lunedì 16 gennaio 2017

Contro la violenza sulle donne: educare per prevenire.


Contro la violenza sulle donne: educare per prevenire.


L'articolo reca la data del giugno 2015. Lo pubblico nuovamente mossa dalla rabbia causata dai femminicidi di queste ore.

Da Duino a Lampedusa ogni 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, ogni 8 marzo, giornata internazionale delle donne, e ogni 17 maggio, giornata internazionale contro l'omofobia, ci sono iniziative, manifestazioni, eventi contro la violenza sulle donne e le discriminazioni di genere. 

Dovrei essere soddisfatta per come la «questione» violenza di genere, non sia più negata, minimizzata o rimossa, come accadeva fino a pochissimo tempo fa. 
Rimangono sempre di meno coloro che  dichiarano come un centinaio di vittime di femminicidio siano «statisticamente irrilevanti». Eppure, dopo la manifestazione del Family Day contro le coppie di fatto e "l'ideologia gender", torno ad essere perplessa perché sento che siamo pronte a un cambio di passo ma non so se il verso mi convinca più di tanto. 

La violenza sulle donne, sui gay, sui diversi di genere e in genere (perchè includo nelle diversità anche disabili, persone di razze diverse, di religione diverse e ogni altro tipo di diversità) nascono sempre da uno stereotipo, anzi, anche lo stereotipo lo è, un atto violento, che costringe in gabbie di ruolo uomini e donne.
Contro lo stereotipo, ogni stereotipo, non vedo prese di posizione o battaglie, vedo solo conferme, soprattutto dai mezzi di comunicazione e informazione. 
Vedo tanta, tanta confusione e tanta tanta ignoranza.
Combattere lo stereotipo non significa affatto annullare o mortificare le differenze, anzi, il contrario. Significa educare al rispetto della propria autodeterminazione, alla libertà verso se stessi.
E' un discorso ozioso quello delle bambole, del rosa, dei trenini e del celeste.
Tutto si può fare, dice un mio caro amico, purchè lo decidi da solo o da sola e ne sei consapevole e fiero o fiera.
E chiunque è fiero della propria autodeterminazione è fiero dell'autodeterminazione altrui, non la vede come una minaccia o un errore.

Parrebbe dunque che l’angolo in cui viene relegata la donna pestata dalle foto del racconto collettivo sulla violenza di genere stia diventando esso stesso stereotipo potente, capace ahimè di peggiorare le cose piuttosto che sanarle, di aprire un abisso ancor maggiore tra uomini e donne, così come anche molti stereotipi sui gay, entrambi supportati da donne o da gay, e mi viene il dubbio che dalla rimozione del problema oggi si stia arrivando a una consapevolezza errata del problema che nulla di nuovo dice sui diritti delle donne, dei gay e delle diversità. Relegando ancora il tutto nel campo dell'eccezionalità e dunque della stranezza, e dunque dello stereotipo: siamo ancora alla fase donna debole da difendere? Donna in pericolo rimani a casa la sera? 

Quale stereotipo più falso quello della debolezza tout court delle donne?
Ci sono donne deboli e donne fortissime, fin da piccole, capaci di sfidare la morte e il mondo per un'idea, da Malala a noi stesse. E ci sono momenti e momenti della vita, prove e prove. In cui tutti, uomini, donne o gay o altro, siamo variamente deboli e variamente forti e nessuno stereotipo potrà salvarci, se non tale consapevolezza: che siamo variamente forti e variamente deboli in relazione a noi stessi o stesse e non in relazione a un ritratto collettivo.
Stiamo equivocando una debolezza femminile tutta da dimostrare: le donne oggetto di violenza sono per lo più donne forti e autodeterminate, così come fortissimo è un ragazzino che esce da casa coi pantaloni rosa, salvo poi essere investito da migliaia di proiettili culturali e sociali, così tanti da soccombere. Però da casa con quei pantaloni rosa era uscito, con che dose di coraggio lascio a voi definire. E' il nostro Rosa Parks nazionale quel ragazzino lì.
Ciò che viene avversato da chi rifiuta le diversità è il coraggio di mostrarsi forti, autonomi, autodeterminati, liberi. 
Il decreto Letta-Alfano contro il femminicidio, in modo inconsapevole e culturalmente immaturo, andava nel verso della conferma dello stereotipo della debolezza, è stato centrato più sulla tutela e la pena (necessarie, nessuno lo nega) che sulla necessaria e inderogabile prevenzione, anche e soprattutto di tipo educativo, cioè sul cambio di verso culturale che adesso dobbiamo fare, come collettività e come Paese. Adesso siamo al nocciolo del problema: cambiare strutture culturali profonde quanto errate. E chi lo dice che sono errate? La violenza. Nothing else.

Quando si dice educazione purtroppo abbiamo solo la scuola, meno alla famiglia, sempre più incapace di sostenere problemi educativi (altro che libertà di educazione delle famiglie..le famiglie non educano più da tempo, anzi, nel complesso diseducano), e meno che mai alla società intera, rivelatasi totalmente diseducativa, nei fatti e negli esempi. Non credo che qualcuno possa negarlo.

Rimane la scuola, ed è in quella direzione che dobbiamo tentare di andare. Lo han capito i nemici del rispetto per le differenze, i portatori inconsapevoli di paura e regresso, le sentinelle con la testa rivolta all'indietro. E infatti la manifestazione contro le unioni civili recavano accanto un "siamo contro l'ideologia gender a scuola". Non esiste l'ideologia gender, esiste però e forte la resistenza al miglioramento della situazione attuale da parte degli ambienti conservatori del Paese.

Da anni alcune di noi promuovono la necessità e il proposito di inserire nella scuola una cosa semplice e indispensabile per attraversare la vita da individui o da parti di consesso collettivo: l'educazione al rispetto delle identità di tutti, alla parità dei diritti e la lotta ad ogni discriminazione. E questa la si conduce isolando gli stereotipi e combattendoli. Ho detto gli stereotipi, non le diversità. Le gabbie, di ogni genere, non le individualità.
State tranquilli tutti: siamo diversi, siamo tutti diversi, ma uguali nei diritti.
Nessuno vuole annullare le diversità, ma molti vorremmo ribadire i diritti, l'eguaglianza dei diritti.
L'educazione ai diritti, su tutti quello alla libertà.

No, non è facile da comprendere né da praticare la lotta agli stereotipi a cominciare da noi adulti, quando tutto rema contro e anche la donna pestata, in modo sottile,  è diventato uno stereotipo. E sono stereotipi immensi la debolezza femminile e la forza maschile. Come quelli di razza o di diversità fisica. Difficilissimi da combattere.
Mi sembra che il racconto delle violenze, sulle donne o sui gay, sia così ossessivamente monocolore da aumentare tali stereotipi. 

Solo con cultura ed educazione si possono mutare linguaggi e comportamenti, e il linguaggio è veicolo potente di pensieri e convinzioni profonde, perché «i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo», diceva qualcuno. 
Per questo non sottovaluto col sorrisino la giusta determinazione della Boldrini a dare il nome di donna alle donne. E non sottovaluto nemmeno le reazioni, fintamente superficiali, o di scherno, sono potenti reazioni allo stereotipo, appunto.

"Prima ti ignoranopoi ti deridonopoi ti combattonoPoi vinci." diceva Gandhi.

I limiti del linguaggio sono i limiti del mondo. Non sono vezzi grammaticali le parole, ricordo che Averroè ci finì al rogo e fu una delle battaglie filosofiche più accanite quella medievale sui nominali. Se dai il nome a una cosa la riconosci in quanto tale, se non glielo dai non esiste. Semplice. . La cancelliera Merkel non è un vezzo lessicale. Cultura ed educazione per distruggere gabbie apparentemente indistruttibili.
La sostanza è la forma. I giornali sono pieni di donne accucciate nell’angolo con l’occhio pesto e di uomini neri ripresi di spalle, l'uomo nero è sconosciuto.
Ma quando mai? E' il padre, il marito o il fidanzato, con nome e volto; le cinque righe in cronaca sono pieni di «babysquillo» e di mamme discutibili. Degenere la mamma, ovviamente e i padri dove sono?  di donne da difendere persino dalle altre donne, "la svergognata come si è vestita"? di gay vestiti di rosa in quanto gay, e di gay che si offendono se gli dici che non devono vestirsi da gay.
Latitano dai media le facce dei criminali che hanno ammazzato le donne, poveri folli vittime di troppo amore; recano il silenzio le righe scritte di papà assenti, appunto, o non si vedono mai le facce di utilizzatori finali di sesso a pagamento con bambini. 
Sono tutti senza volto, in ombra, stranieri, questi uomini? Non esistono? Vogliamo negarli?

Eppure le statistiche ci forniscono l’incredibile numero dei 9 milioni di maschi italiani adulti che il sesso lo pagano. A prescindere dalla libertà personale e legittima di fare quel che vogliono, tale cifra non preoccupa nessuno? Nessuna redazione vuol metterla in prima pagina? O lo stereotipo è e rimane quello che il sesso è una colpa per le donne, che lo vendono, ma tutta salute per gli uomini che lo comprano? A me non sembra affatto un segno di sana e robusta costituzione. 

Lo stereotipo profondo è che la provocazione sia donna e la vittima sia il provocato? Ne parliamo? 
E che femminicidi, violenze, entità della prostituzione, discriminazioni di ogni genere, omofobia, sono legati da un filo sempre più stretto e visibile, chi lo dice?  Il filo di un'ignoranza palese e di una riflessione collettiva assente.
Numeri che disegnano ormai non tanto una questione femminile e nemmeno più un’abnorme questione maschile, ma un poderoso equivoco collettivo, innaffiato in ogni istante, di mascolinità bandita come orgoglio da non offendere mai. 
 
Le donne sono "capre", se osano definirsi al femminile, e lo dice anche gente di "cultura", segno che lo stereotipo non è figlio dell'ignoranza ma di una cultura che nega alle donne la presenza nel mondo in modo autonomo, libero, indipendente, creativo meno che mai anticonvenzionale.

Non si muta tutto ciò coi decreti dei delitti e delle pene, ma con rieducazione degli adulti, non solo dei nostri figli o figlie. Siamo tutti generatori automatici di stereotipi sessisti e ci stupiamo, ci indigniamo che i ragazzi imitino? I ragazzi imitano.

Acclamare come lecito l’uso mercificato del corpo. E i ragazzi osservano. 

L’uso del corpo attiene alla libertà, vero, ma sul “mercificato” in quanti si interrogano sul serio? 
Eppure il corpo è sacro quanto la persona. Lo è per l’uomo allo stesso modo di quanto lo sia per la donna? Mi sembra che il corpo maschile oggi sia più sacro di quello delle donne o sbaglio? 
Concetti difficili da far comprendere al direttore di un quotidiano, all’amico con cui discutiamo, figurarsi a un adolescente.
I ragazzi osservano e copiano.
Cosa voglio dire? Sto mescolando troppe cose?

No. Voglio dire che la lotta alla violenza di genere deve iniziare dalla lotta agli stereotipi di genere, e ancor prima, da un sano e profondo discorso sulla libertà individuale e sui diritti, sull'identità della donna in quanto eprsona e non in quanto pezzo di qualcun altro. Sul rispetto di se stessi e degli altri,.
La lotta alla violenza sulle donne parte da un confronto adulto su questi temi che ci riguarda tutti. Dovrebbe iniziare subito e subito diventa mai. Con ogni mezzo. E invece usiamo gli stessi mezzi, limitati, della rivendicazione. 

Vogliamo iniziare dalle scuole? Se da qualche parte si deve iniziare, cominciamo da lì. È stata accolta dal governo l’indicazione di adottare un codice antisessismo e di rimozione degli sterotipi nei libri di testo nelle scuole, il codice Polite, per il quale ci siam battute strenuamente per 20 anni. Il Codice è lì, è approvato, eppure è scomparso dai radar. E dunque? Le case editrici lo sanno? Sì lo sanno e persino il Ministero lo sa. Ritengo i libri di scuola, se rivisti in ottica non sessista, il più potente e semplice mezzo contro la violenza di genere che ci possa essere. Eppure stiam fermi. 

Credo che qualcosa stia mutando.
L'articolo di legge nella riforma sulla scuola che introduce l'educazione alle differenze come obbligo scolastico, non ideologico, ma per dare semplice attuazione all'art. 3 della Costituzione che tutti difendono ma tutti disattendono.
La Costituzione non parla ad altri, parla a ciascuno di noi. 
Per la prima volta una circolare è stata inviata dal Miur alle scuole nella giornata contro l'omofobia. Impensabile fino a qualche anno fa. E per la prima volta una preside si permette di inviare una lettera a tutti i genitori contro il nuovo corso che sta arrivando. Perchè? Perchè il nuovo corso sta arrivando.
Ma non basta ancora.
Per la prima volta un articolo di legge sta dicendo che si introdurrà l'educazione di genere a scuola. Non come insegnamento disciplinare ma come atteggiamento culturale trasversale.
Su questo si son messe ancora più in piedi e di traverso le sentinelle del passato.

E' possibile inoltre stringere un patto sano tra stampa, tv e Paese sui temi che riguardano la comunicazione e la rappresentazione delle donne? Dei gay? Delle diversità? Attenzione: nulla da imporre, ma tutto da riconsiderare. 
Non per limitare ma per riequilibrare un racconto sbilanciato e falsato.
Se lo proponi ti tirano le pietre: mai sfiorare il sacro recinto della libertà di stampa, sacrosanto. Ma dall'arbitrio chi ci salva? "Il lettore è il miglior giudice!" Il lettore? Quale lettore? I 9 milioni di uomini che hanno un rapporto patologico col sesso?
Il vero «problema» è l’autodeterminazione e la libertà delle donne? Dei gay? Dei migranti? Sembrerebbe di sì. 
Qualunque sia l’ambito, professionale, culturale o sessuale, il problema oggi come allora è la libertà: alcuni possono averla, altri no.
L’aggettivo "libera", messo accanto a donna assume significati diversi e immaginari antichi, inutile negarlo. E' un limite sociale ancora oggi. Libera come facile. Facile che vuol dire? Esistono uomini facili? C'è differenza? Eccome...
Il limite del linguaggio è il limite del mondo. Vede e rivela.
Ancora oggi la libertà delle donne è un boccone amaro per gli uomini e per le donne stesse, soprattutto quella sessuale e via via tutte le altre; ancora oggi l'unione civile di due persone dello stesso sesso è un'eccezione non digeribile; pensare poi al matrimonio o a crescere bambini impossibile.

Verrà il momento in cui l'amore differente diverrà indifferente? come anche un lavoro differente o una vita differente?
Sono astronauta e mi chiamo Samantha, e allora?
Sono single, non ho figli e non ne voglio, adoro i negozi di ferramenta e mi chiamo Mila, e allora?

Verrà il momento in cui essere differente sarà indifferente in termini di diritti e sarà importante la differenza solo in quanto persona?
Altro che stereotipi, abbiamo statue di bronzo aere perennium. Contro questo vogliamo e dobbiamo lottare e la conoscenza sui diritti è il mezzo più potente per abbattere gli stereotipi. 
Io dico, viva l’autodeterminazione delle donne, degli uomini, dei gay, dei disabili, degli uomini di ogni razza contro la violenza. E anche uno stereotipo lo è.

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