Non è la specie più intelligente, nè la più forte a resistere, ma quella che muta
(Charles Darwin)
E’ stato presentato da pochissimi giorni il Piano Nazionale Scuola Digitale.
Il Piano nasce intanto dall'esame di ciò che già c'è e si fa nelle scuole nel campo dell'innovazione didattica. Nasce dall'esame di ciò che manca. Dallo studio di ciò che si fa altrove, con il vantaggio di apprendere dagli errori degli altri. Nasce dalla notra tradizione di profonda innovazione pedagogica. Nasce dal pensare che la scuola debba guidare il cambiamento e non subirlo.
Nasce dalla testa e dall'entusiasmo di quanti ci han messo passione, lavoro e conoscenza su tutti Damien Lanfrey e Donatella Solda, della segreteria tecnica della ministra Giannini, dalla forte spinta su questi temi data dal presidente del Consiglio Matteo Renzi, che sta investendo tantissimo nella banda larga, pregidiziale per far sì che molte delle cose scritte nel piano possano diventare realtà. Dai consigli di tanti altri (Damien li ha elencati in un suo articolo http://damienlanfrey.nova100.ilsole24ore.com/2015/10/30/abbiamo-un-piano-e-digitale/ ) e anche dal mio contributo, cosa di cui vado orgogliosa.
Ma questo è uno scheletro, un bel foglio bianco tutto da scrivere e chi lo scriverà sono le scuole, i docenti, le studentesse e gli studenti. Perchè quello che dà il piano sono spunti, ma metodologie, obiettivi, premesse, devono trovarle le comunità scolastiche, com'è giusto che sia, affinchè funzioni come metodo di apprendimento e non di allenamento, aprendosi all'innovazione, al dialogo tra pari e al rapporto col mondo.
Però non ci sono più scuse: enorme dispiegamento di mezzi su più fronti, un miliardo
di euro in pochi anni per l’innovazione del mondo della scuola; su tutti
l'investimento nella formazione e informazione dei docenti. Si parte da loro. Facendo
tesoro degli sbagli compiuti in questo ambito9 delicatissimo da altri Paesi. Il
Piano infatti parte da dove l’approfondito studio dell’Ocse dedicato al
rapporto tra scuola digitale e apprendimenti punta l’attenzione: e cioè dalla
consapevolezza didattica dei docenti. Laddove si è investito su tale
consapevolezza gli apprendimenti hanno avuto un segno più. La dove gli
investimenti sono stati solo di carattere strumentale o tecnico i rendimenti
scolastici non hanno avuto gli esiti sperati, anzi.
Il Piano Nazionale Italiano sul Digitale a
scuola indica una via precisa ed vola alto: l’obiettivo non è solo quello di
dotare di competenze digitali gli studenti e le studentesse in Italia, il che
sarebbe già tantissimo, ma è quello di fornire ai docenti formazione e
riflessioni tali per comprendere e far sì, loro, non altri, che il digitale
possa essere strumento per implementare le competenze chiave: dalla
comprensione del testo, alla didattica delle scienze e della matematica, alle
competenze di cittadinanza a tutte le
altre. In una parola: si possono crescere nuovi cittadini del mondo globale capaci
di districarsi nel mare magnum della rete, capaci di sviluppare senso critico e
creatività nella rete e con la rete, capaci di costruire una nuova società e
una nuova economia della conoscenza? Capaci di produrre cultura e arte, cioè la
weltanschaung di questi tempi, nel
senso più alto dei termini. Chiunque capisce che l’obiettivo è altissimo e
comunque antico, perché esige sperimentazioni e innovazioni didattiche nel solco
della nostra tradizione pedagogica, su tutte quella montessoriana.
Dare un profondo senso pedagogico e didattico a tutto il processo con linguaggi
e strumenti nuovi questo raccomanda tra le righe il Piano Nazionale della
Scuola Digitale: ecco perchè i docenti saranno i veri protagonisti di questa
sfida che devono accogliere, fare propria e guidare.
Il Piano Nazionale della Scuola Digitale" dunque non guarda a
"un semplice dispiegamento di
tecnologia" negli istituti del Paese, ma "risponde alla necessità' di
costruire una visione di educazione nell'era digitale". Si parte
dalle infrastrutture, dalla banda larga, ma il fine è arrivare
all'"innovazione del processo educativo",
basato "sull'interazione costante" degli studenti.
Cioè passare dalla trasmissione di conoscenze alla condivisione e formazione di
competenze. E’ un cambio di paradigma profondo che può rendere protagonisti
assoluti i docenti, togliendoli da una marginalità sociale di dibattito tutto
esclusivamente professionale o legittimamente corporativo a una centralità di
sviluppo culturale e collettivo del Paese intero. Siamo a una svolta profonda,
la Scuola può assumerne le redini?
Il perno è dunque la
didattica delle competenze, per chi non lo sapesse sono quelle otto “competenze
chiave” definite in sede europea nel 2000 che il sistema d’istruzione di
ciascun paese UE deve trasferire agli studenti e alle studentesse per formarli
come cittadini globali. Alcune facili e immediate a comprendersi, come la
comprensione di un testo scritto complesso e il ragionamento logico-matematico
(leggere, scrivere e fare di conto sono, oggi come ieri, la base per tutto, il
punto è come), altre meno immediate come l’autoimprenditorialità, la capacità
di imparare ad imparare e altre ancora. Si ritiene che tali nuove competenze
siano facilitate da nuovi linguaggi e innovazioni didattiche, con i nuovi
processi di insegnamento e apprendimento, che sedimentino i saperi tradizionali
ma li collochino nel mondo di oggi, che è digitale. Piaccia o non piaccia. Che ha come parole d’ordine condivisione,
cooperative, sharing, circolarità,
laboratorio...parole che i nostri adolescenti conoscono benissimo ma praticano
pochissimo a scuola.L'obiettivo finale è quello di favorire, senza subirla
la trasformazione culturale che sta riguardando ogni ambito dell'esistente
e la scuola, da schiava dei software o ignara dei software deve porsi a timone,
a guida, non sentinella delle macchine ma padrona, in un processo che partendo
dalla scuola raggiunga tutte le famiglie, da Nord a Sud, dal centro alla
periferia.
Il "Piano nazionale per la scuola digitale", presentato ieri al Miur,
e' in sostanza un manuale operativo, indirizzato a tutte le scuole, che spiega
quali innovazioni saranno avviate a livello nazionale da qui al
2020.
Quattro gli ambiti di lavoro (strumenti, competenze e contenuti,
formazione, accompagnamento delle
scuole), per un totale di 35 azioni. Tra queste: la fibra e banda ultra larga
alla porta di ogni scuola, il cablaggio interno di tutti gli spazi delle
scuole, gli ambienti digitali per la didattica, le biblioteche digitali
scolastiche, il registro elettronico e il pensiero computazionale per
tutte le scuole primarie, risorse per pagare il canone di connettivita', ma,
soprattutto, la formazione in servizio per tutto il personale, e una nuova
strategia nazionale per l'apprendimento pratico e i laboratori, un quadro
comune per le competenze digitali degli studenti, un responsabile per il
digitale per ogni istituto ("animatore digitale") che accompagni e
aiuti i colleghi alla scoperta delle buone pratiche che già si compiono e che
sperimenti altro ancora .
Del miliardo a disposizione, "600 milioni saranno investiti per la
parte infrastrutturale, 400 per la parte software, cioe' sviluppare competenze,
monitorare lo stato dell'arte, formare l'intera comunita' scolastica
dagli insegnanti al personale amministrativo” in un processo che sarà in
larga misura peer to peer.
L'innovazione dovrà far parte anche del mondo accademico per mutare il percorso
della formazione iniziale dei docenti, su cui il Parlamento ha dato delega al Governo.
E in quella formazione larga parte avranno la didattica, la pedagogia, la
metodologia e l'innovazione e la sperimentazione. Scienze e metodi che hanno
tenuto lontani finora i cosiddetti docenti disciplinaristi, nonostante proprio
la didattica delle discipline abbia bisogno oggi di nuove riflessioni e
sperimentazioni, su tutte la matematica, esattamente per dare "testa
pedagogica" a tutto il processo di innovazione a scuola.
La Scuola non può rimanere indietro, anzi il contrario, e ancora, non può essere ancillare: è la Scuola che deve
porsi a guida, per investire sulla conoscenza. E’ una sfida che il Paese pone
alla Scuola e che la Scuola deve raccogliere. Perché è vero, qua si parrà la
sua nobilitate, nella capacità di assumersi responsabilità dei cambiamenti
utili per le generazioni di domani pur rimanendo se stessa.