di Mila Spicola
Il problema non è dare o togliere voce
agli imbecilli, ma educarli, renderli inoffensivi, responsabilizzarli
(commento pubblicato su UnitàOnLine il 29
dicembre 2017)
La prima cosa a cui si abituarono fu il
ritmo del lento passaggio dall’alba al rapido crepuscolo. Accettavano
i piaceri del mattino, il bel sole, il palpito del mare, l’aria dolce,
come il tempo adatto per giocare, un tempo in cui la vita era così piena
che si poteva fare a meno della speranza.
L’idea che condusse Golding a
scrivere Il Signore delle mosche fu un esperimento reale
condotto quando insegnava. Divise i ragazzi delle classi di quarta
elementare in due gruppi che, sotto la supervisione dell’insegnante,
dovevano dibattere su vari argomenti, e la cosa andava piuttosto bene,
aveva fornito delle regole d’ingaggio e dibattimento, era contento della
classe e di come stava andando. Un giorno il prof. Golding decise
di abbandonare l’aula e lasciare i ragazzi, in realtà bambini nel pieno
dell’innocenza, in totale libertà, ma dovette rientrare dopo poco per
impedire che la situazione degenerasse pesantemente, erano già quasi
arrivati alle mani. O mutos deloi oti. Cosa insegna? Che la speranza sono
le regole? O il controllo? O la certezza di una sanzione se si sbaglia,
poiché, come dicevano i maestri del diritto, sine pena nulla lex? O la
definizione dello sbaglio?
Ricevendo la laurea honoris causa in
Comunicazione all’Università di Torino, Umberto Eco, scomparso
in quest’anno di perdite eccellenti all’età di 84 anni, regala al
mondo la sua celeberrima critica feroce dei social network (“diritto di
parola a legioni di imbecilli”).
Dicembre 2016, in un’intervista al
settimanale belga Tertio, papa Francesco usa toni parimente
duri, riferendole ai media, ma potremmo estenderle a chiunque.
“Disinformare, calunniare gli avversari politici, sporcare la gente, è
peccato, i media devono essere “limpidi e trasparenti” e non devono “cadere
nella malattia della coprofilia. - è peccato, trasposto al
diritto, è reato - La disinformazione – spiega il Papa nell’intervista
– è probabilmente il danno più grande che può fare un mezzo, perché
orienta l’opinione in una direzione, tralasciando l’altra parte
della verità”. Invece, prosegue Bergoglio, i media, ma non solo loro,
aggiungerei, devono “essere molto limpidi, molto trasparenti, e non cadere
nella malattia della coprofilia, che è voler sempre comunicare lo
scandalo, comunicare le cose brutte, anche se siano verità. E siccome la
gente ha la tendenza alla malattia della coprofagia, si può fare molto
danno”. I media, dunque non solo la rete, per Francesco, “possono
essere tentati di calunnia, e quindi essere usati per calunniare, per
sporcare la gente, questo soprattutto nel mondo della politica.” Dalla
coprofilia alla coprofagia.
2016. “Post verità”, ossia quando la
verità è una variabile indipendente. Il referendum britannico sulla Brexit
e la vittoria di Donald Trump alle presidenziali Usa fanno inserire il
termine “post-truth”, appunto, in italiano “post-verità”, nel prestigioso
Oxford Dictionary, che la dichiara parola dell’anno. Post Truth:
espressione che descrive l’atteggiamento non solo e non tanto di chi dice
il falso, ma di chi considera alla stregua di un optional la differenza tra ciò
che è vero e ciò che non lo è: spacciando indifferentemente argomenti sensati
o meno – senza darsi pena di consentire una verifica – a seconda dei
propri fini e dei propri interessi del momento, basterebbe chiamarle
menzogne.
2016, Germania. In questi giorni, la
coalizione di governo sta pensando a introdurre una nuova legge che prevede multe
fino a 500.000 euro alle aziende che, operando nel settore dei social
media, dopo una segnalazione non provvedano prontamente a rimuovere
una notizia falsa entro 24 ore. Le preoccupazioni starebbero nascendo
a causa dell’approssimarsi delle elezioni e dal timore che le notizie
false possano influenzare il voto come secondo alcuni sarebbe già
accaduto negli Stati Uniti o per la Brexit.
2016, Unione Europea. Il presidente
del parlamento europeo Martin Schulz ha sollecitato lo sviluppo di leggi a
livello europeo per meglio affrontare il problema.
Dicembre 2016, Italia. Il ministro Andrea
Orlando rilascia sull’argomento un’intervista al Foglio, l’intervista
diventa virale proprio sul web. Pubblicata sul suo profilo facebook
viene letta, discussa e condivisa da migliaia di persone, ha colto nel
segno.Ma il segno qual è? Approfondisce e rilancia; la netiquette
coinvolge temi profondi e grandi: i gradi di separazione che si sono annullati,
i corpi intermedi che sono in crisi, la responsabilità del vero e del
falso, la verità come optional; cose da agitare con estrema cautela come la
glicerina, il mix è esplosivo e ad esplodere è la democrazia.
E’ necessario introdurre delle regole,
delle sanzioni per le grandi aziende del web, che ormai, come ha ammesso
lo stesso Zuckenberg, agiscono come media company, quando non rimuovono
notizie false? Temi complessi, per coloro ai quali interessi approfondire il
rapporto tra società, singolo e grandi colossi del web, consiglio un bel
libro di Franco Introini, Comunicazione come partecipazione.
Tecnologia, rete e mutamento socio-politico, che molte cose le metteva
insieme già nel 2007, senza averne ancora sperimentate le conseguenze cui
abbiamo assistito nel corso di questo anno di eventi non tanto
imprevedibili, se si fosse letto di più e bene; nel libro l'autore introduce
i concetti di autoregolazione e gli albori dello “scetticismo
sistematico” come codice interpretativo della rete. Ditemi se non ci siamo in
pieno, nello scetticismo sistematico e nel suo uso strumentale. Internet è
o non è luogo di apertura e libertà? Oppure sono galassie che
possono essere strumentalizzate, condotte, indirizzate, deviate, da false
o vere chimere, e a poco serve la speranza dell’autoregolamentazione o della
trasparenza poiché la notizia falsa, abilmente veicolata e resa virale,
non viene contrastata efficacemente dagli
anticorpi dell’autoregolamentazione. Non basta.
Uscire dall’astratto al concreto: è
sufficiente assegnare una sanzione alla media company? La responsabilità
sarebbe nel mezzo? O il mezzo ha la sola funzione di identificare le
responsabilità? La responsabilità, come la libertà, si declina al
singolare, diceva la Arendt. Aiuta forse la sanzione al mezzo, alla media
company, ma non è tutto, non è sufficiente, servono regole e vanno ridefinite
le responsabilità penali dei singoli.
Ritengo anche che il tema
agitato della “censura come limitazione della libertà” sia un falso
problema. Vanno ridefiniti senso e azione dei corpi intermedi, perché non
esiste “la mia ragione”, il mio interesse legittimo, che contratto direttamente
e in verticale, bensì, per stare insieme va ricostruito il luogo di
mediazione delle ragioni, degli interessi legittimi, che spesso sono
contrapposti. Tra i corpi intermedi inserirei non solo partiti e sindacati ma
anche la borghesia e la crisi del suo ruolo sociale.
Ribadiamo un lessico essenziale, prima che
rimaniamo impigliati nel troppo complesso? La libertà personale termina
laddove inizia la libertà altrui, elementare Watson, eppure ce lo siam
dimenticati. Libertà e libero arbitrio son cose diverse. Menzogna,
diffamazione, calunnia, razzismo, sessismo sono reati e, in quanto tali,
perseguibili. Di più: tornare a educare chi cresce, non servono parole
nuove per peccati antichi. Che poi li si chiami “incitamento d’odio” poco
cambia.
Non può essere solo Facebook a
combatterlo, ”il responsabile”, il problema non è dare o togliere voce agli
imbecilli, ma educarli, renderli inoffensivi, responsabilizzarli, sennò
sarebbe un’eterogenesi dei fini che non va alla radice del problema, che è
sociale e individuale al tempo stesso.
Chi sottovaluta, ignora, equivoca non
assicura nessuna libertà, semplicemente fa un danno alla legge e al vivere
sociale. Lascia sola la classe, lascia aperti e assoluti i cancelli delle
ragioni senza mediazioni. Sia che si calunni nel “mondo reale” sia che lo si
faccia nel “mondo virtuale”, nulla cambia. Come ci insegna Goblin, non
esiste il tempo in cui la vita è così piena da poter fare a meno della
speranza, come non esiste un mondo senza regole, che vanno rispettate e
fatte rispettare, fuori e a maggior ragione dentro il web. Non esiste
l’innocenza, lo spontaneismo del web come antidoto ad elites che hanno
tradito, perché chi strumentalizza le emozioni tradisce ancor di più.
E questo sono campagne di opinioni
false virali. Non son discorsi leggeri, in gioco, come ha ben detto Orlando,
c’è la democrazia. Evoco un confronto, non so come e non so dove, che
conduca a un sistema di regole organiche che riguardino sia i media, che
le media company, che i singoli e, insieme alle regole,
controlli (autocontrolli?) e sanzioni.