giovedì 23 febbraio 2017

Il partito degli inascoltati e la fuoriuscita(forse) dal PD

Se la politica non ascolta
Di Mila Spicola
Articolo comparso su L'Unitá del 21 2 2017

La politica è cuore. La politica è testa. La politica è matematica. La politica è opportunità. La politica è opportunismi. La politica è contraddizione. 
Parlo oltre l’acquario e forse è il mio limite, l’essere poco politica e troppo nelle politiche, ma forse non lo è; perché ho letto il messaggio di Ada, una casalinga di san benedetto del tronto, mi spiace non poterti richiedere l'amicizia il tuo intervento in direzione di oggi mi è piaciuto tantissimo! grazie di tutto comunque professoressa! Ho pianto perché io ce l’ho fatta a raggiungere chi volevo raggiungere. Per me il PD è sano e vegeto e lotta insieme ad Ada. Vero è ben, Pindemonte, che vorrei capire questa narrazione mediatica che ci vuole litigiosi e sull’orlo del dramma, che ci vuole con una “classe dirigente non all’altezza” e che però si fa sfuggire perle come l’intervento di Ileana Argentin che dice “non avete avuto la voglia di ascoltare quel ragazzo che parlava prima”. Sembra banale. Se io scrivo adesso che i miei temi sono scuola e lavoro sembra banale. Se io scrivo adesso che sto, stiamo cercando disperatamente da anni di dare sicurezza, futuro e cultura a dei ragazzi che non ne trovano, sembra banale, dovrei parlare di forma partito e di ragioni dell’unità. 

Anche se il risultato della politica è semplice, non può esserlo il metodo per arrivarci. La complessità della politica non è quella della sua materia, ma del nostro intelletto annodato. Mia madre era abbastanza ricca, era figlia di burgisi, borghese, mio nonno aveva le terre anche se era analfabeta. Mio padre era molto povero, orfano di padre in una famiglia con quattro figli. Si comprava i libri di scuola scrivendo lettere per contadini analfabeti. Mia madre si ritrovò mano nella mano con Cettina, la sua amica del cuore, e la madre di lei, che lavorava nelle terre di mio nonno, ad occuparle al grido di “vogliamo le terre” senza nemmeno capire che le terre erano le sue. “Ciccina, vieni!! Ma che fai lì, vieni in casa subito!!” Sciogli i nodi. Non so parlare d’altro, di lavoro e libri, perché sono stata cresciuta a lavoro e libri. Non mi interessano i tatticismi, gli accordi, le strategie. La linea. Voglio la Politica. 

Sebastiano mi scrive da Marsala e non ha un lavoro “trovami la soluzione”. Che errore rispondergli quando invece dovrei occuparmi e preoccuparmi della data del congresso del PD e spiegare a tutti perché sono così stronza, così mi ha scritto un amico, da voler la scissione, io, che “rinnego il passato”!! Scusateci, non vorremmo disturbarvi mentre stabilite le norme per il congresso ma vogliamo le terre. Vogliamo il lavoro. Vogliamo il lavoro dentro la scuola e la scuola dentro il lavoro. Non va detto? E’ di destra! Svendi il sapere! Svendi la Scuola! Perché il sapere deve essere inutile mi dicono, io dico che il sapere deve essere disinteressato, non inutile. 

Sebastiano non ha un lavoro, centinaia di migliaia di ragazzi non hanno un lavoro, mi si dice che le imprese non hanno lavoratori formati e io vi chiedo: chi li deve formare? Mila, di che parli? Basta, hai un'ossessione… in gioco c’è la scissione del PD, stai facendo retorica. Se puoi dire con certezza che lì c'è una mano, allora ti accordiamo tutto il resto. Se puoi dirmi con certezza che parleremo di lavoro e di libri e cercheremo i modi dell’oggi per farlo, i modi utili, non quelli inutili, allora ci accordiamo su tutto il resto, caro compagno. Puoi dirmi con certezza che parleremo di lavoro per risolvere i problemi di Sebastiano e non i nostri? Che sia il fine di tutto e non la strumentalizzazione perenne? Che c’entra la data? Questo non capisco. Che data? Devo preoccuparmi perché sono così stronza da dire a chi si preoccupa della data ma vai a quel paese? Dimmi con certezza che lì c’è una mano e non una trappola. Ma tu l’hai capito esattamente perché gli insegnanti italiani si sono arrabbiati? O ne fai piede di porco per aprire le porte? Dimmi con certezza che lì c’è una mano e non una questione di liste, di leadership. Dimmi con certezza che siamo la sinistra che serve oggi, adesso! Non quella che serve a noi stessi. La sinistra disinteressata e utile.

Ho imparato a leggere anche su questo giornale su cui oggi scrivo, che era messo là da leggere nella sezione che stava nel paesino dove sono cresciuta e dove a volte mi tenevano buona. Unità e unitevi stavano dunque accanto a c’era una volta... - Un re! - diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. Riecco la retorica, no, ragazzi, avete sbagliato. C’è che nessuno può dar lezioni di storia e tutti possono darla nelle discussioni di questi giorni. C’è che nessuno ha ragione e tutti hanno ragioni, tutti hanno orgogli e tutti hanno ferite. La mia? Ve lo dico subito: non potrò mai passare sopra al fatto che si sia strumentalizzata la Costituzione. Non potrò mai passare sopra al fatto che ancora si giochi col metodo democratico che è carne e sostanza della nostra storia. Chiedete scusa agli italiani, e se ne riparla subito. 

Per il resto venga chi vuole, vada chi vuole, anch’io sono andata e tornata, senza tanti drammi. Purché si parli di lavoro e libri e purché troviamo utile parlare con Ada tanto quanto parlare tra di noi, anzi di più. Sembra semplice, il difficile è trovare il linguaggio e il modo, attenti a noi, il limite del linguaggio è il limite del mondo. 
E’ il partito più grande, quello degli inascoltati. Che se ne sta sonoramente fregando della data del congresso del PD.

mercoledì 22 febbraio 2017

Il PD e Giovanni dalle Bande Nere


Vorrei una politica che parli di Politica. Non di caratteri, di rancori, di simpatie, di antipatie. Di Politica.

Il limite del linguaggio è il limite del mondo. Cosa rimane, tra le pagine chiare e le pagine scure? Tra il permettetemi di dire e il diciamo? Tra il “nemmeno una telefonata” e il “che brutto termine la rottamazione”? Cosa rimane tra il “sei arrogante” e il “sei rancoroso”? "Sei anaffettivo"??!!Può essere questo il terreno del contendersi di una politica che politica non è? Mi verrebbe da ridere se la questione non fosse così seria. 
Il direttore de L'Unità ha dedicato, disperato dall’assenza di argomenti, basito per non volere trasformare il giornale in una rassegna di cuori infranti ed emotività offese, un numero intero alle parole delle donne su queste cinque giornate del PD. Come per dire: vediamo se le regine delle emozioni riescono a commentare l’incommentabile e a cucinare un pranzo appena commestibile. Mi viene solo da dire che meno male che il ciclo lo abbiamo le donne sennò l’umanità si sarebbe estinta, se la lucidità necessaria in questo momento è capace di produrre solo reazioni sui comportamenti personali e non propositi di direzioni politiche. 
Io, tra le righe delle donne, anche tra le mie, se avessimo dovuto commentare proprio quello, ho letto solo sbigottimento. Ciascuna di noi ha scelto di cambiare discorso, o meglio, di arrivarci al discorso eluso:  esistono dei motivi politici e non personali su cui il PD debba dividersi? La mia risposta è no. E’ una scissione? Su queste basi? L’arroganza, il rancore, la telefonata, o la data? La mia risposta è no.  Esiste il tema “il PD non è mai nato perché era la gelida somma tra DS e Margherita”? La mia risposta è no, perché io non ero né DS né Margherita. E come me tanti e tante. Il PD era, è, e doveva essere altro, e, se posso affermarlo, è altro. Coloro che si attardano a esaminarlo con quelle categorie, da dentro come protagonisti o artefici e da fuori come osservatori, falliscono le analisi quanto le azioni.  
C’è la politica in questi scampoli d’inverno? La mia risposta è no. E allora mi chiedo e vi chiedo: può essere che lo sgomento per il vuoto di soluzioni di alcuni esponenti illustri del partito democratico, poiché deve essere riempito da qualcosa per una banale legge fisica del vaso comunicante, viene riempito da ciò a cui stiamo assistendo in assenza di Politica? Schermaglie di aggettivi. E' un vuoto che non riguarda solo il PD, attenzione, ma riguarda le categorie di elaborazione delle politiche basate sui meccanismi tradizionali della tattica e della strategia, della contrapposizione politica corpo a corpo, oggi totalmente inadeguate. 
Nel film Il mestiere delle armi, sugli ultimi giorni di vita di Giovanni dalle Bande Nere, Giovanni, consapevole della scarsità delle proprie truppe, adotta una tattica basata sull'impiego di un manipolo di cavalleggeri e archibugieri a cavallo. Attacca con brevi schermaglie i vettovagliamenti degli imperiali in modo da ritardarne la marcia. Ma verrà colpito dal cannone, la nuova arma, ferito, ne morirà. I falconetti del generale von Frundsberg segnano la fine di un'epoca: il medioevo e l'età dei cavalieri e dei loro castelli sta finendo sotto i colpi dei cannoni che mettono presto fine ai lunghi assedi feudali. Il corpo a corpo lascerà il passo alle grandi guerre, con ben altre armi e difese e offese, arriverà a passi veloci il Rinascimento, fatto di luci possenti, d’arte e di pensiero, come di ombre di guerre e di veleni. 
Tu, pulzella cortese come ti avventuri a parlar di guerra e non di pace? Non lo so, le immagini della mente fanno giri strani e se ti imponi di non pensare alle liti, alle liti pensi; come il giochino del “non pensare all'elefante!” e subito l’elefante ti compare in mente. 

In queste ore miei illustri compagni di partito mi sembrano, ci sembrano simili a tanti Giovanni dalle Bande Nere, pronti a cadere metaforicamente sotto il peso dei cannoni, delle guerre più grandi, di pensieri più grandi, di problemi più grandi, di mutamenti in corso, veloci, velocissimi, che forse sanno adesso di non sapere vincere, perché non hanno armi per vincerle, mentre si attardano a caricar un superato archibugio. Armi politiche, filosofiche, epistemologiche in grado di proporre soluzione, o anche solo comprensione, mi vien da dire. Si attardano in schermaglie per ritardarne la marcia.

Invece di parlare di lavoro si parla d’arroganza. Invece di parlare di Europa si parla di telefonate. Invece di parlare di immigrazione si parla di date. Invece di parlare d'innovazione si parla di regolamenti. Invece di parlare di nuove galassie si scava il pozzo vecchio e secco ancora un po' più giù per vedere se c'è acqua chiamando gli assetati. Che già sono vicini a una sorgente. Il cannone e il falconetto.
Il limite del linguaggio: se parli e vivi di emotività sei a mani nude, hai ancora meno dell'archibugio. Forse azzecchi l'analisi ma non proponi soluzioni adeguate. Dov'è il cannone? La politica..dov'è? 

Come diceva Orwell, le azioni anche se sembrano prive di effetto non per questo risultano prive di significato. Germi dei pensieri grandi si intravedono già, a chi li vuol vedere. E nemmeno son tanto nuovi i codici. Basterebbe alzare la testa e guardare un po’ più in là dei propri piedi. 

Non guardarti i piedi ma dove li metti. Non guardare la strada, ma dove porta. Fai Politica, cazzo. Arma i cannoni. Li abbiamo già. Te lo dico sottovoce, li abbiamo già, non guardarti i piedi. Li abbiamo già. Non so se sei consapevole come Giovanni della scarsità delle tue truppe; se ti attardi anche tu in schermaglie, compagno, sei superato, sei il problema, sei eliminato.

domenica 5 febbraio 2017

Leggere, scrivere e fare di conto



Gli studenti italiani non sanno leggere e non sanno scrivere. Gli studenti sanno leggere e sanno scrivere. Entrambe le affermazioni sono vere ed entrambe sono false perché la realtà è fatta, in questa come in altre questioni che riguardano il sistema d'istruzione italiano, di più di 50 sfumature di rosa, non di nero, non di bianco e non di grigio. 
Proverò a spiegarmi meglio semplicemente mettendo in fila una serie di considerazioni né ottimistiche ne pessimistiche, semplicemente realistiche. Quel che scrivo è frutto di saccheggio nelle opere di grandi maestri, come De Mauro, Vertecchi, Visalberghi, nei rapporti di alcune rilevazioni nazionali e internazionali e hanno lo scopo di dare il quadro delle contraddizioni, come premessa per qualche soluzione. 

Gli studenti italiani dunque scrivono male perchè scrivono ma, soprattutto, leggono poco? Vero. Però leggono di più degli adulti. Partiamo da questo. Le rilevazioni Ocse Pisa sulla comprensione del testo dei quindicenni nel mondo ci dicono che l'Italia è più o meno a metà in una classifica di 68 paesi. Potremmo stare più su, è vero. E questo è il dato negativo, il dato positivo è che guadagniamo posizioni. 
Preoccupanti invece sono le rilevazioni Ocse Piaac sulle stesse competenze della popolazione adulta: in quella classifica siamo ultimi. E' un dato noto agli esperti, poco noto ai più, affatto ai media, che sovrappongono le due rilevazioni confondendo cavoli e merenda.

E' un dato che fu la base, insieme ad altri studi, per le riflessioni sull'analfabetismo funzionale degli adulti che tanto allarmava De Mauro. Quell'allarme venne raccolto dal governo Fioroni, ne nacque una commissione interministeriale presieduta dallo stesso De Mauro, cadde il governo e addio provvedimenti conseguenti. Ho riportato i risultati medi di quelle indagini. Disaggregando i dati la situazione si complica: perchè poi bisognerebbe operare dei distinguo ulteriori e capire a cosa ci riferiamo: ai divari nord sud? ai divari di contesto? ai divari tra tipi di scuola. 
Se consideriamo l'ultimo divario, ad esempio, sempre in Ocse Pisa i nostri liceali risultano tra i migliori, fosse per loro saremmo insieme a Finlandia o Canada, per dire. I nostri liceali però sono una percentuale del totale, non il totale.
E comunque anche di loro dovremmo dire che dovrebbero leggere di più e scrivere meglio, figuriamoci la platea intera dei nostri studenti. 

Se all'università i seicento docenti che hanno firmato l'appello si vedessero arrivare come negli anni che furono solo liceali forse non si lamenterebbero così, o forse sì? 
Rimane il fatto che i rendimenti oggi come ieri sono ancora legati ai contesti e ai tipi di scuola e alla geografia economica e sociale del Paese, oltre che al titolo di studio dei genitori e questo sì che sono i fattori  su cui bisognerebbe agire con massicce azioni a favore del recupero degli ultimi, che si concentrano negli istituti tecnici e professionali, al sud o nelle periferie, nel ceto medio basso, quello bassissimo nemmeno arriva all'Università.

Andiamo avanti. Il 1962 segna la nascita della scuola media unica, figlia di un lavoro comune, di un sentimento collettivo di cui il grande Visalberghi fu ispiratore. Era il grande desiderio di tanti: l'istruzione pubblica per tutti, indifferenziata. 
Sono trascorsi 55 anni mica tanti, eppure tanti sono i miglioramenti rispetto ad allora. L'impero austroungarico aveva avuto l'istruzione pubblica per tutti almeno cento anni prima, per dire. 
E così nei paesi protestanti la lettura è sempre stata favorita proprio dalle indicazioni post luterane mentre da noi rimane, finita la scuola, il vezzo di pochi più che il bisogno di tutti. 
In 55 anni comunque abbiamo portato tutti a scuola, tutti, il tasso di analfabetismo di base si è azzerato, il tasso di dispersione fino al diploma si è ridotto di più della metà, da migliorare il tasso di laureati. Non va tutto bene madama la marchesa ma neanche male. 

Che cosa è accaduto? Perché  i docenti hanno segnalato l'allarme?  Si è abbassata la qualità dell'insegnamento e del sistema d'istruzione, come lamentano stracciandosi le vesti in tanti? O, allargando di fatto l'ingresso a più alti gradi d'istruzione ai figli degli ultimi, si è abbassata la media dei rendimenti? Io direi la seconda.
Se gli adulti sono ultimi e  i quindicenni a metà verrebbe da dire che la scuola è migliorata non peggiorata e che sono i coetanei di Cacciari o di Galli Della Loggia a presentare problemi di analfabetismo maggiori. In realtà forse non è nemmeno così e il tema è un altro: leggere e scrivere sono funzionalità, si acquisiscono e migliorano praticandole, se non si praticano si perdono. Si può parlare allora di una progressiva perdita di tali competenze mano a mano che in Italia si cresce, poiche la media degli italiani non pratica più tali competenze? Forse sì e sarebbe il caso di verificarlo. 
La sfida lanciata da Visalberghi e da Don Milani rimane.
Per quel che riguarda il sistema scolastico, mi spiace per i catastrofisti, non siamo regrediti ma dovremmo andare più avanti: non solo non perderne uno, ma portare tutti al successo formativo.

Tutti vuol dire tutti e successo formativo non significa un voto in pagella ma il diritto di godere e  comprendere arte e conoscenza, e dunque "frequentare con profitto", sia che si frequenti un liceo sia che si frequenti un istituto professionale. Saper leggere, scrivere e fare di conto in modo adeguato e corretto: è in fondo ciò che chiedono i 600 docenti.

Mio padre è un maestro in pensione, insegnava in periferia. Io sono una professoressa delle"medie", 
anche io insegno  in periferia e ho chiare le differenti opportunità di partenza di alcuni bambini rispetto ad altri: di offerta formativa formale come anche informale, di asili, che tanto contribuiscono al livellamento delle differenze in entrata, di contesti familiari favorevoli o meno favorevoli, se non ostili, anche per insufficienze di reddito, non solo di progetto di vita. Su quelle differenti opportunità di patenza si dovrebbe agire e su massicce azioni di recupero degli ultimi, lo dico e lo ripeto ovunque e in ogni occasione. 

Aggiungo anche che il mio maestro mi ha insegnato che scopo della scuola del ciclo primario è leggere, scrivere e fare di conto. Lo è ancora? Sì. Lo han dimenticato alcuni? Sì. Lo stiam praticando come era in passato? Forse. Dovremmo aggiungere o mutare qualcosa? Secondo me sì, soprattutto nelle abitudini mentali.

Lo dico a me stessa, ai docenti, ai genitori, a chiunque: leggere significa che dobbiamo concepire tale attività come diletto ma come pane quotidiano, lo stesso vale per la scrittura a mano, cioè la scrittura corsiva, vero prof. Vertecchi? E lo stesso vale con il far di conto.

Anche nell'epoca dell'innovazione digitale? Certamente. Leggere, scrivere a mano e fare di conto.

Le innovazioni didattiche, con l'uso delle tecnologie, 
(da non confondere con le competenze digitali e/o informatiche) mi riferisco sempre al ciclo primario,  sono utili, perché facilitano il dialogo con chi cresce oggi, ma solo se piegate a queste tre finalità. Solo se si hanno chiari gli obiettivi didattici, sennò è solo fuffa. 
Non sto dicendo cari colleghi, che bisogna esorcizzare il digitale, ma che questo concorre alla didattica, si piega alla didattica, ma non è alternativo alla didattica. Io credo che oggi come ieri tutte le metodologie didattiche nel ciclo primario debbano concentrarsi su quei tre fini: leggere, scrivere e fare di conto. E tutto quel che aiuta, parlare un'altra lingua, fare sport, fare innovazione, ben venga. 

Ho assolto la scuola? Ho colpevolizzato la scuola?

 No, ma è un sistema che regge e che le riforme non distruggono, né innovano radicalmente, checché ne dicano tanti, compresi i riformatori. Tanto è complessa e vasta e frammentata la galassia scuola. 
Semmai vorrei capire il ruolo e il peso di altre agenzie educative, tanto più pesanti quanto assenti sono le famiglie, tanto più negative quando esempi di incultura, di maleducazione, di ignoranza. 

Quello su cui c'è il nulla, il vuoto, è invece il segmento della popolazione adulta. 

Vero è ben che, per quel che riguarda il percorso formativo formale, Scuola e Università,  andrebbe sempre rinnovato lo sforzo organizzativo, "l'architettura di sistema", la messa a terra dei provvedimenti,  specie se portiamo avanti il concetto di autonomia responsabile, concetto rispetto al quale chi scrive non è affezionata.

Ultime considerazioni: in Italia la scuola viene concepita come parte della vita, non come la vita stessa. Dovremmo cambiare concezione e questo lo si fa con azioni di sistema, perché è il sistema poi che crea i sentimenti. Leggere, scrivere e fare di conto sono azioni quotidiane indispensabili come mangiare, bere e respirare. Ripetiamocelo da mattina a sera tutti quanti e pratichiamole, tutti. Leggere, scrivere a mano e fare qualche conto a mente. Da 5 a 100 anni.

 E allora, siccome dirlo non basta,  compito del governo è supportare leggi, provvedimenti 
 e risorse, non necessariamente scolastiche, per favorire il cambio di opinione e diverse abitudini, 
Che risultano urgenti e importanti come l'alimentazione corretta, se non di più. Con una certezza: molto è stato fatto, molto resta da fare e ha che fare con la giustizia sociale, con la democrazia e con la ricchezza della nostra nazione