venerdì 3 giugno 2016

Siamo una cultura dello stupro: scriviamolo sul panno rosso.



Viviamo in una cultura dello stupro, regolata dal potere e dalla discriminazione, senza accorgercene.
Quello che sta accadendo in questi giorni, la sequela della morte delle donne, dell'abuso delle donne, sconvolge sinceramente tutti e tutte. A fronte dell'emersione estemporanea e mediatica di fatti che comunque non mostrano soluzione di continuità nemmeno quando non se ne ha notizia, è forse giunto il momento di una dolorosa riflessione individuale e collettiva. Morti, violenze, indignazioni. E poi opinioni, opinioni, opinioni. Foto, la vittima, il carnefice. L'uomo nero e la donna che non si sa perché di notte stava ancora in giro da sola in macchina. O la ragazzina che se l'è andata a cercare. Sono le parole dello stupro. L'abitudine di addossare le colpe alla vittima è qualcosa di triste, inquietante e rivoltante. È una pratica che generalmente viene perpetrata dagli uomini e dalle donne, relativamente sani e che vivono in una società in cui le relazioni sono regolate dal potere e dalla sottomissione. Questo tipo di cultura, che informa di se uomini e donne, consente agli uomini di commettere tale genere di reati e poi delegittimare le vittime. Lo stupro è il mezzo più crudele al quale un uomo fa ricorso per dimostrare a una donna "chi comanda".
Lo stupro non ha a che vedere con la sessualità, la quale per essere sana e consapevole esige educazione e conoscenza, cose che mancano completamente in Italia, lo stupro è assenza di sessualità e presenza di patologia; siamo un paese che sceglie sistematicamente di essere stato asessuato, di non fornire ai cittadini, in nessun momento della sua vita, nemmeno quella adulta, conoscenze essenziali in tale ambito, scatenando il peggio del peggio: siamo il primo paese per consumo di pornografia, siamo il primo paese per consumo di sesso a pagamento, siamo il primo paese per turismo pedofilo, siamo un paese di violenze sessuali e feminicidi, siamo un paese in cui le malattie trasmesse per via sessuale sono in aumento e siamo lungi da parlarne, da mettere tutto in relazione, o dal pensare che ci sia una grave patologia sociale in corso; anzi, abbiamo le sentinelle, con tanto di sostegno di intere forze partitiche, paladine della conservazione dello status quo dell'ignoranza e della non conoscenza, che hanno inscenato le umane e le divine cose contro l'introduzione di un'educazione di genere di base, non dico sessuale, ma di genere, cioè l'abc per far crescere ragazze e ragazzi almeno sereni e rispettosi nelle relazioni, almeno quello; lo stupro non è uno scambio di emozioni, non ha nulla di affettuoso. Lo stupro è una chiara dimostrazione della forza di una persona su un'altra. Lo stupro è violenza, è costrizione, è violazione, è tortura, è mancanza di rispetto, è crudeltà, è atrocità, è un crimine che può avere diverse facce. Più che essere accettato, la cultura dello stupro viene insegnata e perpetrata in modo potente e sommerso, ai ragazzi e alle ragazze, in modo inconscio, tacito, accettato, come un fatto naturale e sociale e storico. Fin da adolescenti, riceviamo lezioni su come proteggerci, e ai ragazzi come proteggere la "propria donna", destinata a essere protetta da alcuni perché soggetta a essere oggetto di stupro da altri. Nessuno che si chieda come proteggere gli uomini o rimuovere dagli uomini questo stereotipo potentissimo della loro naturale propensione alla violenza, specie sulle donne.
È un dato di fatto che, poiché apparteniamo al genere femminile, prima o poi verremo attaccate, violentate (in realtà, si stima che una donna su cinque sia stata vittima di abusi sessuali nel corso della sua vita). In ogni caso, i ragazzi imparano presto il culto del "fallo", delle gambe aperte e dell'essere legittimati a comandare, al comando. Le donne non comandano, se lo fanno sono viste con sospetto e diffidenza e non vengono accettate come leader in primis dalle donne stesse, troppo forte è la cultura della sottomissione solo al maschile. A meno di non rinunciare alla femminilità, se la conservano, tale femminilità passa prepotentemente e sempre in primo piano rispetto alla leadership, trovando in essa e solo in essa principio e fine agli occhi di tutti, aggiungo di tutte. A meno che tale femminilità non trapassi subito in quella di madre o nonna, dunque donna matura. Ed è uno dei segni della rinuncia sociale e collettiva alla leader hip della donna in quanto persona avente una leadership e basta, e non in quanto funzione naturale, mamma, madre, o cosa, bella o brutta. È un ciclo sbilanciato quello di un'educazione e di un sistema socio culturale siffatto che si trasferisce a chi cresce attraverso la totalità dei messaggi e dei linguaggi esistenti, a prescindere da ogni iniziativa apertamente "contro la violenza sulle donne", il simbolico introiettato e manifestato che respirano intorno ovunque, nei comportamenti e nelle parole e nei fatti intorno, dice e rappresenta altro e condurrà questi adolescenti all'età adulta. Con un coacervo di dubbi e mancate educazioni indispensabili, su tutte l'educazione sessuale, convitata di pietra di rapporti dissolti, assolti o non risolti, con se stessi e con l'altro e l'altra. Perchè il sesso appare e scompare di volta in volta come strumento, obiettivo, arma, canale, dominatore, rimozione, e tutto quel che ci viene in testa. Ma non come educazione, e tale dovrebbe essere innanzitutto. Nulla rema oggi in Italia contro una presentazione e rappresentazione e funzione e azione della donna di tipo diverso. Sicuramente non lo fanno nè il sistema legislativo, nè quello comunicativo, nè quello informativo. Anzi. In un circolo vizioso tra società immatura e cultura immatura. A prescindere da ogni educazione scolastica contro la violenza sulle donne, tale violenza, se non viene identificata, limitata, definita nella sua vera essenza e origine, trova feroci e insospettabili modalità di generarsi e autogenerarsi in una definizione sempre identica di vittima e carnefice. Allontanando sempre di più uomini e donne.
Gli uomini che commettono degli stupri non sono poi così lontani da questa profonda cultura, che ha la forza potente di ogni archetipo, siamo ben oltre lo stereotipo. Così come gli uomini che non ne commettono affatto di violenze, che sono sinceramente indignati di fronte a violenze sessuali o crimini di genere, ma che credono inconsciamente che una donna abbia ragione d'essere solo in relazione a loro, e finiscono con l'essere soggetti alla stessa mentalità, senza saperlo, senza riconoscerlo, pur dichiarandosi contro ogni violenza, nel volerne fare oggetto di protezione e non soggetto di azione. Il linguaggio, come espressione del limite del mondo rappresentato dagli uomini e non dalle donne, diventa sottile ma macroscopica manifestazione di tutto ciò, l'assenza delle donne da ruoli diversi da quelli che storia e natura le hanno assegnato.  Questa realtà è poco esplorata, rimossa, minimizzata. E, di stupro in stupro, di morte in morte, appendiamo stracci rossi alle finestre, certi in cuor nostro della necessità non violenza e della battaglia alla discriminazione ma immersi dentro essa fino al collo. Non meno grave sarebbe, anche se immensamente più rara e atipica, la presenza di casi inversi, di violenza o morte agita da una donna su un uomo in quanto uomo. Perché sarebbe segno di meccanismi patologici simili. Da analizzare e condannare in modo identico, senza tentazioni comparative o giustificazioniste. La donna in quanto donna ha ancora timore a uscire fuori nella scena pubblica, che è privata, con ruoli diversi, autonomi, nuovi, indipendenti, conscia che se lo fa dovrà pagare prezzi. La solitudine, il sospetto, la diffidenza, degli uomini e delle donne. La donna in quanto donna ha ancora tanta strada da fare per arrivarci a una scena pubblica che è emanazione di una dimensione privata paritaria, che non voglia dire uguale. Che dunque stia al suo posto. L'uomo poi, è migliaia di secoli lontano dall'iniziarla la strada per comprendere che la sua costola sta ancora là, nel suo petto, e che le donne sono altro da se, sono accanto forse. Comprese madri e sorelle. E quello delle madri dedicherebbe uno scaffale a parte. Perchè una figlia si affranca da una madre, entrando in età adulta e relazionandosi da pari, un figlio mai. Una madre si affranca da una figlia, trattandola da adulta, da un figlio mai. Ma questa è tutta un'altra storia, dentro la stessa storia. Di potere e poteri, non di uguaglianza, di possesso e proprietà non di libertà.
E allora cosa fare? Educare, educare, educare. Non solo chi cresce ma in primis gli educatori, verso riflessioni franche e profonde, che vadano verso la rimozione e non verso l'acuirsi delle divisioni e delle discriminazioni. Le strade intraprese siano quelle giuste. Educare, educare, educare, mettendo nell'angolo i nemici della conoscenza e della consapevolezza, come complici della cultura dello stupro, della discriminazione, della sottomissione, non come guardiani di un tradizionale malinteso. Oggi tacciono gli imbroglioni del "gender" di fronte alla morte. Torneranno all'attacco come sentinelle della discriminazione e complici della cultura dello stupro, a volte ignari di esserlo, ma spesso consapevoli. Educarci, educarci, educarci, non perdere mai occasione di studiare per capire e approfondire. L'educazione non è parte della vita, ma è la vita stessa.

Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così. Solo che, quando si tratta di rimboccarsi le maniche e incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare, ed è allora che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare.

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