
è stato l’unico ambito della pubblica amministrazione con il segno più dello
scorso anno.
3. I nostri licei
classici e scientifici hanno risultati di eccellenza mondiale (causa il tipo di
scuola, e perché hanno comunque un’utenza selezionata all’ingresso)
Queste però sono le tre cose positive generalizzabili in una situazione
complessiva abbastanza varia, difficile e frammentata quale è quella dei
rendimenti dei nostri studenti.
Solo un cenno alla dispersione scolastica e ai bassi livelli di rendimento:
-
riguardano aree e settori sociali precisi del paese:
quielli a basso livello economico-culturale e sociale (il nucleo di
appartenenza rimane ad oggi il fattore con maggiore condizionamento e peso nei
rendimenti, lo diceva Visalberghi nel 1965, prima ancora di Don Milani, lo
rilevano oggi sia i dati invalsi che gli ocse pisa, da questo punto di vista
nulla o poco è mutato): “sei bravo a scuola se sei ricco”
-
si concentrano in altissime percentuali negli
indirizzi di scuola superiore di tipo tecnico professionale, che rappresentano
il 60% circa della popolazione scolastica nazionale; si tratta di bassi
rendimenti concentrati dunque, o per regione, o per contesto, o per tipo di
scuola, frutto anche di orientamenti scolastici
effettuati ancora oggi more gentiliano, cioè non per attitudini ma per
rendimenti (i bravi al liceo i meno bravi alle scuole tecnico-professionali),
rendimenti che, a loro volta, derivano in larga misura dal contesto di
appartenenza.Per cui è un cane che si morde la coda: deriva dalla scarsa
mobilità sociale e a sua volta genera bassa mobilità sociale (alla quale si
aggrega la scarsa mobilità culturale).
Riguardo queste tematiche tutta la scuola italiana è stata investita di
compiti e di parole nuove, dalle didattiche disciplinari si sta passando verso
le didattiche per competenze, passaggio molto più complesso a farsi, oltre che
a definirsi e programmarsi, comunque da una posizione di marginalità e
autoreferenzialità si è passati a una posizione di apertura e di centralità. Le
porte si sono aperte e in tutte le scuole si lavora, o si invita a lavorare, in modo nuovo in relazione a nuovi metodi, nuovi
linguaggi, nuovi obiettivi, in conformità con le direttive europee.
E si lavora anche con altre istituzioni, con gli enti locali, con le
strutture e le associazioni territoriali, con gli altri ministeri, su tutti col
Mibact: tanti protocolli, tanti progetti, tante direzioni nuove e contenuti
connessi. Forse non non lo fanno tutti allo stesso modo, e con gli stessi
livelli di qualità, ma ricordiamoci che stiamo parlando del più grande
sottosistema sociale esistente nel paese, che, con tutte le difficoltà
connesse, non è più fermo, ma è vivo, lavora insieme a noi e ..si muove. A un
occhio disattento può sembrare il castello errante di Howl, ma così non è.
Abbiamo tolto dall’analfabetismo il Paese, abbiamo aperto la scuola a
tutti, abbiamo accolto tutti: di tutte le età, provenienze, lingue, razze,
possibilità e capacità, adesso dobbiamo permettere loro di raggiungere un
livello di rendimenti medio alto.
Questo vuol dire far maturare a tutti gli studenti titoli di studio superiori che corrispondano a
profili adeguati e a obiettivi formativi civili e culturali all’altezza delle
sfide future e ai docenti aggiornamenti di pratiche e di contenuti. Questa oggi
è la nostra sfida che è una sfida culturale, sociale e civile.
In relazione a questi dati e analisi, per recuperare gli ultimi, che
rimangono ancora oggi, come ai tempi di don Milani, il nostro problema vero,
ultimi che non hanno solo problemi bassi rendimenti e dispersione ma altre
carenze al contorno, per la prima volta un governo ha inserito in legge di
stabilità una norma e dei fondi a contrasto della “povertà educativa”, una sorta di sperimentazione pilota (per chi
volesse approfondire la definizione, accolta e rilanciata in Italia dall’Associazione
Save the Children: http://secondowelfare.it/primo-welfare/inclusione-sociale/strategie-di-contrasto-alla-poverta-educativa-.html ), alla declinazione operativa della quale stiamo
lavorando presso palazzo Chigi con un provvedimento sperimentale, ma che
vorremmo venisse esteso in modo sistematico. Indicatori di povertà educativa
non sono solo fattori scolastici, cioè le conoscenze formali di provenienza
scolastica, ma anche le conoscenze informali provenienti da fattori
extrascolastici, cioè esattamente il consumo culturale esterno alla scuola:
lettura di libri, visite a musei o siti artistici-paesaggistici, sport, teatro,
musica, cinema.
In relazione ai bassi indici di consumo culturale in Italia, che poi è il
tema vero di quest’incontro, un altro dato, che spesso si confonde con i
rilevamenti delle competenze Ocse Pisa sui 15enni, è quello che riguarda invece
il rilevamento di quelle stesse due competenze nella popolazione adulta, semplifichiamole in lettura e
logica-matematica, (indagine su un range d’età dai 16 ai 65 anni), si tratta
delle rilevazioni OCSE Piaac sulla
popolazione adulta (per chi volesse approfondire: http://www.isfol.it/piaac/Rapporto_Nazionale_Piaac_2014.pdf ).
In questo caso siamo messi molto molto molto, ripeto, molto male e non miglioriamo.
Possiamo accompagnare le considerazioni su questo dato a tutte le analisi e studi sulla percentuale
di analfabetismo funzionale degli italiani, studi che riguardano sempre la
popolazione adulta e che ci consegnano dati allarmanti sull’incapacità di
comprendere un testo complesso. Dati che riguardano anche porzioni di
popolazione con titolo di studio superiore (un medico che non legge un libro da
anni può tranquillamente esserne affetto, perché la comprensione del testo è
una capacità che può perdersi se non si esercita).
Ditemi se questo dato non sia da mettere in diretto rapporto con i dati sul
basso consumo culturale.
Non solo con quello, mi permetto di dire, ma anche con tutti gli ambiti
sociali, economici, civici e civili del paese.
Mentre sul piano della popolazione scolastica dunque sono state messe e
continuano a mettersi in campo una molteplicità di azioni specifiche, generali,
di sistema, di porzione, riforme, aiuti, e tutto quel che ci viene in testa,
anche con successo tutto sommato, perché si migliora, pur se molto deve
compiersi in termini di continuità di azioni di sistema e di coordinamento e
riequilibrio dell’offerta formativa (due casi su tutti: la discrepanza di
offerta tra nord e sud di asili e tempo pieno), nell’ambito del recupero e dell’attenzione alle
competenze di base della popolazione adulta italiana siamo invece anni luce
indietro.
Cioè quell’investimento in conoscenza che tutti andiamo promuovendo, è una
realtà acquisita negli ambiti scolastici, va incrementato e studiato bene in ambito
universitario, mentre è completamente ignorato per la popolazione adulta.
Se consideriamo che l’aspettativa
di vita si è molto innalzata, che la percentuale di popolazione adulta è
nettamente preponderante, che le nascite sono ormai in bilancio negativo,
rendiamoci conto che questo è un “argomento” che dovrebbe tornare
all’attenzione delle politiche generali del Paese, non tanto e non solo quelle
scolastiche, o quelle culturali, ma delle politiche generali perché impatta
direttamente su tutti gli aspetti del vivere collettivo, non ultimo quelli della
qualità della democrazia e del confronto democratico che conducono ad essa.
Analfabetismo funzionale vedi alla voce “bassi consumi culturali” e
viceversa. Ma non solo. Se cultura ha significato l’inessenziale, mai come oggi
tale significato deve mutarsi profondamente.
Se la cultura ha comportato la pregiudiziale del “leggere” mai come oggi
tale pratica, il leggere, ha assunto un significato di azione basilare.
C’è bisogno di parole, per ragionare e vivere, per esercitare logica, per
produrre senso e sentimento.
Sembra banale ripeterlo, ma non lo è, visto che in pochi lo comprendono,
che il limite del linguaggio è il limite del mondo. Se così è, Houston abbiamo
un problema, perché il paese è al limite. Dell’incomprensione, dell’incomunicabilità.
La dico in maniera più esplicita: aumentare il consumo culturale degli
italiani è una medicina salva vita che il Paese, attraverso questo governo,
dovrebbe mettere in campo.
Come? Come rompere quel circolo vizioso che tira dentro altri dati, altre
considerazioni e altre riflessioni?
Posso avanzare dei punti, che poi vanno tutti approfonditi e declinati.
La scuola deve continuare a fare quello che fa e a farlo molto meglio.
Le politiche d’istruzione dovrebbero estendersi anche alla popolazione
adulta.
Il mondo della comunicazione e dell’informazione dovrebbe stimolare il
consumo culturale: lo fa?
Il servizio televisivo pubblico lo fa?
Il ruolo del digitale e della rete anche in relazione con gli mutamenti
profondi, filosofici ed epistemologici, in merito alla trasmissione,
condivisione, produzione di sapere, di arte, di cultura. Qualcuno ci riflette?
Il grande tema dei linguaggi.
L’innovazione e la riflessione intorno ad essa, relativamente: a. alla fruizione e
comunicazione del nostro patrimonio storico-artistico-paesaggistico, b. alla
conservazione e alla tutela.
La cultura e i mercati della cultura.
Su questi punti mi piacerebbe sentire gli altri.