di Mila Spicola
commento comparso su L'Unità in edicola il 16 dicembre 2016
Dopo la
botta referendaria, perché di botta si tratta cosa possiamo fare se non
leggere? Leggere, leggere, leggere per trovare non dico risposte ma ascolto, ed
è già una risposta. A come Ascolto, stiamo ascoltando quello che ci hanno detto
il 60% degli italiani col loro no e più del 70% dei siciliani e dei campani?
Perdonate la prospettiva, non è campanile, è coscienza del peso specifico. B
come Basta, leggo questo in quel no, basta, rimane da capire la natura dei
basta e metterli in fila, ma sono chiarissimi, chi non li vede è perché non li
vuol vedere; basta disoccupazione, basta fame, basta corruzione, basta
ipocrisia, basta menzogne, basta assenza di partecipazione e coinvolgimento. C
come Calvino. Nei suoi “Appunti per un programma politico per i prossimi
vent’anni” chiede, a me che faccio politica, di “puntare solo sulle cose
difficili, eseguite alla perfezione. Anche fare dei calcoli a mano: delle
divisioni, delle estrazioni di radici quadrate, delle cose molto complicate.
Combattere l'astrattezza del linguaggio che ci viene imposto, con delle cose
molto precise. Le cose che richiedono sforzo; diffidare della facilità, della
faciloneria, del fare tanto per fare."
Per grandi linee abbiamo
davanti a noi chiari i problemi: la mappa del no coincide con la mappa della
fame. Il lungo inverno del nostro scontento. Per me è questa la priorità.
Durante la campagna referendaria chiedevo “perché voti no?” Nella graduatoria
delle risposte possibili come delle impossibili in cima c’era il lavoro. Con
una connotazione precisa: l’incertezza, dolorosissima sul viso dei giovani. La
mappa del non lavoro giovanile è così grande da coincidere spesso con la mappa
del no, coprendo e nascondendo completamente le ragioni del quesito referendario.
Urge
un’analisi comune del voto. Di analisi singole ne stiamo facendo a iosa, ma la
politica è quella cosa che si sortisce insieme, sennò rimane puro esercizio di
stile. Urge trovare un modo per ridare protagonismo sociale a quanti adesso lo
chiedono, la richiesta ci viene chiarissima dalla quantità dei voti.
L’indifferenza opera potentemente nella Storia e questa volta no, non lo è
stata l’Italia indifferente e questo fa eccome la differenza, “la disaffezione
alla politica” ha assunto il volto nuovo di un assalto alla politica, di un
assedio. Beh, come cantava il poeta: “il tuo amore è un assedio”, c’è voglia di
fidarsi e di affidarsi pur nella diffidenza. Tanti e tali sono i problemi.
Qualcuno ci sta chiedendo aiuto.
Urge
una riflessione sul partito, sui partiti. Come luogo per mettere intorno a un
tavolo le persone per discutere dei problemi. Corpo intermedio necessario. Urge
una riflessione sul nostro partito, il Partito Democratico, su
struttura e organizzazione, innovando ma non perdendo identità. Fabrizio Barca
ossessivamente lo ricorda. Urge anche una discussione sul senso del
nostro Partito, cioè ritrovare i temi e i modi di una politica
sociale. Non so se mi convince la sua proposta, non so se mi convince la
mia, perché anche io ne avrei una e mi piacerebbe parlarne da qualche parte,
una proposta va fatta, perché tra le cose carenti la più carente, in questa
campagna referendaria, come in quella delle amministrative immediatamente
precedenti, è stata la struttura centrale e periferica del partito; ancora una
volta, va fatta insieme, in una riflessione comune, di grazia: dove? Quando?
Come?
Il tema
dei divari. È il tema dei temi, insieme a quello del lavoro. Geografici,
Economici. Culturali. Sociali. Di genere. Formativi. E potrei continuare.
“ Le cose che richiedono sforzo; diffidare della facilità, della
faciloneria, del fare tanto per fare.” Evitiamo le caricature sul Sud, sui
giovani, sulle donne, sugli insegnanti e via dicendo. Riflettiamo insieme su
questi temi, temi possenti, potenti e di sinistra, mettiamoci intorno a un
tavolo, questo è fare politica, mettersi intorno a un tavolo, possibilmente
coinvolgendo e facendo partecipare volta per volta i protagonisti, le persone
del Sud, i giovani, le donne, gli insegnanti, che non sono personaggi in cerca
d’autore o portatori d’interesse di categoria o di corporativismo, sono
esattamente le persone alle quali dovremmo risolvere i problemi ascoltando quei
problemi.
Ogni crisi è opportunità, non opportunismo; evitiamo di dare
uno spettacolo di opportunismo in questo momento, ogni riferimento al governo
in carica è puramente casuale e voliamo alto verso le
opportunità. Spieghiamolo bene quel che si sta facendo adesso e perché,
come ha detto Cuperlo in Direzione, il rischio, nel rappresentare opportunismi
e non opportunità, non è il voto, ma il risultato. Il rischio è
confondere i mezzi coi fini, noi siamo i mezzi, i fini sono i problemi delle
persone, non viceversa. Non ho usato la parola populismo, diffidare della faciloneria.
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