giovedì 29 dicembre 2016

Rete, verità, rispetto e democrazia. Ovvero, educare alla libertà.

di Mila Spicola
Il problema non è dare o togliere voce agli imbecilli, ma educarli, renderli inoffensivi, responsabilizzarli
(commento pubblicato su UnitàOnLine il 29 dicembre 2017)
  


La prima cosa a cui si abituarono fu il ritmo del lento passaggio dall’alba al rapido crepuscolo. Accettavano i piaceri del mattino, il bel sole, il palpito del mare, l’aria dolce, come il tempo adatto per giocare, un tempo in cui la vita era così piena che si poteva fare a meno della speranza.

L’idea che condusse Golding a scrivere Il Signore delle mosche fu un esperimento reale condotto quando insegnava. Divise i ragazzi delle classi di quarta elementare in due gruppi che, sotto la supervisione dell’insegnante, dovevano dibattere su vari argomenti, e la cosa andava piuttosto bene, aveva fornito delle regole d’ingaggio e dibattimento, era contento della classe e di come stava andando. Un giorno il prof. Golding decise di abbandonare l’aula e lasciare i ragazzi, in realtà bambini nel pieno dell’innocenza, in totale libertà, ma dovette rientrare dopo poco per impedire che la situazione degenerasse pesantemente, erano già quasi arrivati alle mani. O mutos deloi oti. Cosa insegna? Che la speranza sono le regole? O il controllo? O la certezza di una sanzione se si sbaglia, poiché, come dicevano i maestri del diritto, sine pena nulla lex? O la definizione dello sbaglio?
Ricevendo la laurea honoris causa in Comunicazione all’Università di Torino, Umberto Eco, scomparso in quest’anno di perdite eccellenti all’età di 84 anni, regala al mondo la sua celeberrima critica feroce dei social network (“diritto di parola a legioni di imbecilli”).
Dicembre 2016, in un’intervista al settimanale belga Tertio, papa Francesco usa toni parimente duri, riferendole ai media, ma potremmo estenderle a chiunque. “Disinformare, calunniare gli avversari politici, sporcare la gente, è peccato, i media devono essere “limpidi e trasparenti” e non devono “cadere nella malattia della coprofilia. - è peccato, trasposto al diritto, è reato - La disinformazione – spiega il Papa nell’intervista – è probabilmente il danno più grande che può fare un mezzo, perché orienta l’opinione in una direzione, tralasciando l’altra parte della verità”. Invece, prosegue Bergoglio, i media, ma non solo loro, aggiungerei, devono “essere molto limpidi, molto trasparenti, e non cadere nella malattia della coprofilia, che è voler sempre comunicare lo scandalo, comunicare le cose brutte, anche se siano verità. E siccome la gente ha la tendenza alla malattia della coprofagia, si può fare molto danno”. I media, dunque non solo la rete, per Francesco, “possono essere tentati di calunnia, e quindi essere usati per calunniare, per sporcare la gente, questo soprattutto nel mondo della politica.” Dalla coprofilia alla coprofagia. 
2016. “Post verità”, ossia quando la verità è una variabile indipendente. Il referendum britannico sulla Brexit e la vittoria di Donald Trump alle presidenziali Usa fanno inserire il termine “post-truth”, appunto, in italiano “post-verità”, nel prestigioso Oxford Dictionary, che la dichiara parola dell’anno. Post Truth: espressione che descrive l’atteggiamento non solo e non tanto di chi dice il falso, ma di chi considera alla stregua di un optional la differenza tra ciò che è vero e ciò che non lo è: spacciando indifferentemente argomenti sensati o meno – senza darsi pena di consentire una verifica – a seconda dei propri fini e dei propri interessi del momento, basterebbe chiamarle menzogne. 
2016, Germania. In questi giorni, la coalizione di governo sta pensando a introdurre una nuova legge che prevede multe fino a 500.000 euro alle aziende che, operando nel settore dei social media, dopo una segnalazione non provvedano prontamente a rimuovere una notizia falsa entro 24 ore. Le preoccupazioni starebbero nascendo a causa dell’approssimarsi delle elezioni e dal timore che le notizie false possano influenzare il voto come secondo alcuni sarebbe già accaduto negli Stati Uniti o per la Brexit.  
2016, Unione Europea. Il presidente del parlamento europeo Martin Schulz ha sollecitato lo sviluppo di leggi a livello europeo per meglio affrontare il problema. 
Dicembre 2016, Italia. Il ministro Andrea Orlando rilascia sull’argomento un’intervista al Foglio, l’intervista diventa virale proprio sul web. Pubblicata sul suo profilo facebook viene letta, discussa e condivisa da migliaia di persone, ha colto nel segno.Ma il segno qual è? Approfondisce e rilancia; la netiquette coinvolge temi profondi e grandi: i gradi di separazione che si sono annullati, i corpi intermedi che sono in crisi, la responsabilità del vero e del falso, la verità come optional; cose da agitare con estrema cautela come la glicerina, il mix è esplosivo e ad esplodere è la democrazia. 
E’ necessario introdurre delle regole, delle sanzioni per le grandi aziende del web, che ormai, come ha ammesso lo stesso Zuckenberg, agiscono come media company, quando non rimuovono notizie false? Temi complessi, per coloro ai quali interessi approfondire il rapporto tra società, singolo e grandi colossi del web, consiglio un bel libro di Franco Introini, Comunicazione come partecipazione. Tecnologia, rete e mutamento socio-politico, che molte cose le metteva insieme già nel 2007, senza averne ancora sperimentate le conseguenze cui abbiamo assistito nel corso di questo anno di eventi non tanto imprevedibili, se si fosse letto di più e bene; nel libro l'autore introduce  i concetti di autoregolazione e gli albori dello “scetticismo sistematico” come codice interpretativo della rete. Ditemi se non ci siamo in pieno, nello scetticismo sistematico e nel suo uso strumentale. Internet è o non è luogo di apertura e libertà? Oppure sono galassie che possono essere strumentalizzate, condotte, indirizzate, deviate, da false o vere chimere, e a poco serve la speranza dell’autoregolamentazione o della trasparenza poiché la notizia falsa, abilmente veicolata e resa virale, non viene contrastata efficacemente dagli anticorpi dell’autoregolamentazione. Non basta.
Uscire dall’astratto al concreto: è sufficiente assegnare una sanzione alla media company? La responsabilità sarebbe nel mezzo? O il mezzo ha la sola funzione di identificare le responsabilità? La responsabilità, come la libertà, si  declina al singolare, diceva la Arendt. Aiuta forse la sanzione al mezzo, alla media company, ma non è tutto, non è sufficiente, servono regole e vanno ridefinite le responsabilità penali dei singoli. 
Ritengo anche che il tema agitato della “censura come limitazione della libertà” sia un falso problema. Vanno ridefiniti senso e azione dei corpi intermedi, perché non esiste “la mia ragione”, il mio interesse legittimo, che contratto direttamente e  in verticale, bensì, per stare insieme va ricostruito il luogo di mediazione delle ragioni, degli interessi legittimi, che spesso sono contrapposti. Tra i corpi intermedi inserirei non solo partiti e sindacati ma anche la borghesia e la crisi del suo ruolo sociale. 
Ribadiamo un lessico essenziale, prima che rimaniamo impigliati nel troppo complesso? La libertà personale termina laddove inizia la libertà altrui, elementare Watson, eppure ce lo siam dimenticati. Libertà e libero arbitrio son cose diverse. Menzogna, diffamazione, calunnia, razzismo, sessismo sono reati e, in quanto tali, perseguibili. Di più: tornare a educare chi cresce, non servono parole nuove per peccati antichi. Che poi li si chiami “incitamento d’odio” poco cambia. 
Non può essere solo Facebook a combatterlo, ”il responsabile”, il problema non è dare o togliere voce agli imbecilli, ma educarli, renderli inoffensivi, responsabilizzarli, sennò sarebbe un’eterogenesi dei fini che non va alla radice del problema, che è sociale e individuale al tempo stesso.
Chi sottovaluta, ignora, equivoca non assicura nessuna libertà, semplicemente fa un danno alla legge e al vivere sociale. Lascia sola la classe, lascia aperti e assoluti i cancelli delle ragioni senza mediazioni. Sia che si calunni nel “mondo reale” sia che lo si faccia nel “mondo virtuale”, nulla cambia. Come ci insegna Goblin, non esiste il tempo in cui la vita è così piena da poter fare a meno della speranza, come non esiste un mondo senza regole, che vanno rispettate e fatte rispettare, fuori e a maggior ragione dentro il web. Non esiste l’innocenza, lo spontaneismo del web come antidoto ad elites che hanno tradito, perché chi strumentalizza le emozioni tradisce ancor di più.
E questo sono campagne di opinioni false virali. Non son discorsi leggeri, in gioco, come ha ben detto Orlando, c’è la democrazia. Evoco un confronto, non so come e non so dove, che conduca a un sistema di regole organiche che riguardino sia i media, che le media company, che i singoli e, insieme alle regole, controlli (autocontrolli?) e sanzioni.

venerdì 16 dicembre 2016

Il passo avanti che c'è da fare

Il passo avanti che c'è da fare
di Mila Spicola

commento comparso su L'Unità in edicola il 16 dicembre 2016

Dopo la botta referendaria, perché di botta si tratta cosa possiamo fare se non leggere? Leggere, leggere, leggere per trovare non dico risposte ma ascolto, ed è già una risposta. A come Ascolto, stiamo ascoltando quello che ci hanno detto il 60% degli italiani col loro no e più del 70% dei siciliani e dei campani? Perdonate la prospettiva, non è campanile, è coscienza del peso specifico. B come Basta, leggo questo in quel no, basta, rimane da capire la natura dei basta e metterli in fila, ma sono chiarissimi, chi non li vede è perché non li vuol vedere; basta disoccupazione, basta fame, basta corruzione, basta ipocrisia, basta menzogne, basta assenza di partecipazione e coinvolgimento. C come Calvino. Nei suoi “Appunti per un programma politico per i prossimi vent’anni” chiede, a me che faccio politica, di “puntare solo sulle cose difficili, eseguite alla perfezione. Anche fare dei calcoli a mano: delle divisioni, delle estrazioni di radici quadrate, delle cose molto complicate. Combattere l'astrattezza del linguaggio che ci viene imposto, con delle cose molto precise. Le cose che richiedono sforzo; diffidare della facilità, della faciloneria, del fare tanto per fare."​ 

Per grandi linee abbiamo davanti a noi ​chiari ​i problemi: la mappa del no coincide con la mappa della fame. Il lungo inverno del nostro scontento. Per me è questa la priorità. Durante la campagna referendaria chiedevo “perché voti no?” ​ Nella graduatoria delle risposte possibili come delle impossibili in cima c’era il lavoro. Con una connotazione precisa: l’incertezza, dolorosissima sul viso dei giovani. La mappa del non lavoro giovanile è così grande da coincidere spesso con la mappa del no, coprendo e nascondendo completamente le ragioni del quesito referendario.
Urge un’analisi comune del voto. Di analisi singole ne stiamo facendo a iosa, ma la politica è quella cosa che si sortisce insieme, sennò rimane puro esercizio di stile. Urge trovare un modo per ridare protagonismo sociale a quanti adesso lo chiedono, la richiesta ci viene chiarissima dalla quantità dei voti. L’indifferenza opera potentemente nella Storia e questa volta no, non lo è stata l’Italia indifferente e questo fa eccome la differenza, “la disaffezione alla politica” ha assunto il volto nuovo di un assalto alla politica, di un assedio. Beh, come cantava il poeta: “il tuo amore è un assedio”, c’è voglia di fidarsi e di affidarsi pur nella diffidenza. Tanti e tali sono i problemi. Qualcuno ci sta chiedendo aiuto. 

Urge una riflessione sul partito, sui partiti. ​Come luogo per mettere intorno a un tavolo le persone per discutere dei problemi. Corpo intermedio necessario. Urge una riflessione sul  nostro ​ partito​, il Partito Democratico​, su struttura e organizzazione, innovando ma non perdendo identità​. Fabrizio Barca ossessivamente lo ricorda. ​Urge anche una discussione sul senso del nostro Partito, cioè ritrovare i temi e i modi di una politica sociale.​ Non so se mi convince la sua proposta, non so se mi convince la mia, perché anche io ne avrei una e mi piacerebbe parlarne da qualche parte, una proposta va fatta, perché tra le cose carenti la più carente, in questa campagna referendaria, come in quella delle amministrative immediatamente precedenti, è stata la struttura centrale e periferica del partito; ancora una volta, va fatta insieme, in una riflessione comune, di grazia: dove? Quando? Come? 

Il tema dei divari. È il tema dei temi, insieme a quello del lavoro. Geografici, Economici. Culturali. Sociali. Di genere. Formativi. E potrei continuare. “ Le cose che richiedono sforzo; diffidare della facilità, della faciloneria, del fare tanto per fare.” Evitiamo le caricature sul Sud, sui giovani, sulle donne, sugli insegnanti e via dicendo. Riflettiamo insieme su questi temi, temi possenti, potenti e di sinistra, mettiamoci intorno a un tavolo, questo è fare politica, mettersi intorno a un tavolo, possibilmente coinvolgendo e facendo partecipare volta per volta i protagonisti, le persone del Sud, i giovani, le donne, gli insegnanti, che non sono personaggi in cerca d’autore o portatori d’interesse di categoria o di corporativismo, sono esattamente le persone alle quali dovremmo risolvere i problemi ascoltando quei problemi. 

Ogni crisi è opportunità, non opportunismo​; evitiamo di dare uno spettacolo di opportunismo in questo momento, ogni riferimento al governo in carica è puramente casuale e voliamo alto verso le opportunità. Spieghiamolo bene quel che si sta facendo adesso e perché, come ha detto Cuperlo in Direzione, il rischio, nel rappresentare opportunismi e non opportunità, non è il voto, ma il risultato. ​Il rischio è confondere i mezzi coi fini, noi siamo i mezzi, i fini sono i problemi delle persone, non viceversa. ​Non ho usato la parola populismo, diffidare della faciloneria.

mercoledì 14 dicembre 2016

Direzione pd: traccia completa del mio intervento

Direzione pd: traccia completa del mio intervento



VOTO
Qualcuno diceva che l’indifferenza agisce potentemente nella storia; il referendum per fortuna ci rivela un’Italia che non è per nulla indifferente. Anzi, ha fatto la differenza. Ma ha fatto la differenza perché ha voluto chiaramente dirci qualcosa. Bello il 40% tutto per noi, potrei dire da sostenitrice del governo appena concluso. Tutti voti intorno a Renzi e a una radicale proposta di rinnovamento del Paese? Qualcuno dice di sì, qualcuno di no, lo vedremo. 
Eppure quel che mi tormenta è il 60%, anche se ho la profonda convinzione che su quel 60% ci siano ampi margini di recupero.

C'è un vento di scontento e populismo che attraversa tutto il mondo, inutile concentrarsi sulla riforma. Tra chi ha votato no, nessuno ha votato sulla riforma,ma sul suo scontento. C'è anche un pericolosissimo modo di strumentalizzare tale scontento, con falsità. E anche questo attraversa il mondo, e si scaglia con chi governa, chiunque esso sia.
Adesso allora concentriamoci sulle ragioni dello scontento e sul problema della strumentalizzazione dello scontento. Il populismo è effetto non causa dello scontento. Affrontiamolo prima che ci travolga, non dopo, e credo che si possa fare, ragionando tutti con franchezza.
 La mappa del no coincide con la mappa della fame. Certo, c’è la parte degli scontenti per altro, per riforme non comprese o che andavano tarate meglio, o condivise di più. Ci sono i no di posizionamento, anche dentro questa stanza ce ne son parecchi. Ma il grosso del no coincide con la mappa della fame.
Le analisi dicono che le maggiori percentuali di no non sono tra studenti, docenti o impiegati. Leggiamoli bene, sono tra disoccupati,giovani o meno giovani, casalinghe e imprenditori. E’ la mappa del lavoro che è diventato non lavoro, per la crisi, per la globalizzazione, per i mali delle clientele ataviche che oggi non trovano più appigli, per tutto quello che volete, .
E dove si trovano? Quasi la metà dei residenti nel sud e nelle isole (46,4 per cento) è a rischio di povertà o esclusione sociale, in Sicilia (55,4 per cento), Puglia (47,8%) e Campania (46,1%).
E’ stato un voto populista? Non sia il populismo il capro espiatorio, non è “colpa del populismo”, le colpe sono da rintracciarsi nelle mancate risposte allo scontento.

GOVERNO
Possiamo dirci, ed è vero, che noi questo scontento lo abbiamo affrontato. Come governo, ci abbiamo provato, e i dati in crescita ci dicono che comunque qualcosa è migliorata. Molte misure a contrasto della povertà, molte misure di sinistra, sì, di sinistra. I problemi si sono affrontati tutti e non si sono elusi, ma è presto per sentirne gli effetti, e comunque qualcosa va rivista perché siamo in mezzo a una crisi immensa, a cambiamenti immensi e non sono mille giorni di governo che possono risolvere tutto.

PARTITO
Possiamo però dirci che, come partito, questo scontento non lo abbiamo affrontato? Non ci siamo. Nei luoghi dello scontento il partito non c’è. A me colpisce molto quando qualcuno di noi, tanti per la verità, parlano di periferie. Lo fa Speranza, lo fa Bersani, lo fai anche tu Matteo. Dobbiamo concentrarci sulle periferie, dite spesso. Sulle diseguaglianze sociali. Dobbiamo riprogettare le periferie, i rammendi…per carità..tutto bello bellissimo.
Rammendo estetico? Beh, no, dovremmo parlare di un rammendo economico, politico, culturale e sociale che nessuno tra voi qua dentro è in grado di fare, perdonatemi se ve lo dico. Semplicemente perché spesso non sapete nemmeno di cosa parlate. Tra di voi chi ha lavorato, vissuto o praticato le periferie? I luoghi dello scontento? Chi di voi ci vive o lavora?
E il partito? Il partito c’è? Quanti circoli abbiamo nelle periferie, caro segretario? Nessuno. Abbiamo tante segreterie di eletti del pd al Sud, quelle sì, che pullulano di gente in difficoltà. Qualche domanda fatevela, quella gente nel segreto dell’urna ci vota contro, perché non ne può più di anticamere nelle segreterie a chiedere cose che magari non può avere o non è giusto abbia, e continuiamo a dare forzando, mentre non siamo capaci di dare l’unica cosa che dovremmo dare: politiche adeguate.
Avete una sola idea di quel che si vive in una periferia, non perché lo avete visto nel film di Jeeg Robot, ma perché vi ci siete trovati e scontrati? Alzi la mano chi di voi si è ritrovato a dover scippare un coltello dalle mani di un bambino di 10 anni che lo stava per conficcare a un compagno e poi rimanere impietrita di notte a piangere e basta. Alzi la mano chi si è trovato e si ritrova a fare le collette dei libri per una ragazzina che va al liceo e in una regione in cui il presidente a marca pd non ha mai messo un euro per questo e a dover cercar voti per quel partito e a doverlo sostenere quel presidente!  Se cercate lì i voti il giorno del voto, senza esserci stati nei due anni precedenti, è inutile fare lo sforzo persino di bussare. Non vi aprirà nessuno, come cantava il poeta. Una Politica senza politiche oggi è inutile e direi detestata.
Una Politica che non ascolta oggi è inutile, perché persino l'ascolto è pur'anche una risposta.

TEMI
A torino un bimbo va a scuola per 8 ore e il problema è che sua mamma non gradisce il cibo che gli danno e gli vuol dare il panino, A palermo un bimbo a brancaccio va a scuola per 4 ore e il problema è che non ce l’ha il panino o il cibo caldo a scuola. Ha il pezzone di rosticceria a 50 centesimi, per strada, e si ingrassa e si ammala, ed è pure fortunato quando ce l’ha.
Alzi la mano chi sta affrontando questo divario. Non il problema locale, ma il divario nazionale.  Il 92% dei bambini di palermo non ha il pasto a scuola mentre a torino il 92% lo ha. E ci chiediamo le ragioni del no disquisendo sul bicameralismo perfetto?
A me non interessa individuare le colpe, a me interessa trovare le soluzioni. In quel 92% di bambini senza pasto a scuola si annida un 46% di bambini che non ce l’ha nemmeno a casa. Le loro madri votano no. No, no, no no. Le loro madri, senza asili, senza sostegni, senza lavoro, dicono no.
In questi ultimi tre anni qualcosa si è cercato di fare, quanto meno abbiamo messo sul tavolo il problema. Anche se qualcosina ai nostri rappresentanti locali dovremmo pur dirla, perché spesso remano persino contro.  E anche noi dovremmo pur dircela, al di là delle parti.
Un tale mi ha detto che questa è retorica della povertà. Perdonatemi, passami una brioche, Antonietta, io sto andando a fare la rivoluzione contro questo qualcuno.
Chiunque ci sia adesso, tra un mese, mi auguro che non butti di nuovo 600 milioni di euro di fondi ue in una pioggia di progettifici scolastici al sud contro la dispersione che da 20 anni si fanno. che portano soddisfazione in chi li progetta non nei bambini che li seguono. Oppure affidiamo tutto agli economisti che nulla sanno? Perchè non ci fidiamo abbastanza di chi queste cose le studia e lo chiamiamo? Ci direbbe semplicemente che i progetti non servono. Questa è la riforma che serve e che coprirebbe metà dello scontento e metà del populismo. E’ una proposta populista? Chiamiamola metadone, che devo dirvi. Al populismo di chi ci vuol male oppongo il populismo di dare il pane a chi non ce l’ha e scuola a chi ne ha poca.
Pane e scuola, scuola e pane. E allora le assunzioni nella scuola sarebbero state lo strumento, non il fine.
Asili. donne. disoccupati.  Welfare. Welfare. Welfare. Sono temi atavici, alcuni allargano le braccia. Io no, perché ho chiarissimo da dove ripartirei. Crocetta e il governo hanno firmato da poco un patto della sicilia: quanti soldi ci sono per asili, pasto caldo all’infanzia e sostegni alle donne? Zero. Non vorrei dire ma di questa politica maschile e al maschile e per il maschile al Sud ci siamo tutti strarotti i cosiddetti. E’ inutile, è inefficace, è opaca, è miope.
Siamo arcistufi di una politica che riparte da zero ogni volta per rifare gli stessi errori e con le stesse persone, con tutto l’affetto e la stima per quelle persone.
Sono qui per quei bambini, se non riesco a risolvere uno solo dei loro problemi sono anche io parte del problema. Se non riusciamo qua dentro a risolvere uno solo dei loro problemi siamo anche noi parte del problema e per questo ci spazzano via e fanno bene.
Se lasciamo la nostra gente in balia della tempesta è ovvio che si rifugerà nel populismo, nelle false verità. Non possiamo fare sconti, certo, nessun regalo o regalia, ovvio, ma giusti investimenti sì. 764 milioni di euro del 'Patto per Palermo' da spendere in mobilità, infrastrutture e riqualificazione urbana …cose bellissime ma non si mangiano. Eppure mi pare che in Sicilia ci troviamo di fronte a regalìe, non a investimenti per quei bambini e quelle mamme. Sono priorità che né d’alema, né bersani hanno affrontato, diciamolo, quando ci si son trovati a poterlo fare; sono priorità che vanno sanate con azioni strutturali e di sistema, non con azioni discontinue e parziali; con azioni che coinvolgano le persone non che le escludano, e a questo dovrebbe servire una struttura capillare di partito in ogni angolo di città o contrada.

SICILIA
Quel 70% di no in Sicilia è l’urlo della mia gente, io sono intenzionata ad ascoltarlo e loro, lo so, ad ascoltarci; se noi ascoltiamo loro. Posso gioire per il 30% ma devo occuparmi di quel 70.
Se il pd, tutto, matteo, bersani, il compagno d’alema, franceschini, speranza lo affrontano insieme, il problema della mappa della fame, dei bambini e delle donne, COSA CHE NESSUNO HA MAI FATTO FINO AD OGGI, con un partito unito sui temi, sui suoi temi, che sono quelli di sempre abbattere le diseguaglianze e dare pane e scuola, sulla sua storia, sulla sua identità, che rappresenta non il passato ma il progetto,

COME?
Con metodi nuovi, innovando le forme della partecipazione, nel partito, nel sindacato, combattendo comunque le rendite di posizione, perseguendo un riformismo possibile e partecipato intorno ai problemi delle persone, non intorno agli schemi di partito,  alle rendite, o ai corporativismi, ma nemmeno intorno alle narrazioni, se prima non le hai divise e condivise, perché che l’italia sia un grande paese lo sappiamo, ma la parte di paese che non ha nulla e ha paura del futuro va messa in sicurezza.
I giovani vanno messi in sicurezza disegnando percorsi certi, non salti nel buio: con percorsi formativi efficati e orientamento vero, con imprese che si leghino a quei percorsi formativi prima, con senso di responsabilità, con alleanze con il mondo dei docenti, sia di scuola che accademici, non con scontri o diffidenze, gli uni verso gli altri.
Occuparsi del welfare delle donne, altro grande tema, che darebbe slancio a una parte del paese di cui si parla troppo e male, e si fa peggio e poco,  non solo fuori dalla politica ma anche dentro alla politica. 

Ecco, con un partito unito su questo progetto, e non diviso sulle poltrone, con persone competenti e che hanno i meriti per portarle avanti,  ce la faremo.

Sennò, se rimaniamo divisi e occupati a disegnare schemi e destini personali, rassegniamoci, a salvarci non saranno nessun bellissimo dibattito sulle periferie, sulle riforme, sull’innovazione, o sulla sinistra che vorremmo e mai ci sarà, no, no,verremo travolti prima che dalle nostre divisioni dalla Storia.